
Era stata pubblicata nel 1934, la versione italiana è del 1955, La Rivoluzione personalistica e comunitaria di Emmanuel Mounier viene ora riproposta dalle Edizioni di Comunità.
Un’iniziativa editoriale, che riprende una visione del mondo già proclamata e che alcuni hanno tentato di attuare, fa pensare che abbia una particolare attinenza con il presente. Il fatto che porti la data di stampa proprio al febbraio 2022 non deve indurci a considerazioni ingenue e affrettate; probabilmente avrebbe potuto avere anche una data diversa perché il presente in questione non è quello dei tempi brevi della storia, come speriamo possa essere il conflitto che oggi sta dilaniando l’Europa, ma è riferito ad un arco temporale più ampio.
Le contingenze storiche inducono a riflettere sui valori perenni legati alla condizione umana sulla quale vorremmo porre in particolare la nostra attenzione.
Cominciando dalle prime, l’analogia che ci par di cogliere è quella di un confronto, di un antagonismo che giunge fino al conflitto armato, tra democrazie che chiudendosi in loro stesse rischiano di degenerare e regimi autoritari che intendono allargare le loro zone d’influenza. È da notare comunque che democrazia e autoritarismo, rispetto del diritto internazionale o imposizioni economiche ed anche militari non stanno chiaramente al di qua o al di là di un confine geo-politico.
Un altro elemento in comune è la diminuzione dell’autorità morale, oltre che del potere effettivo in realtà sempre modesto, degli organismi internazionali, ieri la Società delle Nazioni oggi l’ONU, per la soluzione delle contese internazionali.
Andando ora al cuore del problema che il testo, poco meno di cinquecento pagine, ci pone, pare importante innanzitutto la citazione di Charles Péguy che troviamo all’inizio: «La rivoluzione o sarà morale o non sarà affatto» (p. 23). Il termine morale fa riferimento a qualcosa di interiore, ben diverso dalla semplice azione concreta materiale, ma non così distaccata in una spiritualità a sé stante. Si vedrà infatti nel prosieguo della lettura come l’incarnazione, costituisca un punto fermo essenziale del pensiero di Mounier. Il distacco in una compiaciuta elevazione spirituale è per l’uomo altrettanto infruttuoso quanto l’immanenza assoluta in un mondo costituito solo di bisogni e desideri puramente materiali. Leggiamo: «Senza la materia il nostro slancio spirituale si perderebbe nel sogno o nell’angoscia; la materia lo piega e gli mette ostacoli, ma gli infonde anche vigore ed energia. Basta che lo spirito sappia affrontarla con animo esigente» (p. 56).
L’autore dà per assodata la concezione dell’uomo come sinolo di materia e forma e non si premura di richiamarla più di tanto. Quanto al concetto di persona, più che riferirsi agli antecedenti teologici e filosofici, intende piuttosto chiarire le incomprensioni di una certa critica del tempo che sovrappone individuo a persona e assolutizza la singolarità o la collettività. La sua concezione cristiano-cattolica lo porta a considerare la natura dell’uomo, pur corrotta dal peccato originale, come capace di agire liberamente con il pensiero e con l’azione morale. Leggiamo: «Poiché, se esiste una chiave di tutto il pensiero cattolico, è proprio questa dottrina dell’uomo ferito, ma non viziato alla radice dalla caduta originale» (p. 364) Il progetto di Mounier è aperto a varie visioni del mondo ma non a tutte: quella di un agnostico tollerante potrebbe starci, certamente no quella di un ateo materialista o di un cattolico capitalista, espressione per lui ossimorica. Inoltre le metafisiche fondanti non determinano more geometrico le innumerevoli scelte concrete, la vita personale e comunitaria è ben più ricca delle rispettive concezioni teoriche.
L’autore prima di esporre il suo progetto comunitario nota come le varie forme di aggregazione con cui gli uomini tentano di differenziarsi all’interno della massa anonima: i partiti, le associazioni di categoria, le sette e pure i gruppi culturali e sportivi, diano per un po’ agli associati una forza, e una vitalità che ben presto si dimostrerà illusoria e non potrà loro impedire di ricadere nel conformismo anonimo dal quale credevano di essersi affrancati. Tutte queste unioni sono altro dalla comunità nel senso proprio in cui la intende Mounier, sono piuttosto conglomerati più o meno impersonali (p. 113). Ma valori universalmente condivisi o ragionevoli contratti sociali fra soggetti generici non sono sufficienti a fondare una vera comunità. Conclude il discorso affermando: «Ecco quindi definitivamente dimostrata l’impossibilità di formare la comunità senza tener conto della persona, sia pur ricorrendo a supposti valori umani» (p. 124).
