
“La scienza non pensa. Non pensa perché – in conseguenza del suo modo di procedere e dei suoi strumenti – essa non può pensare. Che la scienza non sia in grado di pensare non è per nulla un difetto, ma un vantaggio. Solo in virtù di questo la scienza può dedicarsi alla ricerca sui singoli ambiti di oggetti e stabilirsi in essa. La scienza non pensa.”
Ogni ricercatore, sfuggendo al riflesso condizionato del fastidio, dovrebbe riflettere a fondo sul senso di questa scandalosa affermazione. Cosa intende dire Heidegger? Per comprenderlo è necessario interrogarsi sulla domanda che dà il titolo al manoscritto in cui essa è contenuta: “Che cosa significa pensare?”[1].
Pensare (pensare in primo luogo cosa sia essere e cosa sia nulla) è una necessità vitale. L’uomo ha bisogno di salvarsi. Da cosa? Da quello che Nietzsche chiama il grande abisso. “Non è l’uomo in ogni istante di fronte all’abisso? Non è la vista stessa, vedere abissi?” chiede Zarathustra[2]. Secoli prima, originariamente, il pensiero greco fonda la cultura dell’Occidente a partire dal bisogno di salvezza da ciò che appare come l’evidenza suprema: le cose, tutte le cose, noi stessi e ciò che amiamo in primo luogo, nascono e muoiono, annientandosi. Pensare significa pensare l’essere che salva. All’origine del pensiero, porre la verità dell’essere di fronte all’uomo è la forma primordiale di salvezza dal divenire. Nel pensare la salvezza dal divenire, la volontà pone la verità immutabile di fronte ai mortali, per consentire loro di vivere. La verità assoluta, traendo salve dal nulla tutte le cose, è la forma suprema di salvezza. Con la verità immutabile l’uomo stabilisce la sua Sacra Alleanza, uniformandosi all’eterno e vincendo l’annientamento e la morte. Anche il Cristianesimo è una declinazione dello sviluppo di questa sacra alleanza fra cielo e terra. Al culmine del Nuovo Testamento, e sono le parole ripetute ogni giorno nella Liturgia, Gesù dice: “Questo è il mio sangue, versato per voi per la nuova ed eterna alleanza”. A Pilato che chiede che cos’è la verità (il sublime scetticismo della migliore nobiltà romana, direbbe Nietzsche) nel Vangelo di Giovanni non c’è risposta, ma nel Vangelo di Nicodemo Gesù risponde: “la verità è del cielo”[3].
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