Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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La Scienza Storica del Terzo Millennio. Il mestiere dello storico nei tempi del cambiamento climatico

> di Roberta Rio*

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1. «Mamma, spiegami allora a che serve la storia».

Il mestiere dello storico nei tempi del cambiamento climatico

Non me ne vogliano Marc ed Étienne Bloch se come titolo di questa mia riflessione ho scelto la frase incipit – opportunamente concordata al femminile – di quel capolavoro indiscusso che è l’Apologia della Storia.

Avevo tredici anni quando decisi che sarei diventata una storica. Esattamente dieci anni più tardi conseguii la laurea. Quell’amore – oggi come allora – accompagna la mia vita quotidiana. Non è un amore platonico, ma un amore vissuto che, per rimanere tale, ha richiesto e richiede, come in una relazione di coppia, una costante riflessione di senso.

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La filosofia dello sterminio dei disabili

 

 

> di Alessandro Pizzo*

A Giulia.

Della vita sopravvive l’amore, dato o ricevuto.

In memoriam

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Premessa

Ogni anno si ripete in tutte le scuole del Regno uno stesso rituale, forse opaco, forse stantio, forse stancamente ripetuto, e riguardante la celebrazione della memoria della Shoah, lo sterminio nazista della razza cosiddetta “inferiore”. Se il rito appare oramai una routine, resta innegabile, oltre che indubitabile, come al contrario vigile e pronta debba rimanere la coscienza comune innanzi ai risorgenti umori prevaricatori alle più svariate latitudini. Ma, rispetto all’inaudita strage compiuta dal nazionalsocialismo, vorrei concentrare l’attenzione su una categoria minore, ma certo non meno importante, di vittime della medesima sequenza storica, ovvero le persone disabili, indifese vittime designate dalla violenta ed inumana ideologia nazista. Certo, non lo faccio al fine di riscattarne un ruolo triste, diversamente taciuto dai più, anche se, a dire il vero, sempre più scoperto ed oggetto di ricostruzione storica, ma per sviluppare un’analisi filosofica intorno alle sue ragioni storiche, inerenti a quelle motivazioni culturali che ne giustificarono o resero possibile lo sterminio o la soggiacente logica o che aprirono la strada a qualsiasi giustificazione, più o meno ad hoc, del capriccio di alcuni su altri, depotenziando qualsiasi funzione regolatrice o moderatrice del verbo morale, depotenziando la bussola morale e svuotando dal di dentro l’edificio del diritto, trasformando gli uni e gli altri in meri instrumenta regni.

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Le “guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (3/3)

 

> di Giuseppe Brescia*

 

[Clicca Qui per la seconda parte]

 

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Casi storici di “declino delle nazioni”

Cade, così, il limite di una casistica troppo ancorata all’esemplificazione particolare, effimera e contingente, per quanto riguarda gli uomini della “materia” e gli uomini della “forma”; dal momento che la fenomenologia ideale eterna, da Vico instaurata, insegna a interpretare dall’interno le modalità, o le ‘guise’, delle crisi ricorrenti, come «analogie dell’esperienza sofistica» ( “1994”. Critica della ragione sofistica, Bari 1997, capo X, XII e XII della Parte seconda, alle pp. 89-99 ).

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Le “guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (2/3)

> di Giuseppe Brescia*

[Clicca Qui per la prima parte]

 

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La doppia “barbarie della riflessione”

Quel che, in verità, nessuno mai dice è il fatto che esiste una “doppia barbarie della riflessione”: la prima è quella della lettera a Gherardo degli Angioli, della autobiografia e della giovanile De nostri temporis studiorum ratione, per la quale la “barbarie” consiste nella pedagogia “cartesiana” del raziocinio, che mortifica la poesia e la fantasia e il senso nei giovani («filosofia che professa ammortire tutte le facoltà dell’animo che li provengano dal corpo, […] e di una sapienza che assidera tutto il generoso della migliore poesia»; mentre i giovani debbono educarsi mediante «esempi che devono apprendersi con vivezza di fantasia per commuovere»). Questa “barbarie della riflessione” è, però, senza malizia, viltà, tradimento e insidia. L’altra forma di “barbarie della riflessione” appartiene al Vico maturo, quando il filosofo ha capito che – nel corso delle nazioni e della civiltà – esiste una stagione ben peggiore della iniziale “barbarie del senso”, materiata di «malnata sottigliezza d’ingegni maliziosi» e di «malizia riflessiva» (ed è nella Conchiusione della Scienza Nuova seconda, dianzi citata). Questa seconda tipologia appartiene al Vico – per dir così – “pre-orwelliano”, dis-topico, «nato a debellar tre mali estremi: tirannide sofismi ipocrisia» (per dirla con l’amato fra’ Tommaso Campanella); pre-visione geniale che smentisce la meccanica ripetitività della vita delle nazioni e dei periodi storici, dal momento che non c’era nella età di “barbarie del senso”. La prima forma di barbarie della riflessione (o pedagogia cartesiana) è un “errore”. La seconda forma (o «malizia riflessiva»), come errore coscientemente voluto, è il “sofisma”, o somma di sofismi (con l’accrescersi degli “ingegni maliziosi” che interagiscono a più livelli).

