> di Pietro Piro
«I politici devono farsi dire dove conduce la strada di cui non
conoscono il tracciato e la meta – e devono farselo dire da quelli
che a loro volta non lo sanno, e i cui interessi si orientano a ben
altre cose, che diventeranno in tal modo anch’esse realizzabili» Ulrich Beck, La società del rischio.
«Odio gli
indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro
piagnisteo da eterni innocenti» Antonio Gramsci, Gli indifferenti.
1. Il mondo neutro degli indifferenti
Il libro dello storico Gabriele Turi, La Cultura delle destre [1] è un libro di parte. Indiscutibilmente. La sua colpa più grande è di proporre un’interpretazione che non sia asservita all’ordine del discorso imposto da una cultura che, oltre ad essere chiaramente dominante, non accetta e non tollera nessuna messa in discussione del proprio potere realizzato. Nulla di nuovo sotto il sole. Dove il potere si consolida, nessuna critica – per quanto profonda e argomentata – può essere accettata, discussa, dialettizzata.Quando ci si renderà conto che il padrone non ama essere criticato dal suo servo, forse s’imparerà a comprendere il senso profondo e demoniaco del potere. Turi, con questo libro partigiano, esce dalla folta e compatta schiera degli indifferenti, quella massa amorfa che costantemente abdica alla propria volontà e che «lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare» [2]. Che la ricerca storica sia uno dei luoghi in cui si combattono le battaglie più cruente [3], sembra essere un fatto del tutto estraneo ai critici di Turi che gli rimproverano una mancanza di «oggettività» [4] di cui – ovviamente – essi sarebbero i portatori. Polemica asfittica e insensata. Né Turi né i suoi critici possiedono «la ben rotonda verità» della Storia. Entrambi parteggiano per affermare la propria visione del mondo, per fare in modo che essa diventi la visione del mondo dominante, che s’interiorizzi, si diffonda e si affermi definitivamente come la verità con la V maiuscola. È proprio questo processo che definisce il termine egemonia: una lotta senza posa per affermare la propria verità. Una lotta infinita, planetaria, spesso violenta [5]. Scrivere una recensione, un articolo, un saggio, partecipare a un convegno, una riunione, una manifestazione di piazza o, al contrario, scegliere di non fare nulla di tutto questo, significa partecipare – da protagonisti o da comprimari – a quell’infinito movimento che conduce una parte ad affermare la propria visione delle cose come il tutto [6]. Max Weber ci aveva spiegato bene che non basta semplicemente avere delle idee nate dalle proprie sensazioni intime, l’uomo sente il bisogno di razionalizzarle [7], giustificarle e organizzarle in un ordine che faccia del Caos un Cosmo. Gli interessi (ideali e materiali) dominano l’attività dell’uomo [8]. Nessun cittadino può sottrarsi al processo di tessitura della tela collettiva [9]. Nessun intellettuale è politicamente innocente. Soprattutto, in un tempo in cui le strade di accesso al sapere sono certamente più ampie che nel passato.
Più di vent’anni di berlusconismo, non si possono spiegare unicamente come il frutto della casualità o del carisma del singolo. Chi insiste sulle doti straordinarie di Berlusconi cerca di nascondere responsabilità ampie e profonde, processi che coinvolgono – a vario titolo – burocrati e funzionari di un apparato statale che nella corruzione e nella frantumazione dei corpi intermedi ha arricchito le proprie finanze private e si è macchiato di crimini che solo un processo di de-moralizzazione collettiva poteva giustificare. Turi cerca di mostrare alcuni passaggi di questo processo in cui, una parte prende il sopravvento su tutte le altre. La sua è una ricostruzione parziale e politicamente riconoscibile? Certamente, ma quando a criticarlo sono gli iscritti al libro paga di uno dei maggiori corruttori della storia del nostro paese, quando s’invita ad abbracciare una logica diversa – che è poi la logica dei dominatori – non è forse il caso di smetterla definitivamente di pensare che esistano «opinioni neutre e obiettive»? Nel nostro paese ci sono forse settori della società (come l’università, i giornali, le case editrici) che si muovono in un ambiente neutro senza che gli interessi dei gruppi di potere da cui sono diretti tentino di realizzare un dominio egemonico? Per carità, è ora di smetterla con il teatrino delle menzogne, con la recita delle buone intenzioni, con la mostra delle anime candide. Siamo in piena guerra ideologica. Ci sono morti e feriti. Esclusi, umiliati, offesi, marginalizzati. Chi crede di potersi muovere in un mondo neutrale o è un ingenuo o è iscritto al libro paga dei poteri forti. Non ci sono altre possibilità.
