> di Luca Ormelli
«Bisogna essere un abisso, un filosofo… Abbiamo tutti paura della verità…» [1]
Scrivere – afferma Eduardo Lago – «è avvicinarsi all’abisso. Per Bolaño “l’alta letteratura, quella che scrivono i veri poeti, è quella che osa addentrarsi nell’oscurità con gli occhi aperti, succeda quello che deve succedere”. Scrivere: addentrarsi nell’inferno; la letteratura è “un lavoro pericoloso”. Pericoloso perché decifrare l’enigma dell’esistenza implica scontrarsi in termini assoluti con il Male e la Morte» [Eduardo Lago, “Sete del male“].
Perché «se il bene avesse sempre la meglio […] bisognerebbe predicarlo? Se per propria natura l’uomo non tendesse a far del male, perché proibirglielo, perché stigmatizzarlo? […] le più alte religioni predicano il bene. Anzi, meglio: dettano comandamenti, che esigono di non fornicare, non uccidere, non rubare. Bisogna comandarlo. E il potere del male è così grande e contorto che viene usato perfino per raccomandare il bene» [2].
Se Dio non esiste tutto è possibile e dunque se tutto è possibile il male ha una causa e questa causa è il niente medesimo. Il male scaturisce ex nihilo sui, non è creato – ente tra gli enti – da Dio, come sosteneva la Scolastica – ma coincide con il niente di Dio. Il male è causa sui ma è nel caso che si esplica: «all’improvviso qualcuno, non so chi, si mise a parlare del male, del crimine che ci aveva coperti con la sua enorme ala nera… Allora gli dissi quel che mi girava e rigirava in testa. Belano, gli dissi, il nocciolo della questione è sapere se il male (o il delitto o il crimine o come lei vuole chiamarlo) è causale o casuale. Se è causale, possiamo combatterlo, è difficile sconfiggerlo ma c’è una possibilità, più o meno come tra pugili dello stesso peso. Se è casuale, al contrario, siamo fottuti. Che Dio, se esiste, ce la mandi buona. E in questo si riassume tutto» [3].
Pure il male è – ancora – figlio di Dio in quanto ne è ribaltamento, ne è la giustapposizione, il Suo Satana e poco importa che Dio ne sia autore od origine in absentia. La libertà, il più empio tra i figli di Dio [«”Quanto al resto,” disse Johns “non si tratta di credere o non credere alle coincidenze. Il mondo è tutto un caso. Secondo un mio amico sbagliavo a pensarla così. Il mio amico diceva che per chi viaggia in treno il mondo non è un caso, anche se il treno sta attraversando territori sconosciuti al viaggiatore, territori che il viaggiatore non rivedrà mai più in vita sua. Non è un caso neppure per chi si alza alle sei del mattino morto di sonno e va al lavoro. Per chi non ha altra scelta che alzarsi e aggiungere altro dolore al dolore che ha già accumulato. Il dolore si accumula, diceva il mio amico, è un dato di fatto, e quanto più grande è il dolore, minore è il caso”. “Come se il caso fosse un lusso?” domandò Morini. (…) “Il caso non è un lusso, è l’altra faccia del destino e anche qualcos’altro” disse Johns. “Che altro?” disse Morini. “Qualcosa che sfuggiva al mio amico per una ragione molto semplice e comprensibile. Il mio amico (forse è presuntuoso da parte mia continuare a chiamarlo così) credeva nell’umanità, e quindi credeva nell’ordine della pittura e nell’ordine delle parole, perché è con questo che si fa la pittura. Credeva nella redenzione. In fondo è persino possibile che credesse nel progresso. Il caso, al contrario, è libertà totale a cui ci avvia la nostra stessa natura. Il caso non obbedisce a leggi e se anche (vi) obbedisse noi non le conosciamo. Il caso, se mi permette la similitudine, è come Dio, un Dio che si manifesta ogni secondo sul nostro pianeta. Un Dio incomprensibile con gesti incomprensibili rivolti alle sue creature incomprensibili. In questo uragano, in questa implosione ossea, si realizza la comunione. La comunione del caso con le sue tracce e la comunione delle sue tracce con noi.”» – (4)] si afferma come parricida. La libertà è dio-Padre ma è, ancora, Cristo che come uomo [il legionario carnefice, la folla in tumulto ecc.] non può che rivolgersi al male. E il male an-nienta. Il cristianesimo è una religione che an-nienta il sacro: se Dio, come insegna la teologia cristiana, per mezzo di Cristo si fa uomo – e non fa l’uomo – Dio si avvicina all’uomo, lo si umanizza ma al contempo si innalza l’uomo a Dio, lo si colloca al di là del bene e del male [5], rendendolo assolutamente libero e dunque ateo [6], senza Dio dentro il tempio; il tempio si rovescia all’esterno, tutto diviene tempio per il senza Dio. Dostoevskij, ancor più di Nietzsche, è figlio di Sade e di Baudelaire.
