Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Il male di vivere

L’uomo è un animale sociale e in quanto tale ha bisogno di interagire e di trovare il proprio posto all’interno della comunità, ha bisogno di relazioni gratificanti, potremmo definire la solitudine come quel sentimento che proviamo nel momento in cui questo bisogno non viene soddisfatto.

 Quando non riesce ad interagire ed instaurare legami significativi, l’uomo entra in crisi, mettendo in discussione tutto il proprio mondo. Eppure, la solitudine non viene considerata come si dovrebbe: ovvero come un male pericoloso, trascuriamo i rimedi contro il male oscuro della solitudine, che in realtà non colpisce solo le persone anziane, ma i giovani. Ogni solitudine ha una sua storia, un volto, un racconto, un dolore. C’è la solitudine del dolore, della mancanza e c’è la solitudine di chi sente di non avere la forza per farcela e si rassegna all’isolamento.

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Pascal, Šestov e il ripudio della ragione

Šestov, con una sorta di distillazione frazionata, pone la sua attenzione su quell’aspetto di Pascal che più lo coinvolge e nel quale pare talvolta identificarsi. In entrambi possiamo cogliere il sacrificio della ragione per una fede che non sente ragione, la rinuncia alla stabilità terrestre per affrontare il pauroso abisso e condividere da svegli quell’angoscia che Cristo ha vissuto da solo, mentre i suoi discepoli dormivano.

Nel quarto centenario della nascita di Pascal, a cent’anni dalla prima edizione de La notte di Getsemani di Lev Šestov, ci viene proposta una rilettura di questo genio tormentato, di colui che si impone di cercare gemendo, accomunato in ciò a Cristo che continua la sua passione fino alla fine del mondo. Si può dire che Blaise Pascal abbia trascorso la sua esistenza terrena incarnando il paradosso. Visse il suo tempo, il periodo del nascente razionalismo, standosene al di fuori; perfino nei manuali di storia della filosofia la sua posizione non è ben determinata. Pur rimanendo nel cattolicesimo in comunione con Roma, il suo pensiero venne a trovarsi in posizione bordeline.

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Mattias Desmet spiega la psicologia del totalitarismo oggi nell’evoluto Occidente

Ero un sostenitore di Spinoza, che diceva: l’uomo è libero come una pietra che cade. Ma sono giunto a un’intesa. L’uomo – credetemi – è libero, nel senso che non ha altra scelta che scegliere. Ciò deriva dalla natura del suo sistema mentale. Il linguaggio umano apre costantemente la possibilità di pensare e possibilmente esprimere lo stesso pensiero in innumerevoli modi. L’uomo non può fare a meno di dubitare e scegliere costantemente. In quella scelta realizza la sua individualità, esiste come un essere singolare.

Mattias Desmet

Mi sono già occupata dello psicologo fiammingo in un articolo che è stato letto, ripostato e commentato migliaia di volte, condiviso su svariate piattaforme, discusso da moltissimi utenti ed utilizzato come risorsa per altri articoli.

In effetti, quella di Mattias Desmet, professore di Psicologia clinica all’Università di Gent, è una delle voci più critiche sui tempi nei quali viviamo caratterizzati da grosse trasformazioni sociali, attanagliato dalla paura alimentata ad arte dai governi, deprivato della gioia stessa di vivere nel passaggio da un’emergenza all’altra: i migranti, il covid, la guerra in Ucraina, il cambiamento climatico…

Desmet è un accademico che è molto discusso, in modo particolare sulla piattaforma Linkedin.

Il suo libro La psicologia del totalitarismo, pubblicazione oggettiva e non allineata alla narrazione mainstream propinata da giornali e televisioni, è già stato tradotto in italiano e inglese ed è considerato uno dei libri migliori del 2022. Il suo autore ha su di esso tenuto sessanta conferenze in tre mesi. Nel libro si spiega con chiarezza tutto quello che è accaduto nei due anni della pandemia da Coronavirus. Soprattutto, è assai interessante la sua visione del moderno totalitarismo, che non risiede in un particolare leader carismatico, ma nella convinzione diffusa tra la gente che possiamo creare una società utopica basata sulla ragione e sulle teorie degli esperti.

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Microfisica e coscienza

Irriducibile – La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura.

Leggere quest’opera di Federico Faggin è una sfida che, almeno personalmente, mi trova disarmato e impacciato.

Cercare di interloquire con un pensatore scientifico che si avventura nel campo della filosofia e della religione risulta quasi sempre molto difficile, d’altra parte quando non si avverte tale difficoltà è spesso perché siamo caduti in un malinteso. Forse per questo l’autore si premura di chiarire il significato specifico che intende dare a certi termini con il glossario che ha posto in fondo al testo. Nelle numerose conferenze che ha tenuto per illustrare la sua teoria, ha cercato di adeguare il registro linguistico ai vari tipi di uditorio. Saldo sul fondamento, che egli racconta come una esperienza straordinaria, si dimostra aperto e possibilista fino alla visionarietà su varie questioni particolari, con l’atteggiamento di chi ha ancora tanta voglia di conoscere.

