L’interpretazione heideggeriana del pensiero dei pensieri
Introduzione
A partire dagli anni Trenta, Martin Heidegger imprime un cambiamento radicale alla trattazione del problema dell’essere. Contestualizzato nell’orizzonte storico della filosofia heideggeriana, questo evento rappresenta un momento di rottura con l’orientamento epistemico che aveva dominato la sua ricerca fino ad allora. L’«ontologia fondamentale» dell’esserci cede il posto a un’indagine che muove a partire dall’essere stesso scoperto nel suo carattere di evento. L’approccio fenomenologico abbandona l’accezione soggettivistico-trascendentale con cui era stato effigiato sotto la paternità di Husserl e l’«ermeneutica della fatticità» degli anni di Friburgo si evolve e vira finalmente in direzione di una comprensione dell’essere libera da fraintendimenti metafisici e teoretici. Heidegger stesso denomina tale mutamento col termine di «svolta (Kehre)» (Heidegger 19871, p. 157), intendendo con essa l’evento storico di un rovesciamento di prospettiva risolutivo per il pensiero occidentale: il portato filosofico di questo decennio è di carpire l’avvento dell’essere nella sua più pura incontaminatezza, prescindendo da visioni epistemiche o prospettive obnubilanti che ne celino l’originaria purezza. Affinché tale opportunità si realizzi è necessario «partecipare a […] [un] pensiero diverso, che abbandona la soggettività» (Heidegger 19872,p. 281), e quindi emanciparsi dal tenore esistenzialista che fino ad allora aveva impedito alla ricerca di procedere oltre il piano esistentivo: appunto, studiare l’essere non più da una prospettiva privilegiata (quella dell’esserci), ma dall’essere stesso.
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