Siamo in pieno clima rivoluzionario e i cambiamenti sono così rapidi, planetari [10], anti-politici, che rischiamo di essere spazzati via se perseguiamo il culto dell’immobilismo e la deresponsabilizzazione politica che, alla fine, facilitano solo gli interessi dei peggiori.
«L’impressione di stasi “politica” inganna. Essa si produce solo perché il politico viene limitato a ciò che viene etichettato come politico, alle attività del sistema politico. Se lo si concepisce in modo più estensivo, allora, si vede che la società si trova in un vortice di cambiamenti che, del tutto indipendentemente da come lo si valuti, merita senz’altro il titolo di “rivoluzionario”. Tuttavia, questa trasformazione sociale, si compie nelle forme del non-politico. In questo senso il malcontento nei confronti della politica non è un malcontento nei confronti della politica in se stessa, ma nasce dalla discrepanza tra il potere d’azione ufficiale, che si afferma sul piano politico ma che sta diventando impotente, ed un cambiamento su larga scala della società chiuso ai processi decisionali che si svolge tranquillamente ma inarrestabilmente in una modalità impolitica. Analogamente, le concezioni della politica e della non-politica diventano sfocate e necessitano di una revisione sistematica» [11]. Il libro di Turi si muove sul piano concreto della critica sociale e politica e, sebbene si tratti di una tendenza che il conformismo dilagante e pervasivo sta rendendo sempre più rara [12], noi riteniamo utile approfondire i suoi argomenti nello sforzo di comprendere l’attuale configurazione socio-politica del Paese.
2. L’egemonia culturale delle destre
Secondo Turi gli elementi caratterizzanti proposti dalla destra per costruire una nuova antropologia culturale del popolo italiano sarebbero: «individualismo, idolatria del consumo, arricchimento personale, attaccamento ai valori cattolici tradizionali» [13]. Questi elementi sono stati veicolati dai cedi medi intellettuali attivi nelle scuole o nei mass-media: «solo con il loro contributo è possibile esercitare quella funzione egemonica che mette in relazione tra loro linguaggi, costumi e politica» [14]. Per dar forza al proprio ragionamento, Turi ripercorre la storia culturale italiana cercando di dimostrare che l’influenza di una cultura “progressista” sia stata sempre ostacolata, da un atteggiamento conservatore prima e dal fascismo in seguito. Turi si spinge ancora più avanti e cerca d’infrangere il mito dell’egemonia culturale comunista in Italia, sostenuto solo da chi ha «trascurato consapevolmente i reali rapporti di potere nella società italiana» [15]. Il berlusconismo dunque non sarebbe nato come anomalia selvaggia in un tessuto sano ma sarebbe un sistema di potere, frutto di un lungo processo di occupazione-interpretazione dei centri di controllo culturale da parte d’individui che avrebbero dato a spinte analogamente presenti in tutta Europa [16] la propria peculiare e italianissima interpretazione. «Il berlusconismo eredita e realizza parte della cultura di destra che ha attraversato il Novecento, aggiornata in modo da aspirare all’egemonia in un sistema formalmente democratico» [17]. Sembra molto più facile ipotizzare che l’avvento del berlusconismo sia legato al carisma personale piuttosto che il frutto di un lungo processo di maturazione d’idee che circolano nel sistema sanguigno della nostra nazione da molto tempo e che hanno potuto proliferare grazie al vuoto culturale e alla crisi d’identità della sinistra. Siamo propensi sempre a credere nello stato di eccezione piuttosto che renderci conto che nella microfisica del potere a uno spazio lasciato libero corrisponde l’occupazione di forze opposte e contrarie. Il berlusconismo è stato ed è tuttora – drammaticamente – una forza d’occupazione. Con i suoi tentacoli è giunto a occupare e manipolare tutti i livelli della macchina burocratica e agisce capillarmente anche nei luoghi più periferici del sistema politico. Per giungere a tale livello di controllo il berlusconismo ha mobilitato tutte le forze presenti sul terreno dello scontro politico. Storici, giornalisti, opinionisti, professori universitari, direttori di giornali, insegnanti e tutti coloro che hanno compreso che salendo sul treno del Cavaliere avrebbero acquisito un potere e un prestigio sociale che prima era loro negato. Turi ripercorre le tappe di questo processo, mettendo in evidenza il ruolo degli storici nel processo di revisione del nostro recente passato e insistendo sulle analogie tra fascismo e post-berlusconismo: «come nel regime fascista, modernità e tradizione si presentano