Dal presente testo di Mounier abbiamo estratto qualche passo che illustra, meglio di come potremmo far noi, il significato di persona e di comunità: «Quando diciamo che la persona è in un certo senso un assoluto, non diciamo che è l’Assoluto, e ancor meno proclamiamo, con i Diritti dell’uomo, l’assoluto dell’individuo giuridico. La comunità intesa come una integrazione di persone nel rispetto totale della vocazione di ciascuno, è per noi – come presto dimostreremo – una realtà, ed è quindi un valore quasi altrettanto fondamentale della persona. E sappiamo che oggi la comunità non è meno misconosciuta, meno minacciata della persona. In breve ciò che vogliamo dire è esattamente questo.
- Una persona non può mai essere considerata come mezzo da una collettività o da un’altra persona.
- Non esiste uno Spirito impersonale, un avvenimento impersonale, un valore o destino impersonale. L’impersonale è la materia. Ogni comunità è una persona di persone, altrimenti non sarebbe che un numero o una forza, quindi materia. Spirituale è uguale a personale.
- Perciò, messe da parte le circostanze eccezionali in cui il male non può essere incatenato che con la forza, è condannabile ogni regime che, di diritto o di fatto, consideri le persone come oggetti intercambiabili, le irreggimenti o faccia loro violenza opponendosi alla vocazione dell’uomo differenziato che è in ciascuna persona, oppure imponga loro questa vocazione dal di fuori mediante la tirannide di un moralismo legale, originatore di conformismo e di ipocrisia.
- La società, vale a dire il regime legale, giuridico, sociale ed economico, non ha per missione né di subordinare le persone né d’ingerirsi nello sviluppo della loro vocazione, ma d’assicurare loro, anzitutto, quella zona d’isolamento, di protezione, di serenità e di agio che permetterà loro di riconoscere, in piena libertà di spirito, la propria vocazione; di aiutarle senza costrizioni, per mezzo di un’educazione ispiratrice, a liberarsi dai conformismi e dagli errori di confusione; di dare loro, mediante l’appoggio dell’organismo sociale ed economico, i mezzi materiali comunemente necessari, tranne che nei casi di vocazioni eroiche, allo sviluppo di questa vocazione […]» (pp. 83-84).
Più avanti parla di quello che succede nella società quando la persona non è rispettata e valorizzata come tale, quando viene assolutizzato l’individuo, che nella sua pseudo-libertà agisce, o crede di agire, nella dimensione di un benessere che risulta essere tutto chiuso nella dimensione immanente. Così viene descritto: «Un tipo d’uomo vuoto – che sempre resiste, lui fortunato! – privo di ogni follia, d’ogni mistero, del senso dell’essere e del senso dell’amore, della Sofferenza e della Gioia, devoto alla felicità e alla sicurezza; rivestito nelle più alte sfere di una vernice di Cortesia, di Buon Umore, di Virtù di Razza; negli strati più bassi murato fra la lettura sonnolenta del giornale quotidiano, le rivendicazioni professionali, la noia delle domeniche e dei giorni di festa, e – come unica difesa – l’ossessione dell’ultimo pettegolezzo o dell’ultimo scandalo» (pp. 89-90).
Per contro la comunità derivante dalla rivoluzione morale di cui si è detto si deve basare secondo Mounier su alcuni punti fermi: «Una società non capitalista, quali che siano i suoi meccanismi, dovrà partire da principi diametralmente opposti a quelli dell’economia attuale, che secondo noi dovrebbero venire raggruppati in cinque principi fondamentali.
- La libertà attraverso la costrizione istituzionale. Essendo l’uomo parzialmente corrotto, la completa libertà materiale, quando dispone di mezzi altrettanto potenti di quelli dell’era industriale e finanziaria, sfocia fatalmente non già nell’armonia, ma nella guerra e nella tirannide. Il liberalismo è un’utopia. Il realismo consiste nell’inquadrare questa libertà entro istituzioni che prevengano queste tentazioni. Il capitalismo difende l’iniziativa e la libertà di pochi ponendo in stato di schiavitù la maggioranza. Noi propugniamo per tutti la costrizione materiale delle istituzioni necessarie, al fine di garantire a tutti una libertà materiale senza pericoli.
