> di Gianluca Valle
La Difesa della poesia (1821) di Shelley che qui presentiamo è il testo più noto del poeta inglese e rappresenta uno degli immortali manifesti del Romanticismo. La traduzione è dell’anglista Rosario Portale; il volumetto è raccolto nella preziosa collana Arethusa dell’Editore Solfanelli, diretta da Giuseppe Grasso. Del testo shelleano esistono numerose versioni italiane, ma nessuna eguaglia questa per l’aderenza all’originale e la vibrante forza letteraria: si tratta dunque di un’occasione che viene offerta al lettore per riflettere sull’eterno valore del fare poetico e, ancor più, su concetti e temi che hanno rilevanza etica ed estetica universale. È nota la circostanza che ha determinato la stesura della Difesa shelleana: qualche decennio prima di Hegel, seppure con accenti differenti, lo scrittore Thomas Love Peacock in The Four Ages of Poetry (1820) aveva prefigurato la morte dell’arte nei tempi moderni, caratterizzati dal trionfo della ragione, della scienza e della politica. Shelley ribatte che non solo la poesia non è prossima a morire, ma è il luogo par excellence in cui si sprigiona la facoltà immaginativa dell’uomo, con tutta la sua carica etica e utopica, in vista di un diverso ideale di umanità. In questo quadro, appena delineato, ci sembra che gli argomenti toccati da Shelley, meritevoli di un maggiore approfondimento, siano anzitutto tre. Intanto, il poeta inglese distingue due facoltà della mente umana: l’immaginazione (poieìn) e la ragione (loghìzein) e ritiene che la poesia sia frutto della prima. Occorre chiedersi, dunque, che cos’è l’immaginazione e che cosa la differenzia dalla ragione. Al tema dell’immaginazione è strettamente connesso quello dell’ispirazione del poeta: ma come si manifesta in lui l’impulso che lo spinge a creare? Egli lo agisce o lo subisce? Il testo di Shelley fornisce una fenomenologia dell’atto creativo e propone una teoria del genio artistico che trova la sua matrice nel concetto platonico di manìa. L’ultima questione su cui vale la pena soffermarsi è quella dell’utilità della poesia. In un mondo, come quello di Shelley, segnato dai processi di modernizzazione e di industrializzazione, un mondo di cui il nostro è solo l’ultima espressione iper-tecnicizzata, a cosa può ancora servire la poesia? Continua a leggere