Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Considerazioni sulla logica di Heidegger

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Logica e ontologia: la via heideggeriana.

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Il nome di Martin Heidegger è uno di quelli più famosi della storia della filosofia occidentale e tra coloro che maggiormente ne hanno influenzato lo sviluppo successivo, almeno negli ultimi due secoli.

Tuttavia, non è necessario stendere un elogio nei confronti dell’autore di Sein und Zeit, e nemmeno lo farò; piuttosto, svolgerò delle considerazioni non elogiative nei confronti di una riflessione marginale che il filosofo tedesco ha svolto intorno alla logica. Sì, perché Heidegger si è anche occupato di logica, sebbene a partire dalla sua caratteristica prospettiva per metà ontologica e per metà fenomenologica.

Vi faremo, pertanto, riferimento nei termini di una logica ontologica o metafisica.

Si tratta, a tutti gli effetti, di uno sviluppo del tutto estraneo, allora, alla direzione di sviluppo formale della stessa, e ciò, a mio sommesso parere, marca la profonda distanza di Heidegger dal cosiddetto filone analitico; nello stesso tempo, però, questo discorso così eterogeneo ha un suo pregio, ovvero illuminare il nesso tra la logica e l’ontologia e tra Heidegger e il razionalismo moderno, Cartesio e Leibniz su tutti.

Non si tratterà, com’è ben evidente sin da subito, di concordare o dissentire sulla bontà dei pensieri heideggeriani, ma di illuminare la riflessione heideggeriana intorno a logica e ontologia.

Non è esattamente un compito teoretico, e nemmeno un compito formale; al più, trattasi di un vago procedere razionale, davvero poco appetibile per il mio palato ma egualmente degno di nota.

Principi metafisici della logica.

Nel corso universitario tenuto nel 1928 presso l’università di Marburgo, Heidegger prende le mosse più convenzionali per tematizzare l’oggetto della logica[4]. Infatti, la fa derivare dal greco logiché episthémhe, «scienza che tratta del logos»[5]. Ponendo a derivazione da logos il termine asserzione, Heidegger configura la logica come determinare qualcosa come qualcosa[6]. La determinazione corrisponde al pensiero e, dal momento che il pensiero è sia pensiero di qualcosa ma anche pensiero di per sé, dunque, la logica riguarda il movimento determinante «dell’ente stesso»[7].

Le asserzioni potrebbero essere vere o false, generali o particolari, assertive o ipotetiche … ma la logica (di Heidegger) ne prende in considerazione soltanto alcune, e segnatamente «su ciò che in generale appartiene ad un logos, a un’asserzione, a una determinazione»[8]. Con uno scarto classico, a questo punto, il filosofo divide in due il divenire logico, la determinazione formale da una parte e la determinazione materiale dall’altra parte; e segnatamente, la prima riguarda il processo astratto mentre la seconda riguarda gli specifici oggetti concreti della determinazione.

Il pensiero, dunque, è soltanto quello formale, ovvero quello indifferente alla materialità dei suoi oggetti.

D’altro canto, la logica di siffatto pensiero tratta «di ciò che appartiene a un pensiero di qualcosa in generale»[9]. Sulla scorta di una lontana eco kantiana, Heidegger precisa e struttura detto pensiero della logica nei termini di ciò che rende possibile il pensiero stesso. Detta logica attiene ad una legalità del pensiero in quanto tale. Di conseguenza, è logica la «scienza delle regole formali del pensiero»[10]. E qui, ahimé, terminano le contaminazioni moderne tra logica trascendentale e logica formale.

Quando Heidegger usa il termine formale designa il modo di determinazione proprio della logica trascendentale. Pertanto, la natura formale della logica s’intreccia con il modo di procedere proprio della filosofia. Non esiste per davvero una logica formale, ma una forma della logica. O, per meglio dire, una logica filosofica. Non un filosofare in generale, dunque, ma la messa in evidenza del problema del fondamento della logica.

