Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Quattro differenti forme di luddismo di fronte alle macchine nella filosofia andersiana

> di Giorgio Astone*

andersstern

1. Introduzione

Nel pensiero di Günther Anders argomentazioni filosofiche si fondono alla narrativa: concetti nuovi o rielaborati vengono espressi egregiamente tramite la creazione di personaggi ambigui, tesi fra la realtà della cronaca e delle esperienze personali dell’autore e parossismi idealizzati se non, in alcuni casi, favole [1].
Tuttavia ciò non pregiudica la serietà e la drammaticità che tali figure letterarie incarnano. Nell’insieme della raccolta di saggi dell’opera principale di Anders, L’uomo è antiquato, è possibile seguire le tracce di tre di esse per ricomporre in un unico quadro le diverse forme di frustrazione e malessere che l’uomo moderno prova nella società tecnocratica per la sua mancanza di libertà e per l’incapacità d’essere, anch’egli, una macchina perfettamente funzionante.

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L’uomo flessibile. Riflessioni su uno studio di Richard Sennett

> di Alberto Rossignoli*

I grandi uomini d’affari e i giornalisti insistono molto sulla globalizzazione e sull’impiego delle nuove tecnologie come tratti caratteristici del capitalismo (post-capitalismo?) contemporaneo. Ciò è abbastanza corretto, ma tralascia le nuove modalità di organizzazione del tempo, in particolare del tempo di lavoro.

Il “lungo termine” sembra essere scomparso: nel mondo del lavoro odierno sta sparendo la tradizionale carriera condotta nei corridoi di una o due aziende e la medesima cosa accade allo sviluppo di un insieme di competenze durante il corso di una vita lavorativa.
L’economista Bennett Harrison crede che la causa di questa tendenza al cambiamento sia il desiderio di profitti rapidi.
È chiaro che, in un contesto di rapidi cambiamenti, vacilla lo sviluppo della fiducia informale.
Secondo il sociologo Mark Granovetter, le moderne reti organizzative sono caratterizzate dalla “forza dei legami deboli”: per la gente, i rapporti occasionali di associazione sono più utili dei vincoli a lungo termine. Continua a leggere


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Risposta alle imprecise precisazioni di Roberto Fai

> di Diego Fusaro*

L’articolo di Roberto Fai intitolato “Diego Fusaro e il ‘cortocircuito’ tra teoria e prassi” mi ha molto colpito. Mi ha colpito per varie ragioni, in primis perché mi fa specie che una rivista filosofica mi dedichi così tanta attenzione, manco fossi Heidegger o Adorno. In effetti, l’autore dell’articolo mi ha dedicato ingiustificatamente le attenzioni che andrebbero dedicate a pensatori di primo livello, ossia a quei pensatori che segnano il dibattito in modo indelebile, come appunto Heidegger o Adorno. Detto questo (e dunque espresso apertis verbis il mio stupore per le troppe attenzioni dedicatemi), mi permetto subito di dire, con altrettanta franchezza, che trovo poco corretto e serio il modo di procedere dell’articolo. Sono presi di mira i miei interventi televisivi, le mie interviste ai quotidiani siciliani, i miei post su Facebook: non si fa mai un cenno, dico uno, ai miei studi monografici, ai miei saggi scientifici, ciò su cui un pensatore – piccolo o grande che sia – deve essere giudicato.
Non so se Fai agisca in tal maniera perché non mi ha letto (e non vi è – sia chiaro – nulla di male: anche se, per criticare un autore, grande o piccolo, sarebbe sempre opportuno leggerlo) o perché, in effetti, è più facile decostruire un post di Facebook o una sparata televisiva rispetto a 500 pagine scritte e argomentate. Ad ogni modo, mi sia consentito dire che trovo profondamente irrispettoso tal modo di procedere. Anche perché poi alle mie battute televisive si contrappongono dotti passaggi di Roberto Esposito, Remo Bodei, Carlo Galli, evidentemente ritenuti degni – a differenza mia – di essere letti e citati. Ma tant’è.

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Diego Fusaro e il “cortocircuito” tra teoria e prassi

