Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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ETHIK COME PROGETTO GLOBALE DELLA FILOSOFIA MORALE DI ROMANO GUARDINI

Gli ultimi anni della vita accademica di Romano Guardini (1950-1962) furono, per la maggior parte, dedicati alla nascita di una pubblicazione che contenesse, in maniera sintetica, tutte le sue ricerche in ambito etico.

Studi, lezioni, appunti che non prendevano avvio dalla volontà di dar vita a una dottrina sistematica ed elaborata dell’etica ma emergevano proprio dalla complessa realtà storica ed esistenziale in cui Guardini si trovava coinvolto.

La riflessione etica, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e del fenomeno nazista, diventava, in particolar modo in ambiente tedesco, primaria e problematica e veniva inserita, necessariamente, in quel processo di ricostruzione materiale e spirituale dell’Europa volto a superare definitivamente le devastazioni dei totalitarismi e le brutalità della guerra.

La domanda sull’essenza del bene, sulle condizioni della sua conoscenza, sui criteri della sua attuazione, sulla differenza col male, sulla comunicabilità di questa sostanziale divergenza, sulla distinzione tra libertà dell’uomo e sua oppressione, emergevano, in maniera così drammatica e contraddittoria, da condurre ad una analisi più accurata e profonda dell’agire pratico[1].

Guardini rispose a questa esigenza, che la stessa realtà storica gli rendeva presente, e lo fece mettendo in atto ciò che Bruno Kurth ha definito: << un etica come riflessione critica sull’agire e sull’esistenza umana alla luce della differenza tra bene e male>>.[2] 

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Rivoluzione personalista e comunitaria

Era stata pubblicata nel 1934, la versione italiana è del 1955, La Rivoluzione personalistica e comunitaria di Emmanuel Mounier viene ora riproposta dalle Edizioni di Comunità.

Un’iniziativa editoriale, che riprende una visione del mondo già proclamata e che alcuni hanno tentato di attuare, fa pensare che abbia una particolare attinenza con il presente. Il fatto che porti la data di stampa proprio al febbraio 2022 non deve indurci a considerazioni ingenue e affrettate; probabilmente avrebbe potuto avere anche una data diversa perché il presente in questione non è quello dei tempi brevi della storia, come speriamo possa essere il conflitto che oggi sta dilaniando l’Europa, ma è riferito ad un arco temporale più ampio.

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La psicoanalisi non è una scienza. E allora?

di Gianluca Valle

Filippo Fracas, CRITICHE EPISTEMOLOGICHE ALLA PSICOANALISI. LE TESI DI WITTGENSTEIN E POPPER, Primiceri Editore, Padova 2020.

Il volume di Filippo Fracas costituisce un’agile introduzione al dibattito sullo statuto epistemologico della psicoanalisi, mettendo a fuoco le critiche di due influenti filosofi del Novecento – Wittgenstein e Popper – al metodo freudiano. Il suo scritto è godibile, senz’altro all’altezza di quanto promette nel titolo, anche se costellato di refusi (alcuni gravi, come nel caso di “casualità” al posto di “causalità”, p. 35, o “tesi di Duhem-Quien” al posto di “tesi di Duhem-Quine”, p. 68). La prima sezione fornisce una panoramica della biografia di Freud e della nascita della psicoanalisi, soffermandosi poi sui suoi presupposti epistemologici, dal punto di vista del suo fondatore. La seconda sezione, invece, passa in rassegna le critiche alla teoria psicoanalitica di Wittgenstein e di Popper, dopo averne brevemente ricostruito la vita e le opere, e fornisce gli strumenti concettuali necessari a sancirne la non-scientificità.

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Ernst Niekisch e il problema della tecnica. Una recente proposta editoriale

Recensione a E. Niekisch, Ernst Jünger. Abisso, decisione, rivoluzione, a cura di L. Siniscalco, trad. it. di L. Fabbri, Bietti, Milano 2021, pp. 76.

La questione della tecnica ha rappresentato un tema cruciale del Novecento europeo e si prospetta, altresì, come uno dei nodi filosofici essenziali del «nuovo millennio» (p. 9). È nella veste di vero e proprio «filosofo della tecnica» (p. 12) che il curatore del volume presenta Ernst Niekisch (1889-1967), uno degli esponenti di quel composito ‘mosaico intellettuale’ che prenderà il nome di ‘Rivoluzione conservatrice’ e che vedrà fra i suoi protagonisti, oltre a Niekisch stesso, Ernst Jünger, Oswald Spengler, Carl Schmitt, Arthur Moeller van den Bruck, Hans Freyer, in un elenco ‘aperto’ di pensatori che, in letteratura, sono stati diversamente e variamente interpretati come appartenenti (o meno) alla suddetta corrente filosofico-politica (Breuer 1995; Nolte 2009). E precisamente di Ernst Jünger (1895-1998) – nel primo testo – e dei problemi della ‘tecnica’ – nel secondo – tratta Niekisch in questi due saggi, oggi unitamente riproposti in una nuova veste editoriale per i tipi della casa editrice Bietti di Milano, con la cura di Luca Siniscalco e la traduzione di Luigi Fabbri.

