Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Balthus (1908-2001) nel “gioco delle posture”. L’arte di sfiorare la Terra: momento di “Ge-viert”.

>di Giuseppe Brescia*

L’ermeneutica dell’arte si impone nella modernità a partire dal filone vichiano e neokantiano fino agli sviluppi idealistici e all’ontologia esistenziale. “Le origini dell’opera d’arte” di Martin Heidegger è dello stesso anno (1936) de “La Poesia” di Benedetto Croce. Il paradigma della tetrade, o quaternità, si inscrive nella struttura della filosofia dello spirito e nella topica heideggeriana del “Geviert” Terra-Cielo-Mortali-Divini.balthus-balthasar-klossowski-de-rola-girl-at-the-window-1955 Il concetto della quaternità non è un ghiribizzo mentale ma una modalità del ponere totum, una maniera di configurare emblematicamente la “universalità” dell’arte o del porre la relazione tra le parti e il tutto. La collocazione della “cosa” nella “prossimità” – spiega Gianni Vattimo – viene a “situarsi nel quadrato delle regioni del mondo al quale appartiene” (“La fine della modernità”, Milano 1985, pp. 73-79 ). Venendo a momenti rappresentativi della storia dell’arte, la “prossimità” stessa può stabilirsi nella scena del gioco, negli interni di una abitazione, o nell’approcciarsi a una finestra di casa.
Trattai di “Les Jouers des cartes” (1966-1973), olio e tempera su tela di Balthus, opera esposta al Museo di Rotterdam, per lumeggiare la postura dell’uomo a sinistra (‘Guarda, sto per giocare’), in atteggiamento dominante con il ginocchio della gamba destra posato sulla sedia; mentre la donna, di fronte a lui ma soprattutto allo spettatore, è seduta (‘Guarda, ecco la carta che ho giocato’, sembra apertamente dichiarare). Rinvio, per questa parte, alle mie Generazioni del Tempo (Matarrese, Andria 2018, pp. 107-108; “Filosofia e nuovi sentieri”, 18 gennaio 2018). Continua a leggere


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Trascendentalità del tempo

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> di Giuseppe Brescia*

«Genio è colui che lavora col tempo sul tempo»

( Max Ascoli, 1917 )

Secondo l’efficace sintesi di Wallace Arthur, irlandese, della National University of Galway, in Life through Time and Space (Harvard University Press, 2017), l’evoluzione dell’universo può così riassumersi: 1. Big Bang: “quattordici miliardi di anni fa”. 2. “Una frazione di secondo dopo il Big Bang, l’origine delle particelle subatomiche, protoni e neuroni”. 3. Altri quattrocentomila anni: “unione delle particelle che formano gli atomi”. 4. Durante il primo miliardo di vita dell’Universo: “nascita delle stelle, tra cui il Sole”. 5. Quasi simultaneamente: “origine della Terra e degli altri pianeti”. 6. Mezzo miliardo di anni dopo: “nascita della vita sulla Terra”. 7. Sette milioni di anni fa: “origine delle specie animali”. 8. Sei milioni di anni fa: “origine e sviluppo del cervello”. 9. Meno di un milione di anni fa: “Homo Sapiens”. 10. Poco meno di un milione di anni fa: come risultato dell’unione di un uovo e di uno spermatozoo, “noi”.

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Se la tecnica diventa il soggetto della storia. Note sulla tecnocrazia: Günther Anders, Martin Heidegger, Jürgen Habermas

> di Giorgio Astone

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1. Essere soggetti co-storici: il desiderio estraniante dell’uomo contemporaneo

Nella multiforme produzione di un pensatore come Günther Anders risulta evidente una posizione complessivamente pessimistica e catastrofica nei confronti delle possibilità umane nell’era della tecnica; deduzione che non deve le sue ragioni, principalmente, alla natura dell’uomo in quanto tale, bensì a quell’allontanamento de-responsabilizzante ed eteronomo dello stesso nei riguardi della propria “Storia” con l’ascesa di una τέχνη in qualche modo indipendente e svincolata dal controllo del suo inventore. In questo senso è possibile ascrivere la filosofia andersiana all’interno del perimetro della Posthistoire: il “tempo della fine” (Endzeit) non è un leitmotiv unicamente nei saggi andersiani dedicati alla polemica anti-atomica e rimane un orizzonte permanente sul quale si stagliano eventualità di carattere morale e politico. Continua a leggere