Irriducibile è la coscienza, quella umana che più ci interessa ma anche la coscienza in generale di ogni vivente. La materia, anche quella cerebrale, non produce coscienza ma è da questa prodotta. I computer, sempre più efficienti, sempre più versatili rimarranno sempre altro da ciò che è la coscienza. Dei robot che ricalcassero le caratteristiche umane nei tessuti e negli apparati, che fossero capaci non solo di risolvere problemi ma pure di manifestare gioia, benevolenza, impazienza o rabbia, resterebbero sempre altro rispetto all’uomo. I primi agiscono in base ad un programma che li determina, nell’uomo invece i condizionamenti per quanto siano forti non annullano la libera coscienza.

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Pausa invernale – Dicembre 2022

Amici, lettori, collaboratori,
«Filosofia e nuovi sentieri» va in pausa per il Natale. Come sempre, la casella

filosofiaenuovisentieri@gmail.com

rimarrà attiva (i messaggi verranno ricevuti comunque, anche se non vi sarà risposta prima della riapertura): vi invitiamo dunque a mandarci tutte le vostre proposte – articoli, recensioni, interviste – che potremo pubblicare, dopo attenta valutazione, a partire dalla metà del mese di gennaio 2023.
Buone vacanze a tutti.

La Redazione


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L’altro me stesso

                               

L’amicizia è considerata un sentimento che nasce dall’incontro tra persone che, percependo interessi, valori, e ideali comuni, stabiliscono interazioni fondate su vicinanza, comprensione e fiducia reciproca.

Nel pensiero degli antichi, l’amicizia non veniva ancora nettamente distinta dal concetto di eros, cioè di amore. Il primo filosofo a tracciare una linea tra queste due forme di affettività fu Aristotele, che in Etica Nicomachea, dedicata al figlio Nicomaco, sostiene che la virtù porta la felicità. Essere virtuosi significa essere felici, l’amicizia è necessaria alla vita e come tale è una virtù. L’amicizia è ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Egli definì questo sentimento come “amore di benevolenza”, per cui colui che ama non desidera il bene proprio, bensì quello dell’amico.

L’amicizia è un amore caratterizzato dalla reciprocità e da una comunanza sincera di ideali e consuetudini. Questo sentimento diventa il luogo in cui due anime si incontrano per fondersi nell’affetto reciproco. L’amicizia è necessaria, Aristotele lo ripete incessantemente, nessuno sceglierebbe di vivere senza amici, ma per essere definita tale, deve rispondere a tre requisiti: la mutua benevolenza, la volontà del bene e la manifestazione esteriore dei sentimenti.

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Recensione a La morte della natura di Carolyn Merchant

È stato riedito in Italia lo scorso settembre il libro La morte della natura della filosofa statunitense, classe 1936, Carolyn Merchant. L’opera – pubblicata per la prima volta nel 1980 – costituisce un testo di capitale importanza tanto per la storia della scienza quanto per i movimenti femministi. E, nonostante gli oltre quarant’anni trascorsi, non ha perso affatto il suo fascino teoretico e la sua urgente attualità.

Nel libro Merchant intende, in primo luogo, comprendere le radici storiche e filosofiche alla base di una crescita – capitalistica – incontrollata e di una espansione illimitata. Tali radici vanno ricercate nella riconcettualizzazione moderna della realtà quale ordigno meccanico-matematico, senza timore di svelare il lato “oscuro” della cosiddetta Rivoluzione scientifica, per troppo tempo fideisticamente osannata. Difatti, ridurre la natura a materia inerte e passiva, considerarla come permeata da sole proprietà quantitative, ha implicato – è evidente – una drastica rottura rispetto al modello vitalistico rinascimentale. In tal caso la natura – lungi dall’essere un sostrato inanimato o granitico – era piena di attività, di processualità dinamica, di metamorfosi costante e insopprimibile, di potenza ad aptitudo ad formam. In una sola parola: di vita.

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COME SCRIVERE. RIFLESSIONI SU UNA CRITICA DELLA SCRITTURA

“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.”