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La “vera vita” secondo François Jullien

«Un mattino, quando il giorno non è ancora cominciato né ha dispiegato il suo corso fatale, un dubbio si insinua in noi: la vita potrebbe essere tutt’altra rispetto a quella che stiamo vivendo. Dubbio tanto insidioso quanto vertiginoso, forse il più antico del mondo, sorto con il mondo stesso: la vita che viviamo potrebbe non essere davvero la vita. Potremmo non avere nemmeno cominciato a esplorarla. Potremmo non avere neppure iniziato a vivere veramente» (F. Jullien, La vera vita, Edizioni Laterza, Bari 2021, p. 3).
La vita può essere oggetto di riflessione? Può essere un argomento per il pensiero oppure è posta su un piano differente, nell’immediatezza, e il pensiero per essere tale deve per forza astrarre dalla vita?
Ha ragione chi dice: primum vivere, deinde philosophari?
Per il filosofo e sinologo François Jullien la ricerca di quella che definisce la “vera vita” è essenziale e urgente per ogni individuo, ma deve essere intrapresa attraverso gli strumenti propri della filosofia, sgombrando il campo da tutta quella pseudo-filosofia che al giorno d’oggi è tanto in voga.

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Martha Nussbaum, La Monarchia della paura. Considerazioni sulla crisi politica attuale, Il Mulino, Bologna, 2020, pp. 218.

Le società moderna sembrano attraversate da un sentimento antico ma potente, ovvero la paura, che blocca la deliberazione razionale, spingendo i decisori politici a mandare ad effetto non azioni giuste, ma azioni emotive. Questo è vero in misura maggiore negli Stati Uniti, ma è una condizione che accomuna questi ultimi a tutte le principali democrazie occidentali, sino a prefigurare una vera e propria monarchia fondata non più sulla ragione capace di discernere il giusto dall’ingiusto, ma su una ragione ottenebrata dal tarlo oscuro della paura.

Questa emozione antica è collegata alla vita evolutiva degli esseri umani, e, più precisamente, segna sin dall’inizio, l’esistenza concreta dei singoli. La condizione di estrema vulnerabilità evolutiva è segnata dalla paura, ovvero dal dolore fisico di non poter ricevere ciò di cui si necessita. In genere, si sopravvive a questa condizione, ma la paura persiste e contamina tutte le altre emozioni umane, intaccando in modo particolare «l’amore e la reciprocità» (p. 31). E questo può essere un problema se poniamo mente al fatto che la politica comincia quando iniziamo noi, ovvero quando, esistendo, scontiamo la nostra strutturale vulnerabilità, e, dunque, esperiamo la paura dal momento che, non essendo autonomi, dipendiamo dall’esterno che «non controlliamo completamente» (p. 34). E una volta adulti questa emozione antica resta latente, anche sotto la coltre rassicurante della «superficie cosciente della mente» (p. 35). In genere, non vi pensiamo oppure ci sforziamo di reprimerla, ma la paura rimane sempre presente dal momento che si lega alla nostra costituzionale condizione di mancanza e di dipendenza da ciò che ci circonda. Ma pur essendo la più primitiva delle emozioni umane, è anche profondamente anti-politica, o, per meglio dire, «asociale» (p. 38). Quando proviamo compassione o empatia, ad esempio, ci interessiamo a ciò che sta succedendo ad altri e a ciò che lo sta provocando. Ma quando abbiamo paura ci concentriamo esclusivamente su noi stessi. La paura è, per sua natura, «narcisistica» (p. 38) perché allontana da sé qualsiasi pensiero dell’altro. La paura non consente di considerare gli altri fini delle nostre azioni, ma mezzi per il nostro soddisfacimento. La paura, allora, strumentalizza gli altri per assecondare un bisogno narcisistico di controllo di terzi.

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Brevi lezioni di Botanica. Rileggiamo Rousseau

Una succinta nota introduttiva di Anna Faro, curatrice e traduttrice, ci porta a riconsiderare quest’opera del grande filosofo ginevrino. La potremmo ritenere marginale quanto all’ampiezza e ai contenuti: come si spiega ai bambini il mondo vegetale, ed anche perché è stesa dopo che le sue opere principali, Il Contratto sociale e l’Emilio, già erano state prodotte provocando sulle prime più contestazioni che consensi. Parigi e Ginevra lo rifiutano, Rousseau trova accoglienza in Inghilterra presso il filosofo David Hume, poi torna in Francia e si dedica all’osservazione del gran libro del mondo, in particolare del regno vegetale, che egli considera il più bello dei tre che la natura ci offre. È il periodo, dal 1770 fino al termine della sua esistenza 1778, delle sue passeggiate solitarie, che rinfrancano il corpo e permettono di fantasticare, senza peraltro dimenticare la ragione.

