
«Questi anni in cui viviamo, i più intensamente segnati dallo sviluppo tecnico di tutta la storia umana, sono i più vuoti» (Ortega, 2011, p. 89). Queste poche parole, fortemente incisive, vengono pronunciate dal filosofo madrileno José Ortega y Gasset (1883-1955) per indicare ciò che ha portato la civiltà occidentale a versare in una preoccupante condizione di «crisi dei desideri», ovverosia, il fenomeno della tecnica, il quale, oltre a procurare dei vantaggi innegabili, provoca, dal punto di vista autenticamente filosofico, dei deterioramenti problematici sull’essere-umano.
È significativo comprendere quanto la crisi culturale indagata da Ortega non interessi solo la circostanza[1] contemporanea al pensatore spagnolo. Tale stato di avvilimento inerisce anche al nostro spazio e al nostro tempo, all’orizzonte della nostra contemporaneità dunque, le cui componenti spirituali risultano ormai danneggiate dagli esiti dello sviluppo tecno-scientifico.
La grandezza dello scrittore, e certamente anche del filosofo, consiste nell’applicazione di quel raro privilegio che la sua vocazione gli ha donato, vale a dire, l’indole profetica. Ebbene, anche da quest’ultimo punto di vista il genio di Ortega si evidenzia in modalità inequivocabile. All’apertura della conferenza La meditazione sulla tecnica (1933) egli afferma:
Ho sempre ritenuto che la missione dello scrittore fosse quella di prevedere con largo anticipo ciò che diventa problema qualche anno più tardi e nel presentare tempestivamente ai suoi lettori, cioè prima che la discussione sorga, idee chiare sulla questione. (Ivi, p. 42)
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