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Le “guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (1/3)

> di Giuseppe Brescia*

 

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Sommario: 1. Diritto e morale in Vico. 2. “De Constantia Jurisprudentis”, 3. Diritto Universale e teoria della storia. 4. Significati delle “guise” e delle “modificazioni della mente umana” nel Vico e nella modernità. 5. Importanza dell’avverbio nello stile di Vico ( e altri ‘autori’). 6. ‘Ed quando si sommano più e opposti errori che si forma il declino delle nazioni’. 7. La doppia “barbarie della riflessione”. 8. Casi storici di “declino delle nazioni”. 9. La “barbarie della riflessione” in Donald Verene e altri teorici: economia ed etica. 10. Misericordia Carità Diritto.

1. Diritto e morale in Vico

Nella celebre Filosofia di Giambattista Vico del 1911, Benedetto Croce si occupa distesamente, al Capitolo VIII, di Morale e diritto, al IX, della Storicità del diritto ed al VII, di Morale e religione, risalendo alla ripresa vichiana di Cicerone: «E ottimamente Cicerone diceva ad Attico, epicureo, di non poter istituire con lui ragionamento intorno alle leggi, se prima non gli concedesse che vi sia provvidenza divina» ( cfr., rispettivamente, le pp. 94-100; 101-108; 87 della nuova edizione del “Corpus” delle Opere di Benedetto Croce, Edizione Nazionale, a cura di Felicita Audisio, Bibliopolis, Napoli 1997 ). Continua a leggere


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Immagini della vis veritatis: forza e pericolo nella metaforologia blumenberghiana

> di Giorgio Astone*

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Abstract

In this article we’ll analyze some of the ‘methaphorogical’ processes, illustrated by the German philosopher Hans Blumenberg in his work “Paradigmen zu einer Metaphorologie” (1960). Particularly, in the first chapter we’ll step into the concept of “Truth” and its power in the metaphoric sense of “light”, “revelation” and “human labour”; the second will concern two of the most important paradigmatical shifts at the threshold of modernity: from an organicistic view to a mechanicistic one, and from the Tolemaic astronomic organization to the Copernican model. In the end of the essay, there’ll be a general presentation of Blumenberg’s hermeneutic method of philosophical research. Continua a leggere


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Il senso del celeste e i princìpi vichiani in James Joyce

> di Giuseppe Brescia*

L’autonomia della poesia; la distinzione tra “persona pratica” e “personalità artistica” nello Shakespeare; l’interpretazione della legge dei “corsi e ricorsi storici”, come esigenza del perpetuo rinnovarsi di idealità spirituali e non meccanica ripetizione di fatti e accadimenti storici; la necessità, per non lasciarsi sopraffare, di contrapporre “forza a forza”, puntando però sempre al riscatto del cielo e dell’amore (“Love loves to love love”); il divario tra le “res gestae” e le “res gerendae” (“the irreparability of the past” e “the imprevedibility of the future”) nel corso dell’addio, al numero 7 di Eccles Street, tra Leopold Bloom e Stephen: – sono, questi, soltanto alcuni dei più importanti princìpi vichiani, e d’interpretazione vichiana, adottati da James Joyce in Ulysses (1922, ed. Penguin, London 1992, pp. 236 e 241-242; 490-492; 427-433; 816 sgg.), più tardi in Finnegans Wake, del 1939, il cui quarto libro è dedicato, propriamente, a “Il Ricorso”.

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