- L’economia al servizio dell’uomo. Funzione dell’economia è di soddisfare i bisogni materiali di tutti. Al di là di questo limite, i compiti dell’economia sono finiti e le sue energie devono trovare un’altra utilizzazione che non sia sviluppo artificioso. Quindi l’attività economica è subordinata a un’etica dei bisogni […].
- Primato del lavoro sul capitale. Il capitale può avanzare dei diritti in una civitas umana solo se è frutto del lavoro e coopera ad un lavoro; è illegittimo se deriva da una forma di usura o pretende di dar frutto indefinitamente senza lavoro. In ogni caso trae arricchimento solo dal lavoro e la sua potenza è subordinata a quella del lavoro.
- Primato del servizio sociale sul profitto. Il profitto capitalista, guadagno senza lavoro, deve essere condannato dalla legge. Il giusto profitto, che rappresenta esattamente il lavoro, non può essere bandito da una società di uomini in carne ed ossa. Ma la preoccupazione del guadagno deve essere subordinata, grazie alle risorse dell’educazione e alle norme delle istituzioni, agli interessi più riccamente umani, e quindi all’amore del servizio sociale in una comunità ricostituita.
- Primato della persona sviluppantesi in comunità organiche. Il regime nuovo deve porre fine al regime di anarchia e di tirannide rappresentato oggi dal capitalismo, con la creazione di comunità organiche in cui si inseriscano la vita privata, la vita pubblica, la professione. L’equilibrio garantirà queste comunità decentrate da possibili ritorni dell’anarchia e nello stesso tempo difenderà la persona, che è il valore primo essenziale, contro l’oppressione di un apparato centrale troppo accentrato» (pp. 223-224).
Per giungere a questo bisogna attuare quella rivoluzione morale capace di esprimersi in azione politica autenticamente nonviolenta. L’acquiescenza al sistema capitalistico come le rivoluzioni comuniste e fasciste sono destinate a moltiplicare ulteriormente le ingiustizie sociali.
La rivoluzione non violenta proposta da Mounier è «la virtù di forza che respinge ogni alleanza con la paura e con la debolezza» (p. 292). In molte pagine del testo viene suggerito come i principi personalistici possano trovare valida attuazione avendo perlopiù la Francia come campo di riferimento ma dando per sottintesa la loro applicazione universale.
Ma la spiritualità dell’uomo, che deve fare i conti con la pesantezza della materia, viene a trovarsi talvolta in situazioni concrete delle quali è impossibile uscire senza far ricorso a mezzi terreni. In casi estremi si può anche impugnare la spada, stando bene attenti a non farsi contaminare da questo strumento di natura impura.
EMANUEL MOUNIER, La rivoluzione personalista e comunitaria, Edizioni di Comunità, Roma 2022.
Un altro elemento in comune è la diminuzione dell’autorità morale, oltre che del potere effettivo in realtà sempre modesto, degli organismi internazionali, ieri la Società delle Nazioni oggi l’ONU, per la soluzione delle contese internazionali.
Andando ora al cuore del problema che il testo, poco meno di cinquecento pagine, ci pone, pare importante innanzitutto la citazione di Charles Péguy che troviamo all’inizio: «La rivoluzione o sarà morale o non sarà affatto» (p. 23). Il termine morale fa riferimento a qualcosa di interiore, ben diverso dalla semplice azione concreta materiale, ma non così distaccata in una spiritualità a sé stante. Si vedrà infatti nel prosieguo della lettura come l’incarnazione, costituisca un punto fermo essenziale del pensiero di Mounier. Il distacco in una compiaciuta elevazione spirituale è per l’uomo altrettanto infruttuoso quanto l’immanenza assoluta in un mondo costituito solo di bisogni e desideri puramente materiali. Leggiamo: «Senza la materia il nostro slancio spirituale si perderebbe nel sogno o nell’angoscia; la materia lo piega e gli mette ostacoli, ma gli infonde anche vigore ed energia. Basta che lo spirito sappia affrontarla con animo esigente» (p. 56).