> di Roberto Fai*

diego-fusaro la gabbia

Diego Fusaro, giovane filosofo, è assurto agli onori della cronaca mediatica e dei social network anche grazie alle sue periodiche apparizioni in qualche talk show: uno, tra tutti, “La Gabbia”, la cui strategia comunicativa è quella di una sorta di arena, nella quale gli ospiti si “sfidano” in piedi, uno di fronte all’altro, con un confronto (sic!) “gridato” – così come sempre più gridata è oramai la natura del confronto tra le persone, accentuato dalle forme linguistiche immediate, apodittiche e “nervose”, prodotte da Internet: confronto, che costituisce – per dirla con Foucault – il vero «effetto di potere» del “dispositivo” web, al punto che, mentre vengono meno vere relazioni comunicative, si produce una sorta di Nervenlebenintensificazione della vita nervosa»), come quel Nervenleben, su cui ha lasciato pagine straordinarie Georg Simmel, aprendo il XX secolo. Con la differenza che mentre Simmel poteva attribuirlo allo choc del “vissuto individuale” per l’eccesso degli stimoli prodotti dalla vita delle metropoli, quello attuale è l’effetto psicologico dell’accentuarsi di una crisi economico-sociale che ha già eroso, in forme accentuate dal 2008, il terreno su cui poggiano i piedi milioni di persone, rese insicure, inquiete e in crisi d’identità – e pertanto giustamente “arrabbiate” – per il vuoto di prospettive del loro stesso futuro.
In tale “contesto comunicativo” vanno inscritti sia l’approccio retorico con cui Fusaro veicola i suoi messaggi sia il “contenuto” dei temi e argomenti politico-culturali che fanno, di quest’ultimo, una figura inedita di “polemista”. Ma l’aspetto che, in Fusaro, a noi appare predominante è una sorta di “cortocircuito” tra teoria e prassi, idee filosofiche e azione politica, pensiero e agire politico, in altri termini, tra filosofia e politica. Quasi a offrire una sorta di fusione tra i due ambiti, analoga alla dinamica praticata da certo marxismo degli anni ’60: stagione politica, peraltro, nella quale il nostro non era neppure nato. Tuttavia, è proprio questo “cortocircuito” che, a nostro avviso, sembra avvolgere, appiattire e, a volte, semplificare i contenuti che il giovane filosofo sostiene nella sua “battaglia delle idee”. Continua a leggere


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Vecchiaia. Un saggio Mursia di Domitilla Melloni

> di Alessandra Peluso*

In “Piccole tracce”, collana dedicata alle tematiche filosofiche e/o esistenziali, Domitilla Melloni propone un appassionante testo sulla “Vecchiaia”. A differenza di un’epoca nella quale alla vecchiaia non si era soliti giungere, attualmente, è una fase che interessa tutti. Si legge sia un periodo di decadenza finale della vita, se lo si guarda dal punto di vista fisico, naturalmente.
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Violenza e messianismo. Un saggio Mimesis di Petar Bojanić

> di Paolo Calabrò e Stefano Santasilia

Nell’epoca dello scontro dei valori, di quel politeismo valoriale del quale trattava tanto chiaramente Weber, sicuramente non può passare inosservata la possibile portata di violenza di qualunque messaggio che si presenti con lo stile di una rivelazione, foss’anche una rivelazione di pace. È per tale motivo che violento può divenire qualsiasi atteggiamento che appunti ad una nuova era, di là da venire, un momento al quale guardare come liberazione del/dal presente. A tale tema è dedicato il recente volume di Petar Bojanić, tradotto per la collana “Labont” di Mimesis. Violenza e messianismo, questo il titolo, si occupa soprattutto di prendere in considerazione il tema della violenza a partire dalla tradizione idealistica, per metterla in dialogo, e confronto, con le riflessioni di Benjamin e Derrida.

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Sociologia dell’agire politico di Francesco Giacomantonio

> di Pietro Piro

Coloro che detengono il potere stanno letteralmente cercando di spezzare una parte della nostra ossatura etica,

di attenuare e dissolvere ciò che rappresenta probabilmente

la più grande acquisizione della civiltà,

la crescita della nostra sensibilità morale spontanea.

S. Žižek, In difesa delle cause perse. Materiali per la rivoluzione globale

Giacomantonio

Nel suo piccolo ma denso volume Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek (Studium, Roma 2014), Francesco Giacomantonio cerca ragioni valide per motivare un agire politico «intorpidito da una visione della politica, intesa sempre più come mera gestione e governance dell’esistente, che toglie qualsiasi portata ideale» (p. 16). Deve fare i conti però con una “egonomia politica” in cui l’Io diventa un sistema di riferimento, la base dell’organizzazione socio-politica (p. 19). Un nuovo modo d’intendere il rapporto tra autocostrizione e autocostruzione che limita l’autonomia e la responsabilità e favorisce la dipendenza (eteronomia) e la coazione a ripetere.

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Epifania animale. Un saggio Mimesis di Roberto Marchesini

> di Paolo Calabrò

Roberto Marchesini non si perde in chiacchiere ed apre il suo ultimo Epifania animale. L’oltreuomo come rivelazione con la domanda: «Esistono gli animali?», con l’intento esplicito di rivedere da cima a fondo il paradigma specista basato su una presunta essenza dell’uomo completamente eterogenea rispetto a quella animale: l’uomo e l’animale non sono né lo stesso né, reciprocamente, il “totalmente altro” di certa teologia. L’antropocentrismo che ha caratterizzato l’esperienza intellettuale dell’uomo fino ad oggi (pure in mezzo alle tante burrascose e dolorose corrosioni, dall’eliocentrismo all’evoluzionismo), va rivisto in profondità e, forse, completamente cassato. Per almeno due buoni motivi (e con ciò volendo sorvolare

