Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Pensiero filosofico e teologico. Nuovo volume dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar

> di Paolo Calabrò
Panikkar

Ogni nuovo libro che reca il nome di Raimon Panikkar in copertina è benvenuto. Ma ancor più benvenuto è questo nuovo volume dell’Opera Omnia edita in italiano da Jaca Book dal titolo Pensiero filosofico e teologico (vol. X, tomo 2), incentrato sull’indispensabile confronto tra la filosofia di Panikkar e quella occidentale moderna e contemporanea: vi si ritrovano infatti saggi rivolti al confronto con Jacobi, con Ricoeur, con Heidegger. Non solo. Esso si incentra anche sul rapporto (discorso talvolta annoso, ma sempre attuale) tra teologia e filosofia; le quali, secondo il dispositivo intellettuale classico di Panikkar, andrebbero, sì, distinte, ma non separate: una tale separazione, in effetti, «non ha ragione di essere, poiché le due discipline si implicano vicendevolmente» (dall’Introduzione).

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Fede Ermeneutica Parola. Il nuovo volume Jaca Book dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar

> di Paolo Calabrò

panikkar

Per parlare di Fede Ermeneutica Parola, volume IX tomo 2 dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar – filosofo catalano scomparso nel 2010 – si potrebbero adottare tanti punti di vista. Ma forse la cosa più stimolante è cominciare dalla domanda: “Esiste in Panikkar una filosofia del linguaggio?” La risposta è affermativa e affonda le radici in due libri pubblicati in vita: Mito fede ed ermeneutica e Lo spirito della parola, qui ripubblicati parzialmente insieme a diversi contributi anche inediti in italiano.
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Cristianesimo. L’ultimo volume dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar in edizione Jaca Book

> di Paolo Calabrò

Dopo la pubblicazione del primo tomo, nella seconda metà dell’anno scorso, arriva finalmente in libreria il secondo tomo del libro Cristianesimo (Una cristofania. 1987-2002), volume terzo dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar, a cura di Milena Carrara Pavan. Rispetto al precedente
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Questa vita. L’ultimo libro di Vito Mancuso

> di Paolo Calabrò

9788811689027g

Il neodarwinismo imperante in biologia ritiene che la vita sia sorta dal caso e che sia dominata dalla competizione violenta. È veramente così che stanno le cose? È l’unica visione della realtà in accordo con la scienza moderna? Prima di porre tali domande, ci sarebbe da dimostrare che questa impostazione regga davvero alla prova dei fatti: ebbene, pare che non sia così, poiché oggi sappiamo (è la stessa scienza a renderlo noto) che la vita si sviluppa secondo una logica di aggregazione e di cooperazione, oltre che di selezione. Il neodarwinismo è dunque un’idea quanto meno parziale. Continua a leggere


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Ritorno o Fondamento? Tracce per un’analisi dell’interpretazione panikkariana di Parmenide a partire dal dialogo tra Raimon Panikkar ed Emanuele Severino – Parte seconda

> di Leonardo Marcato*

Il primato ontologico del Pensiero: la scienza moderna
Nella prima parte di questo articolo si è cominciato a mostrare come Panikkar rifiuti il modo con cui la civiltà occidentale, nel corso dei secoli, ha costruito la propria struttura riconoscendo l’identità tra Pensare ed Essere, sin dal dettato parmenideo del frammento 3 Diels-Kranz, sempre in una direzione che parte dal pensare e giunge ad in-formare l’essere. In un certo qual modo, quindi, accettare acriticamente il dogma parmenideo significa donare una priorità non solamente gnoseologica ma anche ontologica alla capacità razionale umana di analizzare in senso logico ogni dato, empirico e non. E se qualcosa non è pensabile secondo i canoni della razionalità e della logica, sembra provocatoriamente dire Panikkar, allora non esiste: ad esempio, parlando del divenire, nel primo tomo del decimo volume che raccoglie le Gifford Lectures l’autore ricorda:

«Zenone di Elea, da bravo allievo di Parmenide, negherà il movimento (e, in ultima analisi, il Divenire) perché la nostra mente non può comprenderlo» (RPOO X/1, p. 133). Continua a leggere


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Ritorno o Fondamento? Tracce per un’analisi dell’interpretazione panikkariana di Parmenide a partire dal dialogo tra Raimon Panikkar ed Emanuele Severino – Parte prima