L’autore dà per assodata la concezione dell’uomo come sinolo di materia e forma e non si premura di richiamarla più di tanto. Quanto al concetto di persona, più che riferirsi agli antecedenti teologici e filosofici, intende piuttosto chiarire le incomprensioni di una certa critica del tempo che sovrappone individuo a persona e assolutizza la singolarità o la collettività. La sua concezione cristiano-cattolica lo porta a considerare la natura dell’uomo, pur corrotta dal peccato originale, come capace di agire liberamente con il pensiero e con l’azione morale. Leggiamo: «Poiché, se esiste una chiave di tutto il pensiero cattolico, è proprio questa dottrina dell’uomo ferito, ma non viziato alla radice dalla caduta originale» (p. 364) Il progetto di Mounier è aperto a varie visioni del mondo ma non a tutte: quella di un agnostico tollerante potrebbe starci, certamente no quella di un ateo materialista o di un cattolico capitalista, espressione per lui ossimorica. Inoltre le metafisiche fondanti non determinano more geometrico le innumerevoli scelte concrete, la vita personale e comunitaria è ben più ricca delle rispettive concezioni teoriche.
L’autore prima di esporre il suo progetto comunitario nota come le varie forme di aggregazione con cui gli uomini tentano di differenziarsi all’interno della massa anonima: i partiti, le associazioni di categoria, le sette e pure i gruppi culturali e sportivi, diano per un po’ agli associati una forza, e una vitalità che ben presto si dimostrerà illusoria e non potrà loro impedire di ricadere nel conformismo anonimo dal quale credevano di essersi affrancati. Tutte queste unioni sono altro dalla comunità nel senso proprio in cui la intende Mounier, sono piuttosto conglomerati più o meno impersonali (p. 113). Ma valori universalmente condivisi o ragionevoli contratti sociali fra soggetti generici non sono sufficienti a fondare una vera comunità. Conclude il discorso affermando: «Ecco quindi definitivamente dimostrata l’impossibilità di formare la comunità senza tener conto della persona, sia pur ricorrendo a supposti valori umani» (p. 124).
Dal presente testo di Mounier abbiamo estratto qualche passo che illustra, meglio di come potremmo far noi, il significato di persona e di comunità: «Quando diciamo che la persona è in un certo senso un assoluto, non diciamo che è l’Assoluto, e ancor meno proclamiamo, con i Diritti dell’uomo, l’assoluto dell’individuo giuridico. La comunità intesa come una integrazione di persone nel rispetto totale della vocazione di ciascuno, è per noi – come presto dimostreremo – una realtà, ed è quindi un valore quasi altrettanto fondamentale della persona. E sappiamo che oggi la comunità non è meno misconosciuta, meno minacciata della persona. In breve ciò che vogliamo dire è esattamente questo.
- Una persona non può mai essere considerata come mezzo da una collettività o da un’altra persona.
- Non esiste uno Spirito impersonale, un avvenimento impersonale, un valore o destino impersonale. L’impersonale è la materia. Ogni comunità è una persona di persone, altrimenti non sarebbe che un numero o una forza, quindi materia. Spirituale è uguale a personale.
- Perciò, messe da parte le circostanze eccezionali in cui il male non può essere incatenato che con la forza, è condannabile ogni regime che, di diritto o di fatto, consideri le persone come oggetti intercambiabili, le irreggimenti o faccia loro violenza opponendosi alla vocazione dell’uomo differenziato che è in ciascuna persona, oppure imponga loro questa vocazione dal di fuori mediante la tirannide di un moralismo legale, originatore di conformismo e di ipocrisia.
- La società, vale a dire il regime legale, giuridico, sociale ed economico, non ha per missione né di subordinare le persone né d’ingerirsi nello sviluppo della loro vocazione, ma d’assicurare loro, anzitutto, quella zona d’isolamento, di protezione, di serenità e di agio che permetterà loro di riconoscere, in piena libertà di spirito, la propria vocazione; di aiutarle senza costrizioni, per mezzo di un’educazione ispiratrice, a liberarsi dai conformismi e dagli errori di confusione; di dare loro, mediante l’appoggio dell’organismo sociale ed economico, i mezzi materiali comunemente necessari, tranne che nei casi di vocazioni eroiche, allo sviluppo di questa vocazione […]» (pp. 83-84).
Più avanti parla di quello che succede nella società quando la persona non è rispettata e valorizzata come tale, quando viene assolutizzato l’individuo, che nella sua pseudo-libertà agisce, o crede di agire, nella dimensione di un benessere che risulta essere tutto chiuso nella dimensione immanente. Così viene descritto: «Un tipo d’uomo vuoto – che sempre resiste, lui fortunato! – privo di ogni follia, d’ogni mistero, del senso dell’essere e del senso dell’amore, della Sofferenza e della Gioia, devoto alla felicità e alla sicurezza; rivestito nelle più alte sfere di una vernice di Cortesia, di Buon Umore, di Virtù di Razza; negli strati più bassi murato fra la lettura sonnolenta del giornale quotidiano, le rivendicazioni professionali, la noia delle domeniche e dei giorni di festa, e – come unica difesa – l’ossessione dell’ultimo pettegolezzo o dell’ultimo scandalo» (pp. 89-90).