I problemi della logica sono i problemi della filosofia. E, in maniera caratteristica, il domandare filosofico diviene qui la temporalità dell’ente che filosofa. Il tempo dell’esserci è l’essere di colui che pensa. O, parafrasando Aristotele, e passando per un suo evidente travisamento, il Nostro trasforma la filosofia in «scienza dell’essere»[11]. Esso è il problema fondamentale della filosofia, ovvero come determinare l’essere e come comprendere la stessa determinazione. L’uomo partecipa dell’essere, ma non è tutto l’essere. Nondimeno, però, è per suo tramite che l’essere viene pensato, ovvero determinato. Dunque, esistono più livelli intersecantisi della determinazione, in quel divenire espressamente heideggeriano che oltrepassa sempre la meta appena raggiunta.

L’essere si realizza nell’esserci benché la durata di quest’ultimo sia decisamente inferiore rispetto alla durata dell’essere. E nondimeno la temporalità umana «è il modo supremo dell’essere»[12] quando «divenga l’esistere della libertà e per la libertà»[13]. Gli echi di Essere e tempo sono qui ben presenti dal momento che il modo d’essere della logica diviene il modo d’essere della fenomenologia esistenziale: la potenzialità dell’essere è il senso stesso dell’ente che compie le determinazioni[14]. E tuttavia il Nostro avverte come la logica non tratti espressamente dell’essere, bensì «del pensiero»[15]. E dal momento che pensare è un’attività da parte degli uomini, la logica, proprio perché studio del pensiero, viene da Heidegger ricompresa nell’insieme vastissimo dell’antropologia filosofica. Quest’attività, proprio per avere luogo, dovrà reggersi su una sua natura, ovvero su un insieme principi fondamentali, e segnatamente «i fondamenti delle proposizioni in generale, fondamenti che rendono possibile il pensiero»[16].

A causa della natura doppia del pensiero logico, ovvero la determinazione come processo e la determinazione come essenza determinante, Heidegger “gioca” con la differenza ontologica. Infatti, avverte subito dopo come vi sia un «rapporto particolare tra pensiero ed essere»[17], tale da rendere possibile la completa comprensione del fondamento del pensiero medesimo. Solo dopo aver raggiunto tale esito, sarà possibile intendersi di logica filosofica.

Non la logica formale, ma la logica filosofica è quell’argomento che Heidegger si prefigge di affrontare, dopo aver sviscerato il linguaggio a modo suo. Così, il logos viene fatto risalire ad Aristotele, nel suo significato principale di asserzione, e fatto passare per il filtro di Leibniz, sino a divenire un «intreccio di rappresentazioni»[18], ossia tre dottrine congiunte, del concetto, del giudizio e del sillogismo.

Ad ogni modo, Heidegger tiene ben fermo il suo presupposto di fondo, ovvero che il fenomeno fondamentale della logica sia il logos «nel senso di determinazione assertiva»[19], ossia di giudizio. E quest’ultimo pare trovare in Leibniz il suo sviluppo moderno più coerente.

Tramite il filosofo della Monadologia, Heidegger riconduce l’attività del pensiero al soggetto pensante. Lo stesso pensiero è, a tutti gli effetti, «un modo di essere»[20] degli enti. Lasciando impregiudicato il locus amoenus della priorità tra pensiero ed essere, attraverso l’esame di Leibniz, ma anche della Scolastica, il Nostro giunge all’idea della conoscenza. D’altro canto, in sintesi brutale, se il pensiero è giudizio, ciò che viene determinato logicamente deve essere anche giudicato in ragione della sua maggiore o minore prossimità con ciò che esiste. Non è possibile, allora, separare la teoria del giudizio dal pensiero e dall’essere.

