Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Da Aristotele a Ricoeur, storia di una giustizia dal volto umano

>di Piergiacomo Severini

 

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La società contemporanea vive nella diffidenza e nel sospetto che la sua storia, progressivamente votatasi al dominio individuale, ha lasciato germogliare. Viviamo in una realtà che ci richiama continuamente ai nostri doveri, che esercita diritti, sempre pronta a giudicare quanto viene fatto, analizzando nel dettaglio ogni passaggio del nostro operato. In tutto questo ragionamento, giudicare è la parola chiave; il verbo giudicare è esatto, definitivo, presuppone una certa distanza dall’oggetto preso in esame. Giudicare è effettivamente il verbo che descrive al meglio la condotta dell’uomo tipo di oggi: se a dominare è il timore, la paura che l’altro possa prevaricarmi, usarmi, oggettivarmi, l’unico rimedio a disposizione è il ricorso a leggi severe che tutelino i miei spazi, le mie libertà, le mie ragioni; una tutela in cui l’altro minaccioso viene a sua volta oggettivato, come minaccia senza volto né cuore. Il mondo si trasforma in un immenso tribunale, in cui ogni sentimento va rimesso in riga, ogni richiesta implicita non correttamente formalizzata viene condannata, ogni desiderio spontaneo deve fare i conti col diritto dell’altro, non con la sua comprensione. Giudicare, ancora, è il termine più azzeccato, perché alla vicinanza del riconoscimento si preferisce il distacco che appiattisce l’identità dell’altro ad un numero di diritti e doveri da rispettare. Questo perché, nel regno del sospetto, non ci si può concedere il lusso di aprirsi alla persona che si ha di fronte, è più vitale tenere alta la guardia e stare pronti ad evitare ogni attacco, per ricadere sempre in piedi.

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Elogio della mitezza e altri scritti morali. Su Norberto Bobbio

> di Alessandra Peluso*

Appare necessario spolverare e portare in bella mostra nella contemporaneità la “mitezza”. Cos’è la mitezza e perché è considerata una virtù apparentemente impolitica?
Innanzitutto, è opportuno dire che L’elogio della mitezza è un’opera scritta da Norberto Bobbio. Un volume tanto caro allo stesso Bobbio e prezioso per ciascuna persona attenta agli attuali dibattiti etico-politici contemporanei. Continua a leggere


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Immagini della vis veritatis: forza e pericolo nella metaforologia blumenberghiana

> di Giorgio Astone*

Hans-Blumenberg-Lubbeck

Abstract

In this article we’ll analyze some of the ‘methaphorogical’ processes, illustrated by the German philosopher Hans Blumenberg in his work “Paradigmen zu einer Metaphorologie” (1960). Particularly, in the first chapter we’ll step into the concept of “Truth” and its power in the metaphoric sense of “light”, “revelation” and “human labour”; the second will concern two of the most important paradigmatical shifts at the threshold of modernity: from an organicistic view to a mechanicistic one, and from the Tolemaic astronomic organization to the Copernican model. In the end of the essay, there’ll be a general presentation of Blumenberg’s hermeneutic method of philosophical research. Continua a leggere


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Bolaño prossimo mio

> di Luca Ormelli

«Bisogna essere un abisso, un filosofo… Abbiamo tutti paura della verità…» [1]

Scrivere – afferma Eduardo Lago – «è avvicinarsi all’abisso. Per Bolaño “l’alta letteratura, quella che scrivono i veri poeti, è quella che osa addentrarsi nell’oscurità con gli occhi aperti, succeda quello che deve succedere”. Scrivere: addentrarsi nell’inferno; la letteratura è “un lavoro pericoloso”. Pericoloso perché decifrare l’enigma dell’esistenza implica scontrarsi in termini assoluti con il Male e la Morte» [Eduardo Lago, “Sete del male“].

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La morale dell’autenticità di Jean-Paul Sartre – Parte III