Bolaño tra gli scrittori contemporanei è, accanto ma ancor più del Jonathan Littell de Le Benevole, il maggiore cronista dell’apatia horribilis e la Parte dei delitti – “quarta parte” di cui si compone il romanzo postumo 2666 – è con la sua tassonomia e la sua reiterazione mortuaria, l’equivalente post-moderno della “quarta parte” de Le centoventi giornate di Sodoma [7]: «La reiterazione è la condizione indispensabile affinché il mostro rimanga al livello della mostruosità; se la mostruosità è puramente passionale resta malsicura. Affinché il mostro progredisca al di là del livello propriamente raggiunto, in primo luogo deve evitare di ricadere al di qua di esso, e questo gli è possibile soltanto reiterando i suoi atti nell’assoluta apatia. Essa sola può mantenerlo in uno stato di trasgressione permanente» [8]. Ogni crimine descritto è un crimine eseguito, un atto di selezione [Crimen origina da Krino, separare, cernere] e pertanto l’atto filosofico par excellence [9]. Il criminale disseziona ciò che gli è prossimo e prossimo è tutto ciò che gli accade, che cioè gli viene verso e che incontra, tutto ciò in cui si imbatte. Pure tutto ciò che è accidentale è fortuito e niente [nessun ente] è più fortuito del corpo: «Il corpo è il risultato del fortuito: è solo il luogo d’incontro di un insieme di impulsi individuali nell’intervallo costituito da una vita umana, impulsi che aspirano solo a disindividuarsi» [10].
«Dal momento che la distruzione è una delle prime leggi della natura, nessuna azione distruttiva può essere un crimine. In qual modo un atto che serve così bene la natura, potrebbe mai offenderla? Questa distruzione, di cui l’uomo si vanta, non è che un’illusione; l’omicidio non è una distruzione, chi lo commette non fa altro che variare delle forme: rende alla natura elementi di cui la sua abile mano si serve subito per modellare altri esseri; […] E’ il nostro orgoglio che osa erigere l’omicidio a crimine. […] un sovrano ambizioso potrà distruggere a suo piacimento e senza il minimo scrupolo i nemici che nuocciono ai suoi piani di grandezza… leggi crudeli, arbitrarie, tiranniche potranno ugualmente assassinare in ogni secolo milioni di individui… e noi, deboli e infelici creature, non potremo sacrificare un solo essere alle nostre vendette o ai nostri capricci? Esiste nulla di così barbaro, di così ridicolo e strano? E noi non dobbiamo prenderci ampia vendetta di questa idiozia, nascondendoci dietro il più profondo mistero?» [11]. E mistero è il ventre ulceroso di Santa Teresa/Ciudad Juarez sferzato dal vento che attraversa il deserto del Sonora – «un’oasi d’orrore in un deserto di noia». Se è vero, come dichiara Bolaño, che «il crimine sembra essere il simbolo del XX secolo» [12] è allo scandalo di Santa Teresa, al suo essere pietra di inciampo che occorre guardare perché «nessuno presta attenzione a questi omicidi, ma dentro c’è nascosto il segreto del mondo» [13].
[1] Friedrich Nietzsche, Ecce homo – Come si diventa ciò che si è, Adelphi, Milano, 1992, p. 43 [corsivo dell’Autore].
