Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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La mosca, il timone e l’osservatore. Il libero arbitrio è solo un’illusione(?). Fisica, filosofia e teologia a confronto

di Pietro Polieri

Breve sintesi

Il libero arbitrio continua ad essere ancora oggi al centro di un dibattito che dalla filosofia e dalla teologia, in cui era stato tradizionalmente situato e analizzato in passato, si è andato progressivamente spostando, nella contemporaneità, nella giurisdizione teoretico-operativa delle neuroscienze cognitive ed anche, con frutti inattesi ma tutti ancora da approfondire e valutare, in quella della fisica. Dove il problema si pone, soprattutto da parte della Meccanica Quantistica, in termini di una sua plausibilità a seconda che si concepisca il mondo atomico e sub-atomico come articolato in modo indeterministico, come previsto dalla teoria, per così dire, ‘standard’, o deterministico, come proposto dalle più recenti e radicali ipotesi, tra cui quella avanzata dallo studioso olandese Gerard ’t Hooft, classificabile come ‘superdeterminismo’. Una questione che, lungi dal trovare esaurimento nel solo ambito della fisica teorica, ha risollecitato filosofia e teologia a riproporsi ermeneuticamente sul tema e a pronunciarsi rispetto a tale istanza scientifica, mostrando, così, la complessità, soprattutto di tipo metodologico, di tale iniziativa dialogico-interdisciplinare e i limiti propri del linguaggio delle due discipline ‘umanistiche’ nel trattare un argomento che, pur nato e vissuto con loro, sembra aver traslocato in una sede teorica apparentemente più rigorosa e creativa.      

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ETHIK COME PROGETTO GLOBALE DELLA FILOSOFIA MORALE DI ROMANO GUARDINI

Gli ultimi anni della vita accademica di Romano Guardini (1950-1962) furono, per la maggior parte, dedicati alla nascita di una pubblicazione che contenesse, in maniera sintetica, tutte le sue ricerche in ambito etico.

Studi, lezioni, appunti che non prendevano avvio dalla volontà di dar vita a una dottrina sistematica ed elaborata dell’etica ma emergevano proprio dalla complessa realtà storica ed esistenziale in cui Guardini si trovava coinvolto.

La riflessione etica, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e del fenomeno nazista, diventava, in particolar modo in ambiente tedesco, primaria e problematica e veniva inserita, necessariamente, in quel processo di ricostruzione materiale e spirituale dell’Europa volto a superare definitivamente le devastazioni dei totalitarismi e le brutalità della guerra.

La domanda sull’essenza del bene, sulle condizioni della sua conoscenza, sui criteri della sua attuazione, sulla differenza col male, sulla comunicabilità di questa sostanziale divergenza, sulla distinzione tra libertà dell’uomo e sua oppressione, emergevano, in maniera così drammatica e contraddittoria, da condurre ad una analisi più accurata e profonda dell’agire pratico[1].

Guardini rispose a questa esigenza, che la stessa realtà storica gli rendeva presente, e lo fece mettendo in atto ciò che Bruno Kurth ha definito: << un etica come riflessione critica sull’agire e sull’esistenza umana alla luce della differenza tra bene e male>>.[2] 

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La conoscenza tra ragione e esperienza

Abstract: questo breve articolo indaga sulla concezione filosofica della conoscenza occupandosi nello specifico di Cartesio e Kant.