> di Leonardo Marcato*

Il convitato di pietra
Più di dieci anni fa fu organizzato un incontro tra due pensatori contemporanei la cui influenza continua ad essere fortemente presente in quegli ambiti di cui si sono occupati ed in quelle vite che il loro passaggio ha incrociato. Nell’aula magna dello IUAV, il 9 marzo 2004 a Venezia, Emanuele Severino e Raimon Panikkar si incontrarono dopo oltre trent’anni (la prima volta avvenne a Roma, in occasione dei famosi Colloqui Castelli, come loro stessi ricordarono in quel momento); ed è di quest’anno, finalmente, la pubblicazione del testo di quell’incontro. Leggere gli scambi di battute, le domande, le risposte ed il rispettoso disaccordo tra i due protagonisti restituisce almeno parzialmente l’atmosfera di quel giorno e la forza delle questioni sul tavolo. Uno dei punti dove la discussione si è fatta più serrata ed interessante, come emerge dal testo e come sottolineato nel commento scritto da Luigi Vero Tarca che accompagna il volume, è la metafora della rete e del mare. Per riassumere quello scambio, Severino sostiene che quando si va a pesca la rete cattura sempre il mare, e se qualcosa esce dalla rete dev’esserci una super-rete che comunque permette di comprendere il mare. Panikkar ribatte sostenendo che anche se si andasse a pesca, ci sarebbero comunque pesci catturati e pesci di cui non si sa nulla, perché escono dalle maglie della rete; il mare non sfugge né è preso, semplicemente sta – e comunque, lui non ha reti per pescare (Panikkar, Severino 2014, pp. 27-33). Continua a leggere


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L’amore oltre le stelle. Intervista a Vito Mancuso su scienza e filosofia

> di Paolo Calabrò

Lei parla di amore chiamando in causa la scienza e le sue acquisizioni teoriche, dalla biologia alla meccanica quantistica. In che modo – e in che misura – è possibile farlo?

Ancor prima di essere un sentimento, l’amore è la manifestazione di una tendenza intrinseca all’essere stesso. Partiamo dall’immagine tradizionale dell’amore che gli antichi ci hanno trasmesso nella figura del dio Eros o Cupido che scaglia la freccia: è certamente un’immagine poetica – la si è sempre trattata così – ma è realmente solo questo? Perché la mente ha sentito (e continua a sentirlo: l’immagine è tutt’altro che desueta) il bisogno di rappresentare il darsi dell’amore attraverso l’immagine della freccia? È chiaro: perché la sente congruente, efficace, adeguata a esprimere il fenomeno fisico dell’innamoramento. L’innamoramento è di fatto un fenomeno fisico, che può essere pensato – come ho approfondito nel mio ultimo libro (Io amo. Piccola filosofia dell’amore, ed. Garzanti, N.d.R.) – come un’onda, proprio del tipo di cui parla anche la fisica. La definizione di “onda” data dai manuali di fisica è “perturbazione che si diffonde nello spazio trasmettendo energia ma non materia”. Penso che chiunque sia stato innamorato abbia vissuto su di sé l’esperienza di una “perturbazione”, che si è mossa dentro di lui spostando energia ma non materia. È effettivamente possibile, a mio avviso, stabilire un parallelo tra l’innamoramento e l’onda elettromagnetica; non è forse vero che il soggetto colpito dalla “perturbazione” si trasformi in un vero e proprio pezzo di ferro per il quale l’altro – o l’altra – non è né più né meno che… un grande magnete, che lo attrae irresistibilmente? L’amore è un fenomeno cosmico che investe tanto gli umani quanto ogni altro aspetto della realtà. E la cosa più sorprendente è che lo fa secondo modalità tutt’affatto simili.

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Il pensiero è impuro. L’epistemologia relazionale di Raimon Panikkar oltre il “nuovo realismo”

> di Paolo Calabrò*

Di cosa è fatta la realtà?[1]

La realtà è fatta di relazioni[2] In quanto queste relazioni avvengono (si costituiscono, perdurano, si sciolgono) nel tempo, è possibile dire che la realtà è costituita da eventi. In questo senso ci si potrebbe anche spingere ad affermare che la realtà è una “creazione continua”[3]. Le cose non “sono” bensì, per così dire, “stanno essendo”.

Che cosa le relazioni, appunto, mettono in relazione?

Le cose. Non gli oggetti (che sono già le cose inquadrate nel mito[4] dell’oggettività) ma i simboli[5], le cose nella loro capacità di entrare in relazione con ogni altra cosa.

Queste “cose” o “simboli” esistono dunque in sé, pur avendo la possibilità di entrare in relazione?

Nulla esiste in sé. È esperienza diffusa e onnipresente che nulla si dia in sé, ma sempre insieme ad altro, in qualche relazione. Le relazioni preesistono ontologicamente alle cose: qualunque cosa nasca, per ciò stesso viene al mondo. Nulla nasce o esiste in vacuo. Le relazioni danno forma all’essere. Non c’è essere al di fuori delle relazioni[6].

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