[2] Ernesto Sábato, Sopra eroi e tombe, Einaudi, Torino, 2009, p. 349 [corsivo dell’Autore].
[3] Roberto Bolaño, I detective selvaggi, Sellerio, Palermo, p. 529.
[4] Roberto Bolaño, 2666, Adelphi, Milano, 2007, I, pp. 120-121.
[5] «Chi vuole collocarsi nel punto iniziale della filosofia veramente libera deve abbandonare anche Dio. […] Il soggetto assoluto non è non-Dio, eppure non è neanche Dio, è anche ciò che non è Dio. In questo senso è al di sopra di Dio» [F. W. J. Schelling, Conferenze di Erlangen, in Scritti sulla filosofia, la religione e la libertà, Mursia, Milano, 1974, p. 203].
[6] «L’ateismo integrale significa che il principio stesso di identità scompare con il garante assoluto di tale principio; dunque che la proprietà dell’io responsabile è moralmente e fisicamente abolita» [Pierre Klossowski, Sade prossimo mio, ES, Milano, 2003, p. 25].
[7] «Le centocinquanta passioni omicide, o di quarta classe, che compongono le ventotto giornate di febbraio, occupate dalle narrazioni della Desgranges, a cui si aggiunge il diario esatto degli avvenimenti scandalosi del castello durante quel mese» [D. A. F. De Sade, Le centoventi giornate di Sodoma, ES, Milano, 1991, p. 333].
[8] Pierre Klossowski, op. cit., p. 36. [Klossowski si sofferma successivamente sul legame che viene a istituirsi tra gli atti compiuti ed il linguaggio adottato, una religione iconoclastica della parola, della Parola: «Il parallelismo tra la reiterazione apatica degli atti e la reiterazione descrittiva di Sade conferma nuovamente che l’immagine dell’atto da compiere si ri-presenta ogni volta non soltanto come se non fosse mai stato eseguito, ma neppure mai descritto. Reversibilità di un identico processo che inscrive la presenza del non-linguaggio nel linguaggio, ossia l’esclusione del linguaggio a opera del linguaggio stesso» [Pierre Klossowski, op. cit., p. 47; il corsivo è dello stesso Autore].
[9] «Ma la forza che vuole la più potente realtà della visione non solo è compatibile con la forza più potente che vuole l’atto, l’enormità dell’atto, il crimine – ma addirittura la presuppone» [F. Nietzsche, op. cit., p. 43 – corsivo dell’Autore; ho preferito tradurre – come già in Klossowski – That con “Atto” e Verbrechen con “Crimine”; nella versione di Roberto Calasso, la versione segnalata in nota, il curatore opta per “Azione” e “Delitto”].
[10] Pierre Klossowski, Nietzsche e il circolo vizioso, Adelphi, Milano, 1981, p. 57 [corsivo dell’Autore].
[11] D. A. F. De Sade, La filosofia nel boudoir, ES, Milano, 1992, p. 56.
[12] Roberto Bolaño, Tra parentesi, Adelphi, Milano, 2009. Scrive George Steiner in un passo puntuale richiamato da Riccardo De Benedetti: «Può darsi che gli storici futuri finiscano per definire l’epoca attuale in Occidente come un’era di attacco massiccio all’intimità umana, ai delicati processi tramite i quali cerchiamo di realizzare la nostra identità unica e individuale, di sentire l’eco della nostra propria natura. Questo attacco è imposto dalle condizioni stesse di una tecnocrazia urbana di massa, dalle necessarie uniformità delle nostre scelte politiche ed economiche, dai nuovi mezzi elettronici di comunicazione e di persuasione, dall’esposizione sempre crescente dei nostri pensieri e delle nostre azioni a intrusioni e controlli sociologici, psicologici e materiali. Sempre più noi veniamo a conoscenza dell’intimità reale, dello spazio autentico in cui sperimentare la nostra sensibilità personale, soltanto in forme estreme: esaurimento nervoso, intossicazione, fallimento economico. donde l’impressionante monotonia e pubblicità – nel pieno senso della parola – di tante vite apparentemente prospere. Donde anche il bisogno di stimoli nervosi di una brutalità e di un’autorità tecnica senza precedenti» [George Steiner, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano, Garzanti, Milano, 2006, p. 107 citato in Riccardo De Benedetti, La chiesa di Sade. Una devozione moderna, Medusa, Milano, 2008, pp. 15-16].