Ci capita spesso di dire “La vista mi ha ingannato” ebbene, credo che fosse proprio questo che Cartesio intendesse con la proposizione “I sensi ci ingannano”. Questa frase, apparentemente molto semplice e comune racchiude in realtà un significato filosofico molto profondo, legato alla percezione e all’intelletto. Un’affermazione, dunque, che apre alle porte della riflessione poiché connette la filosofia alla psicologia. In questo breve scritto vorrei esporre l’elucubrazione cartesiana inerente alla questione della sensibilità umana applicata alla realtà. Nel testo “Meditazioni di Filosofia Prima”, il filosofo francese, espone alcune regole che dovrebbero fungere da guida per raggiungere una conoscenza certa del reale. Ciò che più colpisce della strada che Cartesio decide di intraprendere è un gradino fondamentale nell’escalation della  conoscenza, ovvero “il dubbio”.
Egli decide di dubitare di ogni cosa, persino dell’esistenza del suo stesso corpo, il dubbio detto “iperbolico”, ipotizzando che un genio maligno lo stia ingannando. Questo procedimento lo conduce alla sua affermazione più celebre “Cogito ergo sum”. Il filosofo infatti sostiene che si può dubitare di qualunque cosa, ma non del fatto che si sta dubitando e quindi pensando; l’atto stesso del pensare, a questo punto, testimonia l’esistenza del pensante e da qui la proposizione cartesiana “Penso dunque esisto”.
La sua illuminazione filosofica collegata ad una mera concezione razionale, Cartesio fu il padre del Razionalismo, ha destato diverse critiche nel contesto intellettuale del tempo, ciò non toglie che abbia smosso le acque del sapere, centrando l’attenzione della conoscenza non più sull’oggetto, esterno all’uomo, bensì sul soggetto, l’uomo stesso. Egli dunque sostiene che i sensi ci ingannano e che la ragione giunge in nostro soccorso contro l’errore del sensibile. Quando l’individuo percepisce l’oggetto non lo percepisce come è realmente, bensì falsato da altri fattori come, per esempio la lontananza. Tuttavia, un secolo più tardi, il grande Kant, smentirà questa teoria. Nel testo “Antropologia culturale” egli afferma esattamente il contrario: non sono i sensi ad ingannare la mente umana, ma il contrario. È l’intelletto che percepisce l’oggetto rimandatogli dai sensi in modo sbagliato ed occorre, pertanto, uno sguardo più approfondito per individuare la verità. Se ci soffermiamo sulla nozione di percezione in psicologia essa è intesa come “il processo mentale volto a convertire i dati sensoriali in concetti dotati di significato” (cit. Wikipedia).

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Il diritto tra funzione pedagogica e formazione culturale nella prospettiva della Scuola di Marburgo

>Stefano Fachin*

Abstract

This article focuses on the purpose of law in the thinking of the philosophers of the Marburg School. Historically, law has been based on the split between natural law and legal positivism. With the advent of kantian thought, however, ‘what ought to be’ became a model of universal law beyond these labels. However, the weak point of Kant’s speculation was found to be an excessive theoretical twist that trapped law within the meshes of excessive formalism. The philosophical path of the school of Marburg is part of this. By moving away from the binomial natural law/positivism, through the development of the concept of ‘transcendental’, it laid the foundations for a juridicality founded on logical-pedagogical structures in order to dig a new furrow towards a different direction, where law no longer presents itself as a coercive system, but as an open cultural formation.

Keywords: diritto; volontà pura; comunità; trascendentale; Stato; legalità; mito; forma; cultura.

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Principio di non contraddizione, matematica e teoria (parte seconda)

  1. Introduzione alla contraddizione

Siamo al cuore del p.d.n.c., la contraddizione: cosa contraddice? cosa è contraddetto? Sopra cui l’intensa luce di Severino: «Il senso autentico della distinzione tra contraddizione (contraddirsi) e contenuto della contraddizione: è [chiamare] tale contenuto “contraddittorietà”».1 La Sua distinzione ci richiama alla forma della contraddizione, il contraddirsi, e al contenuto della contraddizione, la contraddittorietà:

  • Il contraddirsi è la forma della contraddizione. La forma universale con cui si configura il contraddirsi è l’enunciato 1∧¬1;
  • La contraddittorietà è il contenuto della contraddizione. Il contenuto sensibile/misurabile con cui si configura la contraddittorietà è la qualità/quantità nulla.

La forma del contraddirsi non ha pertanto contenuto poiché indica una contraddittorietà, cioè un contenuto nullo, quindi non indica alcun contenuto e nessun contenuto è riferibile a un enunciato contraddittorio 1∧¬1. Con Severino: il contenuto di una contraddizione (la contraddittorietà) è assolutamente inesistente,2 esiste invece la forma della contraddizione (il contraddirsi). Riecheggia Berto: «[il contraddirsi] è proprietà di enunciati – o magari di sensi di enunciati, o dei pensieri che questi enunciati esprimono ecc. Il mondo (con i suoi abitanti non linguistici e non mentali), invece, non sarebbe il tipo di cosa che può essere contraddittoria»3.

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Principio di non contraddizione, matematica e teoria (parte prima)

Abstract: We calculate the principle of non contradiction (p.d.n.c.) and subsequently we demonstrate it. We map his theory and shift the attention of all the logics to the p.d.n.c. Exactly, with this proof, we want to contain in a single rigor, within the p.d.n.c., all the classic and non classical logics, to conclude that all the logics are given by the p.d.n.c.