Peraltro, in Heidegger la logica non è mai una condizione di realizzazione concreta del pensiero, ma al massimo «una scienza delle regole»[21]. Dal momento che queste regole sono fissate ad una tradizione storica, la logica stessa è impossibilitata a spiegarle o giustificarle autonomamente. Ne consegue, pertanto, una preminenza della metafisica rispetto alla logica[22].

Verrebbe da pensare a Husserl[23] oppure anche ad Hegel, ma reprimendo la tentazione resta da appurare in che modo detto primato possa conciliarsi con i principi razionali, come, tanto per dirne uno, il principio di non contraddizione. Oppure, quello di ragion sufficiente.

Logica e metafisica.

Heidegger deriva da Leibniz il convincimento profondo in forza del quale due siano i principi fondamentali della verità e della conoscenza, ossia il principio di non contraddizione e il principio di ragion sufficiente[24]. Ed è questa eredità a far concepire al Nostro la logica come metafisicamente fondata. D’altra parte, comprendere significa «conoscere la ragione di qualcosa»[25], ovvero «cogliere la ragione fondante di qualcosa nell’atto del suo fondare»[26]. Non la causa di qualcosa, ma il perché, il suo arché! Questa ragione è tripartita, seguendo lo stagirita, perché è essenza, ovvero «ragione dell’essere-che-cosa»[27]; e causa, ovvero «ragione dell’essere-presente»[28]; e argomento, cioè «ragione dell’essere-vero»[29]. Questa stessa ragione, però, rimane immotivata, è necessaria una sua giustificazione. La ragione postula una «preminenza di qualcosa rispetto al nulla»[30]. Ma di che cosa si tratta? Il principio di ragione, allora, rimanda al problema dell’essere in generale. E quest’ultimo «è il problema centrale della logica»[31].

La logica si fonda sul pensiero e quest’ultimo «deve fondarsi ed essere fondato»[32]. Attraverso la natura temporale dell’ente che pensa, Heidegger focalizza la questione del fondamento della logica mediante la dottrina centrale in Essere e tempo. Pertanto, la logica per Heidegger non è «nient’altro che la metafisica della verità»[33].

E per il Nostro la metafisica è la regione della «differenza tra ente ed essere».[34]

Tuttavia, la logica moderna non è la logica metafisica di Heidegger. Come ci rammentano Varzi et alii ed anche Berto, la logica è lo studio del ragionamento umano[35], e non del pensiero umano. La differenza è macroscopica. Mentre per Heidegger il logos è il procedimento seguito dal pensiero per determinare la realtà, il logos per la logica è l’insieme delle enunciazioni linguistiche che usualmente adoperiamo per formulare giudizi, ragionamenti ed argomentazioni. In Heidegger, la logica è lo studio dei principi metafisici del pensiero; nella logica moderna, invece, è lo studio formale del linguaggio umano quando viene adoperato per costruire giudizi, ragionamenti e argomentazioni. Heidegger non è un formalista, è un metafisico. E, di conseguenza, è un continentale, e non un analitico, qualunque cosa detta dicotomia voglia o possa significare, per tutti o per i più.

Ma con questo non voglio affatto avvallare uno iato tra logica e metafisica, o tra analitici e continentali; voglio invece sottolineare una profonda differenza di metodo. Mentre la logica intende spiegare il meccanismo dei ragionamenti razionali, Heidegger desidera comprendere il meccanismo del pensiero razionale. Il Nostro, in breve, non spiega, comprende.

A questo punto, allora, la domanda sorge spontanea: ci basta comprendere? Giusto per tirare in ballo un autore classico e antecedente al Nostro, comprendere è sì importante, ma lo è di più che il pensiero abbia luogo mediante l’uso meditato della copulazione[36], vale a dire della sua sensata articolazione linguistica. E, dunque, forse, non basta determinare, ma sarebbe opportuno anche conoscere in che modo concretamente il pensiero determini[37], e più esattamente cosa consenta di distinguere tra il vero e il falso, tra ciò che è sensato e ciò che non lo è, tra ciò che è valido e ciò che non lo è[38]. Questa modalità è esattamente ciò che manca nella metafisica heideggeriana.