[13] Roberto Bolaño, 2666, Adelphi, Milano, 2007, I, p. 431.
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6 ottobre 2013 alle 09:38
Bolaño mi sembra uno di quegli intellettuali disperati e ribelli per cui è impossibile non provare simpatia. Non so quanto il suo pensiero sanguigno, disordinato, quasi nichilista sia attuale. Il suo è un dadaismo “fatto in casa”, molto genuino, ma anche molto debitore ad un malessere vitae più che esistenziale, determinato dalle condizioni dell’America meridionale, del Cile di Allende in particolare. C’è, a mio modesto avviso, il rischio dell’occasionalità e di un idealismo catartico rivolto al sociale praticamente impossible da realizzare in una terra culturalmente arretrata per colpa di Chiesa e latifondismo, feudalesimo e americansmo hollywoodiano. Rimane questa figura singolare per genuinità e per ingenuità a turbare l’ipocrisia e la brutalità del capitalismo, turbamento che l’autore di questo articolo ci ficca educatamente nella coscienza.
7 ottobre 2013 alle 09:50
Interessante… perché la maggior parte delle persone teme l’abisso. E’ un campo pericoloso e bisogna essere preparati ad addentrarvisi, è un po’ come vendere l’anima al diavolo.
7 ottobre 2013 alle 17:20
Ringrazio Luca per questo stimolante suggerimento di lettura di un autore che onestamente non conoscevo prima di adesso.
L'”addentrarsi nell’oscurità con gli occhi aperti”, indipendentemente dalle sue conseguenze, ricorda molto la lucidità dello scrittore franco-romeno Emil Cioran, il quale non a caso diceva che “un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve allargarle”: una concezione della letteratura non come qualcosa di astratto ma di assolutamente concreto, quasi fisicamente sofferente.
L’accostamento a Sade mi suggerisce un altro passaggio inconsueto – sotto lo “stimolo” della lettura de “Il pensiero di Leopardi” di Mario Andrea Rigoni – con (appunto) Leopardi, nel suo essere non solo poeta dell’infinito ma anche letterato, filosofo e pensatore.
Da un punto di vista invece prettamente filosofico, mi ricorda Philipp Batz, più conosciuto come Philipp Mainlander (tanto per dire, visto che mi risulta ci sia in Italia solo un volume monografico, quello di Fabio Ciracì, “Verso l’assoluto nulla. La Filosofia della redenzione” del 2006), forse a causa del riferimento al male e alla redenzione.
O forse tutto è esageratamente casuale: “un lusso, l’altra faccia del destino o semplicemente qualcos’altro”?
7 ottobre 2013 alle 18:26
Grazie a te Giuseppe della lettura attenta e, al solito, giudiziosa. Leopardi è debitamente ricordato da Riccardo De Benedetti nel suo libro su Sade che menziono in nota, “La chiesa di Sade”. E richiamato in causa grazie ad uno studio del da te ricordato Mario Andrea Rigoni (“Leopardi e la filosofia del dimenticare”, 1980). Tutto torna.
Non forzerei però troppo la mano a Bolaño con accostamenti a filosofi e/o pensatori vari. Resta pur sempre un letterato, di eccezionale levatura ed eterogeneità di letture, di “sofferente” sensibilità come puntualmente evidenzi, ma un letterato. Un grandissimo letterato e come tale pienamente attraversato dallo spirito del suo tempo e da esso trasceso come si conviene ad un ‘classico’ in fieri.
Su Mainländer hai perfettamente ragione: l’unico studio italiano ad oggi dedicato all’originalissimo filosofo di Francoforte, discepolo di Schopenhauer, è proprio quello dell’amico Fabio Ciracì: “Verso l’assoluto nulla. La ‘Filosofia della redenzione’ di Philipp Mainländer”, edizione Pensa Multimedia, Lecce, 2006.