Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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RIFLESSIONI INTORNO LA FIGURA DI MARIA EGIZIACA

La figura di Maria Egiziaca si propone come un viaggio dentro l’interiorità dell’essere umano, una voce del deserto che nel silenzio parla alla coscienza di chi ritiene non definitiva la strada intraprese nella propria vita. Un viaggio alla ricerca di sé stessi, all’accettazione di sé, alla riscoperta della propria intima libertà. Libertà di una storia di vita, di una persona, di un nome, Maria Egiziaca. La libertà è sempre vita vissuta. Nella storia di Maria, parafrasando Charles Peguy, emerge il significato della dialettica eterno-tempo, spirito-carne, anima-corpo. Non esiste vera libertà laddove lo spirituale manchi del carnale, l’eterno del temporale, l’anima del corpo[1].

La storia di Maria Egiziaca[2] è la storia di un incontro. Noi siamo chi incontriamo scriveva don Luigi Giussani dove incontro è sempre presenza, coinvolgimento, stravolgimento di un vissuto col nostro desiderio di vivere intensamente il reale[3]. Incontro che per Maria si rivela autentico, meraviglioso, radicale, vero, libero. Quell’autenticità la cui strada Kierkegaard, in uno slancio etico ed estetico, ci invitava a percorrere[4]. Un percorso che non è semplice, agevole, immediato. Perché la storia di Maria Egiziaca è anche una storia di fragilità, di debolezza, di errori. Ma è anche storia di speranza: dalla fragilità alla forza di un Amore che nel suo dono è per la prima volta denso di significato per Maria. Si legge in uno scritto di Bruno Schettino, curato da Fernando Barra, su Maria Egiziaca: “Non aver mai amato, non essere mai stata libera, non aver mai sperato[5].

Centrale è l’incontro con il monaco Zosima (il nome zosimos, in greco, sta a significare vigoroso, vitale, che dà vita), incontro con chi ha vissuto il deserto come riduzione della vanità e transitorietà  del mondo a polvere e cenere[6]. Incontra dirompente per Maria perchè crea in Lei quella “crisi” (etimologicamente taglio) che scinde in due strade possibili la sua vita: restare nell’angoscia delle infinità possibilità a cui si era abbandonato o redimersi in un altro percorso alla ricerca di senso e dell’Altro. 

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ETHIK COME PROGETTO GLOBALE DELLA FILOSOFIA MORALE DI ROMANO GUARDINI

Gli ultimi anni della vita accademica di Romano Guardini (1950-1962) furono, per la maggior parte, dedicati alla nascita di una pubblicazione che contenesse, in maniera sintetica, tutte le sue ricerche in ambito etico.

Studi, lezioni, appunti che non prendevano avvio dalla volontà di dar vita a una dottrina sistematica ed elaborata dell’etica ma emergevano proprio dalla complessa realtà storica ed esistenziale in cui Guardini si trovava coinvolto.

La riflessione etica, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e del fenomeno nazista, diventava, in particolar modo in ambiente tedesco, primaria e problematica e veniva inserita, necessariamente, in quel processo di ricostruzione materiale e spirituale dell’Europa volto a superare definitivamente le devastazioni dei totalitarismi e le brutalità della guerra.

La domanda sull’essenza del bene, sulle condizioni della sua conoscenza, sui criteri della sua attuazione, sulla differenza col male, sulla comunicabilità di questa sostanziale divergenza, sulla distinzione tra libertà dell’uomo e sua oppressione, emergevano, in maniera così drammatica e contraddittoria, da condurre ad una analisi più accurata e profonda dell’agire pratico[1].

Guardini rispose a questa esigenza, che la stessa realtà storica gli rendeva presente, e lo fece mettendo in atto ciò che Bruno Kurth ha definito: << un etica come riflessione critica sull’agire e sull’esistenza umana alla luce della differenza tra bene e male>>.[2] 

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