Il resto della storia la conosciamo già, dall’ontoteologia Heidegger perviene alla «storia dell’assenza o mancanza dell’essere stesso»[39].

Conclusioni.

Per Heidegger, la logica e la metafisica si fondano sulla comprensione dell’essere. Quest’ultima è segnata dalla differenza ontologica dal momento che l’ente compie questa comprensione. Ma l’uomo «è un essere della lontananza»[40] ed è soltanto attraverso un’autentica lontananza originaria che si forma nella sua trascendenza rispetto a ogni ente. La stessa rende possibile una vera prossimità alle cose. Nel corrispondere da parte dell’uomo all’appello dell’essere consiste la comprensione della temporalità, l’esserci «è il tempo stesso»[41], l’esserci «non è il tempo, ma la temporalità»[42]. Questo stesso svolgimento conduce alla prospettiva metafisica di alcuni dopo, quando per Heidegger il tempo diventa il soggetto stesso[43].

Non si può certo dire che lo svolgimento dell’ontologia heideggeriana sia stata poco coerente. Al contrario, esiste un fil rouge che attraversa i luoghi presi in considerazione e che tematizza la sottile ed intima connessione tra essere, esserci e pensiero.

Un legame, altro modo per esprimere la natura duplice della rappresentazione, che dice di un senso soltanto della tecnica del pensiero, che in Heidegger è metafisica e che per me sarebbe invece propriamente logica. E qui al crocicchio tra il fondamento metafisico del pensiero e il pensiero che funziona secondo determinate regole razionali mi arresto.

Prima, però, di congedarci, lasciamo ancora una volta la parola al Nostro:

La difficoltà sta nel linguaggio. Le nostre lingue occidentali sono, ciascuna in modo diverso, lingue del pensiero metafisico […] La piccola parola «è», che parla ovunque nella nostra lingua, e dice dell’essere anche quando non viene espressamente pronunciata, contiene – a partire dallo éstin gàr einai di Parmenide fino all’«è» in una posizione (Setzung) da parte della volontà di potenza in Nietzsche – l’intero destino dell’essere[44]

Bibliografia

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I. M. Copi — C. Cohen, Introduzione alla logica, Il Mulino, Bologna, 1999.

C. Esposito, Esistenza e pensiero dell’essere: Martin Heidegger, in U. Eco – R. Fedriga, La filosofia e le sue storie, pp. 357 – 369.

M. L. Facco, Metafisica, logica, matematica. Leibniz, Boole, Rosmini, Marsilio, Venezia, 1997.

M. Ferraris – E. Terrone, Filosofia teoretica, Il Mulino, Bologna, 2017.

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M. Heidegger, Il concetto di tempo, Adelphi, Milano, 20004.

M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», Adelphi, Milano, 20004.

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E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari, 1966.

Alessandro Pizzo. Logica si dice in molti modi. Un viaggio concettuale dentro la ragione umana. Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 12 (2010) [pubblicato: 20/12/2010], disponibile su World Wide Web: <https://mondodomani.org/dialegesthai/&gt;, ISSN 1128-5478, https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/alessandro-pizzo-17.

A. Pizzo. Ontologia in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice «è». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 14 (2012) [pubblicato: 10/07/2012], disponibile su World Wide Web: <https://mondodomani.org/dialegesthai/&gt;, ISSN 1128-5478, https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/alessandro-pizzo-20.

R. Poli, Appunti di logica, Edizioni Goliardiche, Trieste, 1999.

A. C. Varzi — J. Nolt — D. Rohatyn, Logica, McGraw Hill, Milano, 20072.


[1] Cfr. M. Heidegger, Il concetto di tempo, Adelphi, Milano, 20004, pp. 30 – 1.

[2] Cfr. M. Heidegger, Lettera sull’«umanismo», Adelphi, Milano, 20004, p. 81.