Per contro la comunità derivante dalla rivoluzione morale di cui si è detto si deve basare secondo Mounier su alcuni punti fermi: «Una società non capitalista, quali che siano i suoi meccanismi, dovrà partire da principi diametralmente opposti a quelli dell’economia attuale, che secondo noi dovrebbero venire raggruppati in cinque principi fondamentali.
- La libertà attraverso la costrizione istituzionale. Essendo l’uomo parzialmente corrotto, la completa libertà materiale, quando dispone di mezzi altrettanto potenti di quelli dell’era industriale e finanziaria, sfocia fatalmente non già nell’armonia, ma nella guerra e nella tirannide. Il liberalismo è un’utopia. Il realismo consiste nell’inquadrare questa libertà entro istituzioni che prevengano queste tentazioni. Il capitalismo difende l’iniziativa e la libertà di pochi ponendo in stato di schiavitù la maggioranza. Noi propugniamo per tutti la costrizione materiale delle istituzioni necessarie, al fine di garantire a tutti una libertà materiale senza pericoli.
- L’economia al servizio dell’uomo. Funzione dell’economia è di soddisfare i bisogni materiali di tutti. Al di là di questo limite, i compiti dell’economia sono finiti e le sue energie devono trovare un’altra utilizzazione che non sia sviluppo artificioso. Quindi l’attività economica è subordinata a un’etica dei bisogni […].
- Primato del lavoro sul capitale. Il capitale può avanzare dei diritti in una civitas umana solo se è frutto del lavoro e coopera ad un lavoro; è illegittimo se deriva da una forma di usura o pretende di dar frutto indefinitamente senza lavoro. In ogni caso trae arricchimento solo dal lavoro e la sua potenza è subordinata a quella del lavoro.
- Primato del servizio sociale sul profitto. Il profitto capitalista, guadagno senza lavoro, deve essere condannato dalla legge. Il giusto profitto, che rappresenta esattamente il lavoro, non può essere bandito da una società di uomini in carne ed ossa. Ma la preoccupazione del guadagno deve essere subordinata, grazie alle risorse dell’educazione e alle norme delle istituzioni, agli interessi più riccamente umani, e quindi all’amore del servizio sociale in una comunità ricostituita.
- Primato della persona sviluppantesi in comunità organiche. Il regime nuovo deve porre fine al regime di anarchia e di tirannide rappresentato oggi dal capitalismo, con la creazione di comunità organiche in cui si inseriscano la vita privata, la vita pubblica, la professione. L’equilibrio garantirà queste comunità decentrate da possibili ritorni dell’anarchia e nello stesso tempo difenderà la persona, che è il valore primo essenziale, contro l’oppressione di un apparato centrale troppo accentrato» (pp. 223-224).
Per giungere a questo bisogna attuare quella rivoluzione morale capace di esprimersi in azione politica autenticamente nonviolenta. L’acquiescenza al sistema capitalistico come le rivoluzioni comuniste e fasciste sono destinate a moltiplicare ulteriormente le ingiustizie sociali.
La rivoluzione non violenta proposta da Mounier è «la virtù di forza che respinge ogni alleanza con la paura e con la debolezza» (p. 292). In molte pagine del testo viene suggerito come i principi personalistici possano trovare valida attuazione avendo perlopiù la Francia come campo di riferimento ma dando per sottintesa la loro applicazione universale.
Ma la spiritualità dell’uomo, che deve fare i conti con la pesantezza della materia, viene a trovarsi talvolta in situazioni concrete delle quali è impossibile uscire senza far ricorso a mezzi terreni. In casi estremi si può anche impugnare la spada, stando bene attenti a non farsi contaminare da questo strumento di natura impura.
EMANUEL MOUNIER, La rivoluzione personalista e comunitaria, Edizioni di Comunità, Roma 2022.
18 Maggio 2022 alle 19:40
Ringrazio per la pubblicazione e comunico che c’è la ripetizione dei primi quattro paragrafi.
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18 Maggio 2022 alle 19:45
Si dovrebbe eliminare il testo fino alla riga 14.
Saluti.
R. Pisani
>
18 Maggio 2022 alle 21:40
Grazie per la segnalazione, abbiamo provveduto.
Cordialmente