Keywords: Principle of non contradiction; Mathematics; Logic; Philosophy.

Simboli speciali:
> Sfumatura (Uso questo simbolo non solo per identificare l’ambiguità della Fuzzy, ma anche uniformemente le altre sfumature che incontriamo o che potremmo incontrare e che forse non si costruiscono come la Fuzzy);
u Ogni numero;
* Relazione;
d Determinazione o Dimostrazione.

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Fisica e Psiche. Una teoria preliminare e strumenti di lavoro (2/2)

> di Vito j. Ceravolo

16. Biologia fra fisica e psiche

Ho sottaciuto il concetto biologico dalle sopra analisi, limitandomi ai due estremi fisica e psiche: la biologia, cognitivamente, si frappone fra fisica e psiche nell’evoluzione “fisica-biologia-psiche”. Il passaggio da fisica a biologia è il DNA, il passaggio da biologia a psiche è il cervello. Cinque caratteristiche fisiche che prese collettivamente potrebbero identificare un essere vivente sono: riproduzione; crescita (sviluppo); adattamento; risposta; trasformazione di energia. Due caratteristiche biologiche che prese collettivamente potrebbero identificare un essere psichico sono: disposizione; intenzione.

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Fisica e Psiche. Una teoria preliminare e strumenti di lavoro (1/2)

> di Vito j. Ceravolo

Abstract: Questa ipotesi annovera fisica e psiche come scienze distinte da una relativa autonomia l’una sull’altra. Studia i principi e leggi generali che regolano l’attività fisica e la vita mentale in genere. Attraversa alcune delle problematiche più importanti sul confronto mente-corpo.

Capitoli:
1. Esperimento mentale della Mente disincarnata.
2. Realizzabilità multipla della psiche.
3. Teoria della mente.
4. Antiriduzionismo psicofisico.
5. Principi di riduzione.
6. Oggetto fisico e psichico.
7. Esperienza fisica e psichica.
8. Oggetti oltre l’osservazione.
9. Causalità psicofisica.
10. Nature fisiche e motivi psichici.
11. Moto fisico e psichico.
12. Conseguenze e funzioni psicofisiche.
13. Input-Output psicofisici.
14. Linguaggio psicofisico.
15. Comportamenti psicofisici.
16. Biologia fra fisica e psiche.
17. Funzionalità psico-animate.
18. Artifici fra fisica e psiche.
19. Processore psicofisico.
20. Scienza fisica e psichica.
21. Universo fisico e psichico.
22. Statuto del cervello e della mente.
23. Correlazione psicofisica.
24. Modello fisico-psichico.
25. Cervello fra res extensa e res cogitans.
26. L’emergere della psiche dalla fisica.
27. Lampada di Aladino.

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José Ortega y Gasset e il fenomeno della tecnica: beneficio o condanna?

«Questi anni in cui viviamo, i più intensamente segnati dallo sviluppo tecnico di tutta la storia umana, sono i più vuoti» (Ortega, 2011, p. 89). Queste poche parole, fortemente incisive, vengono pronunciate dal filosofo madrileno José Ortega y Gasset (1883-1955) per indicare ciò che ha portato la civiltà occidentale a versare in una preoccupante condizione di «crisi dei desideri», ovverosia, il fenomeno della tecnica, il quale, oltre a procurare dei vantaggi innegabili, provoca, dal punto di vista autenticamente filosofico, dei deterioramenti problematici sull’essere-umano.

È significativo comprendere quanto la crisi culturale indagata da Ortega non interessi solo la circostanza[1] contemporanea al pensatore spagnolo. Tale stato di avvilimento inerisce anche al nostro spazio e al nostro tempo, all’orizzonte della nostra contemporaneità dunque, le cui componenti spirituali risultano ormai danneggiate dagli esiti dello sviluppo tecno-scientifico.

La grandezza dello scrittore, e certamente anche del filosofo, consiste nell’applicazione di quel raro privilegio che la sua vocazione gli ha donato, vale a dire, l’indole profetica. Ebbene, anche da quest’ultimo punto di vista il genio di Ortega si evidenzia in modalità inequivocabile. All’apertura della conferenza La meditazione sulla tecnica (1933) egli afferma:

Ho sempre ritenuto che la missione dello scrittore fosse quella di prevedere con largo anticipo ciò che diventa problema qualche anno più tardi e nel presentare tempestivamente ai suoi lettori, cioè prima che la discussione sorga, idee chiare sulla questione. (Ivi, p. 42)

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Percepire il mondo

> di Vito j. Ceravolo*

Abstract: This is the exposition of a theory that runs through the most important contemporary theories on the subject of perception.