Questo pensiero, espresso dal filosofo e semiologo Umberto Eco nel 2015 durante il conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media, ha sollevato nel momento in cui è stato espresso, e ancora oggi quando lo si richiama, un polverone che ha avvolto la figura di Eco poco prima della sua dipartita. Molti hanno cercato, per salvare il filosofo da un’improbabile e paradossale gogna mediatica, di stemperare i toni di quella affermazione battendo sul fatto che essa fosse un’uscita ironica, seppur poco felice, di un pensatore che spesso rivela una punta di pungente sarcasmo nelle sue affermazioni. c’è chi ha visto in queste parole una provocazione alla quale alcuni hanno reagito con una piatta e semplice indignazione, altri cercando di cogliere il vero bersaglio critico di tale affermazione. Naturalmente, di fronte ad alcuni tipi di pensieri che toccano le nostre abitudini più comuni e usuali sembra scontato, se non a tratti anche legittimo, credere che essi siano una sorta di attacchi ad personam e, spesso, proprio questo loro effetto è quello ricercato dagli autori che provano così a mettere in moto la nostra riflessione. Certamente una frase del genere sarebbe rimasta solo un’uscita infelice se non fosse stata accompagnata da un seguito, spesso e volentieri dimenticato o appositamente ignorato, che collega la frase nella sua singolarità ad un’analisi più profonda delle dinamiche mediali e dei tipi di comunicazione che si instaurano attraverso di esse. Eco, infatti, osserva: “La TV aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”. Inoltre il semiologo invita i giornali “a filtrare con una equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno […] I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù, ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno”.

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Cosa è giusto e cosa è sbagliato

Quando si parla della distinzione tra bene e male si utilizzano in maniera intercambiabile i termini etica e morale, come se fossero quasi la stessa cosa.

In realtà, benché l’origine dei termini sia simile (etica deriva da ethos, morale da mos, ed entrambi indicano i costumi e le usanze), tra i due vi è una differenza sostanziale, oltre che terminologica.

La morale indica il complesso delle norme che devono guidare l’uomo ad agire in maniera corretta, tendendo al bene.

L’etica, invece, indica soprattutto il comportamento individuale, cioè il modo di applicare le norme all’interno dell’esperienza quotidiana.

Quindi, la morale è quell’ambito in cui si argomenta sulla natura del bene e del male.

L’etica studia quali siano i comportamenti giusti e quali quelli sbagliati.

Il problema etico, o morale, ha da sempre interessato la riflessione dei filosofi. Continua a leggere

Ultima chiamata

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Svegliamoci! È l’appassionata sollecitazione che Edgar Morin rivolge all’umanità intera affinché prenda coscienza della situazione critica nella quale si trova e si adoperi per realizzare una società in pace con sé stessa e con la Terra che la sostiene.

Il soggetto di questa grandiosa azione deve essere un noi così generale da non lasciar fuori nessuno, la condizione culturale e sociale ed anche l’età non devono costituire elementi di preclusione. Come per la felicità epicurea non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per poterla conseguire, così anche per quest’impresa non ci sono limiti d’età. Con i suoi 101 anni Morin si sente ancora chiamato in causa in prima persona, al plurale naturalmente.

La citazione iniziale di José Ortega y Gasset: “Non sappiamo cosa ci sta accadendo ed è precisamente quello che ci sta accadendo” porta Morin ad interrogarsi se questa ignoranza non sia una miopia verso tutto ciò che va oltre l’immediato. Il sociologo e filosofo del pensiero complesso è portato a ritenere che nella società attuale la settorialità del sapere, che pure ha contribuito a far avanzare l’umanità nei rispettivi campi, renda comunque assai difficile una visione globale.

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Dialogo, cinema, letteratura. Una nuova collana Pensa Multimedia diretta da Riccardo Mazzeo

«Nessuno dispone delle soluzioni generali ai problemi globali». Questa affermazione di Raimon Panikkar, filosofo del dialogo, è ormai un dato di fatto: solo dall’incontro e dal confronto possono emergere le soluzioni ai problemi che ci attanagliano: l’ambiente, la povertà. La guerra. Il dialogo non è più una possibilità, ma una necessità.

Da questa consapevolezza nasce la nuova collana dell’editore Pensa Multimedia, “Pratiche dialogiche”, diretta da Riccardo Mazzeo

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Questa non è una cosa

 Nell’opera di Byung-Chul Han, filosofo tedesco di origine coreana, le cose, proprio quelle modeste che accompagnano la nostra quotidianità, vengono rivalutate nella loro funzione di stabilizzazione della vita terrena, in quest’epoca caratterizzata dal fenomeno globale che egli definisce: infomania. Le cose uniscono le persone, al contrario le non-cose, nella parvenza di una comunicazione globale, generano individui isolati.

Nel suo argomentare chiama in causa un gran numero di pensatori, perlopiù filosofi ma non solo, dà delle rapide pennellate come a supporre che il tema sia ben noto al lettore, solo su qualcuno ritorna più volte. Descrive la situazione personale nella quale si trova, assieme a gran parte dell’umanità, dalla quale vorrebbe emanciparsi, senza peraltro dilungarsi nello spiegarne la via. Accenna al pensiero della filosofa americana Jane Bennett sul pericolo per l’umanità di considerare la materia come qualcosa di inerte, semplicemente da utilizzare, e spende due parole per dire che «prima dell’ecologia deve emergere una nuova ontologia della materia che la esperisca come viva» (p. 119).

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