Poiché del dolore manca una definizione, lo potremmo designare come il dolore del signor Raab, e tutti saprebbero di cosa stiamo scrivendo. Il signor Raab infatti, che pure ha un ottimo lavoro, è sposato e ha un figlio, non sta da tempo molto bene: ha iniziato a bere un po’ di più, il medico gli ha prescritto un ansiolitico, e quando un collega gli ha fatto gli auguri, lui ha pensato immediatamente gli volesse dire che ne aveva bisogno. Pensiero fastidioso, che come altri solo una terapia antipsicotica potrebbe eradicare – ma non anticipiamo gli eventi, che come afferma Bloy sono come le oche, girano in gruppo. Egli tende alla pinguedine eppure passeggiare lo affatica e annoia; sembra che la moglie aspiri unicamente ad una sua promozione, cioè ad un reddito maggiore; un regalo per lei si trasforma nella canzonatura di due commesse. Ancora piuttosto giovane, ma in quella età della vita ancora imprecisa che della giovinezza ha perso ogni ingenuità, deve anche sopportare il tono brusco del capoufficio, il quale nemmeno in una occasione conviviale riesce a celare il proprio fastidio, forse il proprio disprezzo. Rainer Werner Fassbinder, riletto e fantasticato, ne ha lasciato un ritratto ancora più preciso, ma il dipanarsi del film non ci interessa. Continua a leggere