Capitoli: 
1. L’oggetto.
2. L’apparire dell’oggetto.
3. Le possibilità causali dell’oggetto.
4. Percepire l’oggetto.           
5. Diagramma di percezione.
6. Fisica della percezione.
7. Coscienza della percezione.
8. Algebra della percezione.
9. Quantità e qualità.
10. L’origine delle quantità e delle qualità.
11. Gli oggetti apparenti della percezione.
12. Allucinazione e realtà.
13. I casi percettivi.
14. Dati sensoriali.
15. L’empirica dei dati sensoriali.
16. L’oggetto sparisce se non lo guardo?
17. L’oggetto a fondo di ogni percezione.
18. L’oggetto in propria misura soggettiva.
19. Percezione mediata e indiretta.
20. L’evoluzioni dei sensi e delle misure.
21. Evoluzione della percezione.
22. Messaggi fenomenici.
23. Fenomenologia della percezione.

1. L’oggetto

Partiamo col definire uno degli oggetti della nostra trattazione, l’oggetto della percezione: 

1. L’oggetto in sé – noumeno – esiste nell’insieme sovrapposto di tutte le sue possibilità (es. Il gatto di Schrödinger, nella scatola in sé, è sia vivo che morto). È solo quando entra in una relazione (es. Si apre la scatola) che appare in una delle sue possibilità, relativamente a come viene relazionato.

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L’applicazione del metodo fenomenologico: Husserl e il ritorno al mondo-della-vita

Abstract: Il qui presente studio si pone l’obiettivo di delineare, attraverso l’analisi di passi significativi provenienti unicamente da La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, l’applicazione del metodo fenomenologico circa il problema della crisi delle scienze specialistiche. Assunto il punto di vista del discorso husserliano, si individua che per poter arginare tale stato di crisi, che non investe solo le scienze ma anche la stessa filosofia, è indispensabile disvelare quel fondamento sottaciuto, obliato e dunque annichilito dalla componente tecno-scientifica, che la ricerca fenomenologica assume come baricentro della propria epistemologia e metodologia senza incappare in alcuna forma di solipsismo dogmatico: il senso soggettivo.

«Io cercherò di ripercorrere le vie che io stesso ho percorso, non di addottrinare; cercherò semplicemente di rilevare, di descrivere ciò che vedo. Io non ho nessun’altra pretesa se non quella di poter parlare, innanzitutto di fronte a me stesso e quindi di fronte agli altri, con conoscenza di causa e in piena coscienza, come uno che ha vissuto in tutta la sua serietà il destino di un’esistenza filosofica» (Husserl, 2008, p.47). Delle parole così ricche di significato vengono pronunciate da Husserl nella sua ultima opera, La crisi delle scienze europee, che può venire considerata il testamento del pensiero husserliano. Quella di Husserl è la descrizione fenomenologica di una disposizione di crisi molto complessa, e alquanto delicata, che interessa tanto la cultura quanto la stessa civiltà d’Europa. 

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“Essere corpo”: fra la filosofia fenomenologica e la pratica clinica

Quando Platone, in una pagina del Fedone, scrive «fino a quando abbiamo il corpo, e la nostra anima è mescolata con un siffatto malanno, noi non riusciremo mai a raggiungere ciò che desideriamo» (Platone, 2007, p. 55)  fissa un punto teorico centrale della riflessione filosofica occidentale. Il corpo è ostacolo della conoscenza. Pertanto, tutto ciò che inerisce alla dimensione biologico-corporale deve essere interpretato nei termini di patologia dell’anima (psyché), sostanza semplice e unitaria, e tuttavia, tripartita: la parte razionale, situata nel cervello, è portatrice di saggezza; la parte irascibile, collocata nel torace, di coraggio; la parte concupiscibile, localizzata nell’addome, di temperanza. La tesi socratico-platonica segnala che un legame così intimo con il corpo renda l’anima incarcerata, e quindi, incapace di raggiungere lo stato massimo di intensità spirituale: proprio da qui, agli occhi di Nietzsche, germina la decadenza intellettuale d’Occidente.

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