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Il rischio di pensare. Un saggio di Paolo Calabrò su scienza e paranormale in Rupert Sheldrake

Il rischio di pensare.
Il titolo del libro di Paolo Calabrò, da poco pubblicato con Progedit e dedicato al pensatore e biochimico britannico Rupert Sheldrake, è molto azzeccato: nell’opera di Sheldrake, infatti, vengono messi in questione presupposti considerati intoccabili dalla scienza e vengono presi in considerazione, come scientificamente interessanti e passibili di studio sperimentale, fenomeni quali la telepatia, la capacità di premonizione degli eventi, che sono sempre stati bollati come superstizione o come trucchi di prestigio. La sua opera è insieme critica del dogmatismo della scienza e apertura di nuovi orizzonti. Ecco perché è rischiosa: va controcorrente, sfidando quelli che sono diventati i luoghi comuni della scienza. La maggior parte degli scienziati si rifiuta di prendere sul serio il “paranormale” o “fenomeni psi” che invece Sheldrake tematizza con la massima serietà. Continua a leggere


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Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita Un saggio di Laura Campanello per Mondadori

 

 

Cosa significa ricominciare nella vita? Quando e come ciò può avvenire? Quante volte nel corso della nostra esistenza eventi, spesso traumatici, ci hanno annichilito, mettendo prima in discussione tutto, poi facendo nascere in noi l’impellenza di iniziare da capo, di ripartire con rinnovata spinta alla ricerca del senso più autentico della vita?
Il libro di Laura Campanello Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, Milano 2020, risponde a questa esigenza sentita e sperimentata da tutti e si caratterizza fin dal principio come uno strumento per accompagnare il lettore nel percorso di rinascita, attraverso consigli pratici e riflessioni mai astratte ma sempre orientate verso la concreta esperienza. L’autrice è un’esperta di Pratiche filosofiche, socio fondatore della Società di Analisi Biografica e Orientamento Filosofico (SABOF) e consulente pedagogica specializzata nell’accompagnamento alle malattie e al lutto e questo libro rispecchia la sua impostazione filosofica. Continua a leggere


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Gli almanacchi di Paolo Mantegazza. un libro Unicopli sulla sessualità di Matteo Loconsole

> di Mario Lupoli

Parlare di educazione e costumi sessuali, soprattutto in un Paese come l’Italia e a maggior ragione tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, è un’operazione culturale necessariamente polivoca. Richiama un orizzonte insieme pedagogico, filosofico e politico. Interpella una dimensione etico-morale e di costume. Rimanda a complesse questioni di genere, a percorsi di emancipazione, a un intreccio sempre instabile tra scienza, sanità, disciplinamento sociale. In quest’ordine così articolato di problemi si colloca l’accurata ricerca condotta da Matteo Loconsole, attorno agli almanacchi di Paolo Mantegazza, e di recente pubblicata per i tipi della Unicopli di Milano.

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Pensiero filosofico e teologico. Nuovo volume dell’Opera Omnia di Raimon Panikkar

> di Paolo Calabrò
Panikkar

Ogni nuovo libro che reca il nome di Raimon Panikkar in copertina è benvenuto. Ma ancor più benvenuto è questo nuovo volume dell’Opera Omnia edita in italiano da Jaca Book dal titolo Pensiero filosofico e teologico (vol. X, tomo 2), incentrato sull’indispensabile confronto tra la filosofia di Panikkar e quella occidentale moderna e contemporanea: vi si ritrovano infatti saggi rivolti al confronto con Jacobi, con Ricoeur, con Heidegger. Non solo. Esso si incentra anche sul rapporto (discorso talvolta annoso, ma sempre attuale) tra teologia e filosofia; le quali, secondo il dispositivo intellettuale classico di Panikkar, andrebbero, sì, distinte, ma non separate: una tale separazione, in effetti, «non ha ragione di essere, poiché le due discipline si implicano vicendevolmente» (dall’Introduzione).

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Mise en abyme. Un romanzo filosofico di Daniele Baron

> di Paolo Calabrò

Il romanzo Mise en Abyme di Daniele Baron, appena pubblicato da Il Seme Bianco (Roma 2019), è diverse cose insieme, può essere letto su più livelli: prima di tutto, è un giallo in cui si è sospinti alla ricerca del colpevole di un omicidio. Ma non solo: da un altro punto di vista, avendo come protagonista un aspirante scrittore con il sogno di affermarsi, è anche riflessione su (e messa sotto accusa di) una particolare concezione dell’arte come confessione e autobiografia; infine, da una lettura più in profondità emerge un terzo livello filosofico che ha a che fare con il problema del male e del trascendente.

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