nuovamente congiunti anche nella destra post-berlusconiana, che in un contesto sociale e culturale profondamente diverso cerca di compiere un’opera di acquisizione del consenso che ha varie analogie col passato. Culto del capo, disarticolazione delle organizzazioni intermedie ed eclettismo ideologico sembrano i motivi di più evidente continuità con l’esperienza fascista. Una mescolanza di elementi carismatici, plebiscitari e tradizionalisti caratterizza il bonapartismo (concetto usato anche per definire il fascismo) così come il populismo, assieme al controllo dei mezzi che assicurano il rapporto diretto e centralizzato col popolo, in primo luogo i mass-media» [18]. Tra le vittime preferite della campagna populista berlusconiana Turi colloca il ruolo e la funzione dell’intellettuale: «tutti gli ideologi della destra insistono non a caso, come Veneziani, sull’inarrestabile “decadenza” odierna dell’intellettuale, e oscillano, come nei regimi non democratici, tra la denigrazione di un soggetto critico del sistema esistente e il tentativo di catturarne il consenso riducendone l’autonomia» [19]. La destra dunque non è né ingenua né sprovveduta. Anzi, proprio quando la si tratta come un nemico senza forze e senza identità, essa riprende terreno e utilizza tutti i mezzi e tutte le risorse per conquistare e mantenere il potere. La creazione di think-tank (laboratori d’idee), l’attività di riviste, fondazioni, giornate di studio, giornali che spesso dispongono di risorse finanziare notevoli rappresentano per Turi – che ha inoltre pazientemente ricostruito l’intrico dei legami e delle relazioni unitamente ad un cospicuo numero di nomi – luoghi di elaborazione culturale e di aggregazione d’intellettuali che svolgono una funzione decisiva per consolidare l’egemonia delle destre in Italia. Revisionismo storico; elogio della libertà e del liberalismo [20]; particolare attenzione nel mantenere un carattere indefinito ed eclettico [21]; uso dei simboli religiosi per rinforzare l’identità nazionale; riordino dei manuali scolastici ritenuti eccessivamente di parte; scomparsa dell’aggettivo pubblica nel ribattezzato Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca [22]; promozione di battaglie sanfediste e antirisorgimentali; guerra della memoria [23]; ricerca di compromissioni e di colpe di uomini di cultura convertitisi all’antifascismo dopo la seconda guerra mondiale, nel tentativo di mettere tutti sullo stesso piano [24]; sono questi gli elementi che caratterizzano e che individuano il ruolo e la funzione degli intellettuali organici alla destra. Scrive Turi: «Anche se apparentemente povero, e forse proprio in virtù della sua semplicità, questo progetto è riuscito a influenzare ampi settori della popolazione che legge, o che vede la televisione, dove il discorso revisionista è stato recepito rapidamente. La cultura della destra si è definita soprattutto per opposizione, inventandosi uno schieramento comunista contro cui combattere, ma si è poi affidata a una ideologia che per il suo eclettismo può aspirare a un consenso che va aldilà delle forze politiche che la riconoscono e la sostengono. Il richiamo alla “cultura italiana” e alla “tradizione cristiana” fatto dalla Carta dei valori di Forza Italia si è venuto articolando nella Carta dei Valori del Popolo della libertà del marzo 2009, che secondo una gerarchia propria della tradizione cattolica considera fondamento della società la persona, la famiglia e la comunità. Nel settembre 2009 il ministro per i Beni e le attività culturali ha affermato che l’egemonia culturale della sinistra era stata sconfitta» [25].
Noi non siamo certi che i valori della sinistra siano stati sconfitti definitivamente. Di fatto, sembrano non godere di ottima salute. Tuttavia, anche se la cultura delle destre sembra aver acquisito l’egemonia culturale, il crescente aumento della disoccupazione, l’esasperarsi continuo delle disuguaglianze, la dismissione del patrimonio industriale e produttivo, la perdita di sovranità della politica parlamentare e nazionale, l’aumento indiscriminato del costo della vita, la mancanza di prospettive di crescita nella politica dei governi di coalizione, le dinamiche migratorie generano una profonda e rapida trasformazione della nostra società che rende instabile e incerto ogni tentativo di detenere a lungo tempo l’egemonia. Se la destra non si trasforma alla velocità con cui muta la società, non solo rischia di perdere il tanto sognato primato culturale, ma rischia di sprofondare in un abisso dove termini come destra e sinistra sono divorati da movimenti distruttivi e degenerativi.