[3] Cfr. M. L. Facco, Metafisica, logica, matematica. Leibniz, Boole, Rosmini, Marsilio, Venezia, 1997, p. 9.

[4] Cfr. R. Poli, Appunti di logica, Edizioni Goliardiche, Trieste, 1999, p. 3: « Il termine ‘logica’ deriva come noto da ‘logos’».

[5] Cfr. M. Heidegger, Principi metafisici della logica, Il Melangolo, Genova, 2000, p. 15.

[6] Ibidem.

[7] Supra.

[8] Ivi, p. 16.

[9] Ivi, p. 17.

[10] Ivi, p. 18.

[11] Ivi, p. 28.

[12] Ivi, p. 34.

[13] Ibidem.

[14] Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 2000, p. 209 e sg.: «si tratta di una logica che si fonda nell’ontologia della semplice presenza […]  Bisogna invece istituire un’indagine intorno alle forme fondamentali che rendono possibile ogni articolazione del comprensibile in significati, senza limitarsi all’esame dell’ente intramondano risultante alla considerazione teoretica ed espresso in proposizioni. La teoria del significato non è il frutto spontaneo della comparazione di linguaggi i più numerosi e remoti possibili».

[15] Cfr. M. Heidegger, Principi … op. cit., p. 34.

[16] Ivi, p. 35.

[17] Ivi, p. 37.

[18] Ivi, p. 40.

[19] Ivi, p. 41.

[20] Ivi, p. 45.

[21] Ivi, p. 126.

[22] Ivi, p. 127.

[23] Cfr. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari, 1966, p. 23.

[24] Cfr. M. Heidegger, Principi … op. cit., p. 130.

[25] Ivi, p. 131.

[26] Ibidem.

[27] Ivi, p. 132.

[28] Ibidem.

[29] Supra.

[30] Ivi, p. 136.

[31] Ivi, p. 138.

[32] Ivi, p. 144.

[33] Ivi, p. 251.

[34] Cfr. M. Heidegger, Identità e differenza, Adelphi, Milano, 2009, p. 65.

[35] Cfr. A. C. Varzi — J. Nolt — D. Rohatyn, Logica, McGraw Hill, Milano, 20072, p. 1.

[36] Cfr. A. Pizzo. Ontologia in Parmenide: come e cosa si pensa quando si dice «è». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 14 (2012) [pubblicato: 10/07/2012], disponibile su World Wide Web: <https://mondodomani.org/dialegesthai/&gt;, ISSN 1128-5478, https://mondodomani.org/dialegesthai/articoli/alessandro-pizzo-20 .

[37] Cfr. F. Berto, Logica. Da zero a Gödel, Laterza, Roma — Bari, 2007, p. 3: «definiamo la logica a partire da quelli che secondo molti (ancorché non tutti) sono il suo oggetto principale e il suo scopo. La logica è la disciplina che studia le condizioni di correttezza del ragionamento. Il suo scopo è dunque elaborare criteri e metodi, attraverso i quali si possano distinguere i ragionamenti corretti, detti anche validi, da quelli scorretti, o invalidi».

[38] Cfr. I. M. Copi — C. Cohen, Introduzione alla logica, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 19: «La logica è lo studio dei metodi e dei principi usati per distinguere il ragionamento corretto da quello scorretto».

[39] Cfr. C. Esposito, Esistenza e pensiero dell’essere: Martin Heidegger, in U. Eco – R. Fedriga, La filosofia e le sue storie, p. 369.

[40] Cfr. M. Heidegger, Principi … op. cit., p. 261.

[41] Cfr. M. Heidegger, Il concetto … op. cit., p. 40.

[42] Ivi, p. 49.

[43] Cfr. M. Ferraris – E. Terrone, Filosofia teoretica, Il Mulino, Bologna, 2017, p. 94.

[44] Cfr. M. Heidegger, Identità … op. cit., p. 97.

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