> di Piero Borzini*
Di Erwin Chargaff mi sono recentemente occupato ricordando come egli avesse condiviso le proprie intuizioni sulla struttura del DNA con Watson e Crick e come questi, ricevendo il premio Nobel su tale argomento, si fossero ben guardati dal ringraziarlo (https://doveosanolegalline.blogspot.it/2017/12/la-doppia-elica-e-lultima-omissione-di.html). Chargaff fu uno scienziato assai controverso. Biochimico di valore, prese a criticare ferocemente il modo di fare scienza della seconda metà del XX secolo, accumunando nella sua feroce critica tanto gli obiettivi della scienza, che le sue procedure, che i suoi operatori: gli scienziati. Le sue critiche erano il frutto acre dello spirito romantico e visionario con cui guardava alla scienza ed erano sostenute anche da un ragguardevole senso di superiorità nei confronti dei suoi colleghi scienziati. Il suo modo di essere e il suo modo di fare – che gli alienarono le simpatie dell’intera comunità scientifica – hanno contribuito a generare una sorta di corpus epistemologico che in questo articolo sottopongo a critica (una critica opinabile di cui mi assumo la responsabilità).
Chargaff (1905-2002) è stato un talentuoso biochimico che ha subito una sistematica rimozione dalla memoria collettiva della comunità scientifica, non solo per quanto riguarda la vicenda della struttura del DNA ma anche a causa delle sue sanguigne prese di posizione contro gli sviluppi della scienza della seconda metà del XX secolo, segnatamente contro le “promesse” dell’ingegneria genetica (che egli inserisce, assieme alla bomba atomica, nella categoria dei “misfatti”). Le sue idee erano troppo controcorrente per risultare ammissibili dalla comunità scientifica ma, sopra ogni cosa, egli le esternò in modi così superbi e arroganti da risultare indigesti anche ai pochi che avessero voluto prestare orecchio alle sue argomentazioni. Oltre al tono arrogante, ciò che risultò particolarmente indisponente fu il suo continuo predire catastrofi addossandone il peso e l’eterna colpa sulle spalle altrui. Nei toni che usava, non è difficile intravedere lo stigma di un soverchiante narcisismo associato a quella condizione maniacale che prende il nome di sindrome di Cassandra. Tutto il buono che c’era nelle sue argomentazioni e nella sua filosofia (e ce n’era parecchio) era frammisto a una valanga di atteggiamenti di irritante superbia. Accadde quindi che i suoi moniti rimanessero inascoltati, sepolti com’erano dalla montagna di melma con cui erano conditi. Tutto ciò non toglie che navigando tra le sue parole spesso assai corrosive si trovino spunti di discussione e di critica epistemologica che, benché datati, rimangono attuali e sui quali vale la pena di aprire finestre di discussione. Nelle prossime pagine mi servirò delle sue parole testualmente tratte da Mistero impenetrabile, scritto da Chargaff nel 1980 e pubblicato in Italia da Lindau (2009), per trattare e sottoporre a critica temi che restano attuali. Continua a leggere