> di Daniele Baron

3. MOTIVI DELL’ABBANDONO

Sartre nel dopoguerra lavorò con assiduità al progetto di un’opera sulla morale dell’autenticità, accumulando degli appunti in numerosi quaderni. Secondo la sua testimonianza, questo lavoro lo condusse a riempire «una decina di grossi quaderni di note» (J.-P. SARTRE-M. SICARD, Entretien. L’écriture et la publication, cit., p. 14. Questo numero [una decina] è solo indicativo e non preciso, perché in un altro luogo Sartre parla di dozzine di quaderni: cfr. J.-P. SARTRE, Autoritratto a settant’anni, cit. pp. 69 s.). In essi il tema principale era appunto il problema della morale dell’autenticità e le sue riflessioni si fondavano su i presupposti teorici ed ontologici de L’être et le néant. L’orizzonte della sua ricerca però non era limitato a quest’unico tema; si occupava infatti anche del problema del rapporto della morale con la storia e la dialettica ed altri pensieri non propriamente legati alla morale s’inserivano nella sua trattazione (Cfr. S. DE BEAUVOIR, La forza delle cose, cit., p. 161 e p. 173; La cerimonia degli addii, cit., pp. 192 s., pp. 430 s. Cfr. anche J.-P. SARTRE, Autoritratto a settant’anni, cit., pp. 69 s.).
In seguito all’abbandono, avvenuto alla fine del 1949, del progetto di un’opera sulla morale, Sartre non si occupò più di quei quaderni e li perdette per la maggior parte (Cfr. J.-P. SARTRE, Autoritratto a settant’anni, cit. p. 87; J.-P. SARTRE-M. SICARD, Entretien. L’écriture et la publication, cit., p. 14). Ad un esplicita richiesta non acconsentì alla loro pubblicazione, ma non si oppose al fatto che venissero pubblicati postumi.
I Cahiers pour une morale e Vérité et existence sono quanto ci resta oggi di quell’intensa riflessione: i primi sono stati scritti negli anni ’47-’48, la seconda nel ’48 (Fanno eccezione le due appendici dei Cahiers, che pur occupandosi del tema della morale, non rientrano nel corpo dell’opera. La prima è stata scritta nel 1945. La seconda che si occupa dell’oppressione razziale negli Stati Uniti non è datata. Cfr. J.-P. SARTRE, Quaderni per una morale, Edizioni Associate, Roma 1991, pp. 537-557).

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La morale dell’autenticità di Jean-Paul Sartre – Parte II

> di Daniele Baron

2. DOPOGUERRA: DIFFICOLTÀ DELL’IMPEGNO

Nel dopoguerra Sartre cerca di mettere in pratica gli insegnamenti che ha tratto dall’esperienza dei cinque anni di guerra; la sua scelta d’impegno politico e la sua volontà di comprendere con sempre maggiore esattezza la società e l’epoca in cui si trova si precisano. Allo stesso tempo, però, in questo suo intento si scontra con le difficoltà derivanti dalla situazione incerta di quel periodo ed anche qui gli eventi storici concorrono a formare ed in buona parte a deformare e deviare la sua posizione.
Qui voglio ricostruire il clima politico e culturale degli anni che vanno dal 1945 al 1949 circa per comprendere in quale contesto la sua riflessione morale si sia sviluppata e quali siano i fattori della sua personale esistenza che l’hanno accompagnata influenzandola.
L’immediato dopoguerra vede un primo deciso affermarsi del pensiero di Sartre ed anche il successo dell’esistenzialismo sia sul piano strettamente culturale che su di un piano più ampio, tanto che esso diventa una vera e propria moda. Sartre diventa all’improvviso nel 1945 uno scrittore celebre in tutto il mondo.
La prima tappa della concretizzazione della sua decisione d’impegnarsi e della sua volontà di partecipare attivamente all’attività politico-culturale del suo tempo è la creazione nel 1944-45, insieme a Raymond Aron, Simone de Beauvoir, Michel Leiris, Maurice Merleau-Ponty, Albert Ollivier, Jean Paulhan, della rivista “Les Temps Modernes”. Nella Présentation del primo numero dell’ottobre 1945, cercando di definire i precetti generali a cui la rivista dovrà rifarsi, Sartre precisa nello stesso momento quale deve essere la funzione dell’intellettuale e della letteratura nella società. L’intellettuale deve essere impegnato, engagé, deve fuggire dalla tentazione d’irresponsabilità, è in situazione nella propria epoca e deve sceglierla (Cfr. J.-P. SARTRE, Presentazione di “Temps Modernes”, in IDEM, Che cos’è la letteratura?, Il Saggiatore, Milano 1995, pp. 122 ss.).

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La morale dell’autenticità di Jean-Paul Sartre – Parte I

> di Daniele Baron

L’être et le néant di Jean-Paul Sartre si conclude con breve paragrafo dedicato al problema morale (Cfr. J.-P. SARTRE, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 1965, ristampa 1997, pp. 694-696). Qui Sartre dice che l’ontologia occupandosi esclusivamente di ciò che è, ha solo una funzione descrittiva e non prescrittiva, non può fornire degli imperativi dai suoi indicativi, ma lascia intravedere quello che potrebbe essere una morale che si fondi sui risultati della sua indagine. L’ontologia apre a prospettive morali complesse che necessitano di un’approfondita trattazione. Per questo motivo, Sartre qui si limita ad enunciare senza rispondervi alcune questioni che sorgono da questo punto di vista e rimanda la loro soluzione ad una futura opera specificamente dedicata al problema morale.

«Tutti questi problemi, che ci rinviano alla riflessione pura e non “complice”, non possono trovare la loro risposta che sul terreno morale. Vi dedicheremo un’altra opera» (Ibidem, p. 696).

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