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Pazienza. Un libro Mursia di Luciana Regina

> di Paolo Calabrò

Tutti i giorni facciamo i conti con la pazienza. Più spesso, magari, con la sua mancanza. Sembra già difficile mantenerla (figuriamoci poi provare ad aumentarla con l’“allenamento”), eppure siamo solerti nell’additare gli impazienti (per non parlare degli irascibili). Ma nonostante ci siamo abituati, difficilmente sapremmo dire di che si tratta, da dove venga, come si conservi: chi volesse cimentarsi ad indagare questi aspetti trovare ben poco materiale a disposizione. In più, trattandosi di un’umana virtù, occorre una riflessione che parta, sì, dalla teoria, ma che sia utile (anzi, applicabile) alla pratica quotidiana: un esercizio di “filosofia in pratica”

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Karl Jaspers e la politica. La lucida analisi di Elena Alessiato

> di Pietro Piro

«La concordia raggiunta discutendo insieme e comprendendoci gli uni con gli altri porta a quella comunità che resiste»

Karl Jaspers, Die Schuldfrage.

Alessiato

I.

La straordinaria densità di analisi e la profonda volontà di comprendere alla radice le implicazioni del pensiero politico di Karl Jaspers costringono il lettore del libro di Elena Alessiato, Karl Jaspers e la politica. Dalle origini alla questione della colpa, Orthotes Editrice, Napoli 2012, a un intenso sforzo di attenzione e di partecipazione intellettuale. L’autrice cerca di superare – e a mio avviso il tentativo è perfettamente riuscito – il pregiudizio secondo il quale l’interesse per la politica di Jaspers sia successivo alla fine della seconda guerra mondiale. Perché: «se ampiamente trattati sono gli ambiti della psicologia, della riflessione medica, della filosofia in tutte le sue declinazioni, inesplorato dal punto di vista dell’interesse politico rimane il periodo precedente, quello compreso tra lo scoppio della Prima Guerra mondiale e la conclusione della Seconda» (p. 9).

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Il diario intimo di Oswald Spengler

> di Giuseppe Savarino

Spengler - A me stesso

Oswald Spengler (1880-1936) è stato saggista tra i più famosi per diversi decenni (a partire dal 1918) come autore di un saggio, Il tramonto dell’Occidente, per poi scomparire nell’anonimato o essere confinato nel mondo accademico.

Il tramonto continua ad avere un suo fascino ancora oggi, ma l’impressione tuttavia è che sia più citato che letto, non fosse altro per il corposo numero di pagine (più di cinquecento).

In Italia non ha giovato senz’altro la stroncatura di Benedetto Croce (non è un caso che da noi comparve solo nel 1957, grazie alla traduzione di Julius Evola) per il quale lo stesso successo del libro avrebbe dovuto impensierire “le sorti del lavoro scientifico” e per il quale Spengler non era nient’altro che “un dilettante”.

Una tesi ribadita da altri eccellenti pensatori del calibro di Karl Popper o Max Weber, sebbene abbiano riconosciuto in lui un certo ingegno, più letterario che scientifico.
Dilettante o no, mattone o meno, ingegno o meno, uno dei prossimi libri che conto di compulsare (e non solo di spiluccare qua e là) sarà proprio Il tramonto dell’Occidente.
Il motivo è semplice: attratto, come sono, dallo stile forse addirittura più che dai contenuti (più correttamente dovrei dire: dai contenuti che possiedono uno stile, perché la sostanza senza metodo è corpo senza abito) ho avuto modo, qualche mese fa, di apprezzare alcuni appunti autobiografici di Oswald Spengler pubblicati da Adelphi nel 1993 con il titolo A me stesso.

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La cultura delle destre di Gabriele Turi. Un contributo alla storia degli intellettuali

> di Pietro Piro

Gabriele Turi - La cultura delle destre

«I politici devono farsi dire dove conduce la strada di cui non
conoscono il tracciato e la meta – e devono farselo dire da quelli
che a loro volta non lo sanno, e i cui interessi si orientano a ben
altre cose, che diventeranno in tal modo anch’esse realizzabili» 
Ulrich Beck, La società del rischio.

«Odio gli
indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro
piagnisteo da eterni innocenti
» Antonio GramsciGli indifferenti.


1. Il mondo neutro degli indifferenti

Il libro dello storico Gabriele Turi, La Cultura delle destre [1] è un libro di parte. Indiscutibilmente. La sua colpa più grande è di proporre un’interpretazione che non sia asservita all’ordine del discorso imposto da una cultura che, oltre ad essere chiaramente dominante, non accetta e non tollera nessuna messa in discussione del proprio potere realizzato. Nulla di nuovo sotto il sole. Dove il potere si consolida, nessuna critica – per quanto profonda e argomentata – può essere accettata, discussa, dialettizzata. Continua a leggere