3. L’intellettuale di destra è una contraddizione in termini
Nonostante le dichiarazioni di vittoria delle destre pare che la lotta per l’egemonia culturale nel nostro paese non si sia affatto arrestata – e noi, senza nessuna ingenuità, ci siamo dentro fino al collo – come testimonia l’ultimo numero della rivista “MicroMega” dedicata agli intellettuali e al loro impegno. Paolo Flores D’Arcais – che non può essere certamente accusato di essere un tiepido – ha parole chiare che ci sentiamo di condividere pienamente: «l’impegno è sempre di lotta, infatti, per ri-formare l’esistente e stravolgerne i connotati di illibertà e di diseguaglianza. Chi mette il suo sapere, le sue competenze, la sua cultura a servizio dell’esistente e dei suoi poteri di establishment non è un intellettuale, è un funzionario del conformismo. L’intellettuale pubblico è l’opposto del cane da guardia culturalmente addestrato, del responsabile di marketing che inzucchera di “pensiero” e “razionalità” il presente stato di cose, del sepolcro imbiancato tecnicamente avvertito. L’intellettuale è per sua funzione, innanzitutto e necessariamente portatore di critica, che significa richiamo alla coerenza tra valori ricamati nelle costituzioni e la quotidiana pratica di governo che li calpesta e li schernisce, tra il proclamare a lettere d’oro sopra ogni edificio la triade di valori della “République” salvo corromperli e stracciarli ogni giorno nei peana della Realpolitik. In altri termini: l’intellettuale di destra è una contraddizione in termini»[26]. Se l’impegno culturale è sempre di lotta, sappiamo a chi non è rivolto il libro di Gabriele Turi. Per chi invece non ha ancora seppellito definitivamente i propri ideali di giustizia e ritiene sia necessario contrastare il potente disincanto che una quantità innumerevole di delusioni causate dalla tradizione che s’ispira ai valori della sinistra ha causato, questo libro potrebbe riuscire utile per iniziare a fare la carta del tempo che viene. Ci sono delle indicazioni preziose sulle dinamiche del potere culturale nel nostro paese. Tuttavia ci rendiamo conto che potrebbe mancare la lucidità e la quiete necessaria al ragionamento in un momento in cui con una dose d’irresponsabilità inaudita il condannato Berlusconi, faro e vate di questa destra egemonica, pur di non scontare una pena ridicola rispetto alla mole immensa dei suoi reati, rischia di far sprofondare il paese in una crisi dai costi umani incalcolabili.
Bologna, 1 Settembre 2013
NOTE:
20 novembre 2013 alle 09:33
Per come è strutturato il sistema, la politica, di destra, di sinistra, di centro, secondo me conta poco. La grande finanza l’ha ridotta ad una amministrazione di condominio. Che la politica possa incidere assai poco sulla storia del paese, parlo dell’Italia, ma anche gli altri paesi non sono messi benissimo – ed è logico, altrimenti ci sarebbe una propagazione virtuosa – è dato da come si propone alla guida del paese. Se lasciamo da parte le solite reprimende sullo scollamento fra paese reale e paese legale e ci concentriamo per una volta sul lavoro governativo tradizionale, ci accorgeremo che esso è quanto mai provvisorio. Un governo in Italia dura mediamente 10 mesi: qualcuno dovrebbe spiegare come possa mai un ministro fare qualcosa di serio in 10 mesi, come possa mai essere credibile. Noi abbiamo il peso della burocrazia da una parte e quello delle banche dall’altra. Entrambe le istituzioni (spurie socialmente) sono molto più forti di quella politica perché radicate nel sistema. E’ ora di pensare ad un governo meno labile, pur con gli ovvi controlli interni. Destra o sinistra c’entrano poco. C’entrano gli uomini. E i nostri sono modestissimi. Come averne altri?
20 novembre 2013 alle 20:33
Come avere ancora fiducia in questo essere popolare-intellettuale-umano italiano? Si tratta di animali irrazionali, compresi gli intellettuali cosiddetti di sinistra, alcuni dei quali si fanno pubblicare i propri libri dalle case editrici di Berlusconi. Ad essi non interessa più la critica al potere di turno, ma il successo, misero, in un paese miserabile sotto tutti i punti di vista… Il vecchio ritorna in modi nuovi: nuovi re, nuovi sudditi, nuove corti, nuovi giullari, re-pubblica provinciale e con una borghesia dalla avidità bestiale… Bisogna anche tenere conto che l’Italia è storicamente dominata da un solo polo della dialettica onto-sociale: il polo negativo spiritualista-cattolico, nessun polo positivo è stato fatto nascere, i risultati sono evidenti per chi riesce a comprenderli: i figli del negativo sono paranoici (Mussolini, Berlusconi, Grillo), perché esso porta ad una sorta di follia, perché si crede di rappresentare il bene mentre gli altri sono visti come il male, perché si sviluppa un io ipertrofico… Il negativo cristiano-cattolico italiano attraverso migliaia di anni può ingenerare effetti di questo tipo, perché è stato lungamente interiorizzato.