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L’esilio della carne: Max Blecher

> di Luca Ormelli

«Al mondo non esiste nulla all’infuori del fango»

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«La terribile domanda “chi sono davvero” vive allora in me come un corpo totalmente nuovo, cresciutomi dentro con una pelle e degli organi che mi sono del tutto sconosciuti. La sua soluzione è richiesta da una lucidità più profonda e più essenziale di quella del cervello. Tutto ciò che è capace di agitarsi nel mio corpo, si agita, si dibatte e si rivolta in maniera più potente e più elementare che nella vita quotidiana. Tutto implora una soluzione» [Accadimenti nell’irrealtà immediata, p. 12].

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La differenza italiana. Genealogie dell’impersonale, della passività radicale e della debolezza tra Esposito, Agamben e Vattimo

> di Andrea Sartori*

Florida State University – Tallahassee
Spring Semester 2014
Guest Lecture for the course
Readings in Contemporary Italian Literature and Culture
taught by Prof. I. Zanini Cordi

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In un articolo pubblicato nel 1976 sulla rivista L’erba voglio fondata dallo psicoanalista Elvio Fachinelli (1928-1989), Mario Perniola individuava nell’eterno ritorno dell’uguale il tratto fondamentale (e paradossale) della differenza italiana. Secondo quella diagnosi, il Paese era bloccato – fin nel suo genoma culturale – nell’impossibilità di evadere dall’apparenza del cambiamento. Perniola dilatava pertanto l’amara constatazione di Tomasi di Lampedusa (1896-1957) – secondo la quale tutto deve cambiare perché tutto rimanga così com’è – a cifra interpretativa non solo dell’Italia unificata, ma delle sue radici culturali pre-risorgimentali, addirittura cinquecento-secentesche. Il barocco italiano, ad esempio, con la sua enfasi sulla mutevolezza delle forme e delle immagini – l’Adone di Giovan Battista Marino (1569-1625) venne pubblicato nel 1623 a Parigi – già preludeva nell’analisi di Perniola alla levità, alla leggerezza senza peso specifico d’una società che ben conosciamo. Un società, in altri termini, il cui immaginario doveva essere fagocitato a breve da un nuovo soggetto economico-politico, incentrato sul possesso e l’utilizzo dei mass-media (della televisione, in particolare). Non molti anni dopo il 1976 in cui uscì l’articolo di Perniola, il governo socialista presieduto da Bettino Craxi cedette di fatto, tra il 1984 e il 1985, il monopolio della televisione commerciale a Silvio Berlusconi – ponendo così le basi di un successo che l’imprenditore, a partire dal 1994, avrebbe sfruttato anche sul piano politico.

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“Postmodernità”, “pensiero debole” e “nuovo realismo” ovvero inconsistenza e miseria della filosofia italiana contemporanea

> di Gianfranco Bosio*

Maurizio Ferraris

Da qualche tempo non si sentiva più tanto parlare di “pensiero debole”, di “postmodernità” e simili, o meglio, tutto quello che se ne diceva e se ne scriveva passava inosservato. La moda che con tanto entusiasmo e con tanta invasività aveva fatto irruzione nella pubblicistica filosofica italiana dei nostri giorni, fino al suo arrivo trionfale sui palcoscenici massmediatici dei vari “festival” della filosofia italiana, sembrava essere entrata in una fase di stanca e di riflusso. Meno male che ci ha pensato Maurizio Ferraris con il suo Manifesto del nuovo realismo, i cui principi sono apparsi per la prima volta sul quotidiano “La Repubblica” (8 agosto 2011). L’esposizione completa è del 2012. E’ stato più di un sasso gettato nello stagno. Ha prodotto un vero sconquasso.

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Il rifiuto di Protagora

> di Giuseppe Savarino

Abdera, odierna Avdira, è una piccola città greca, della Macedonia orientale.
Qui nacque Democrito, la cui teoria atomistica è stata importante, se non determinante, per la scienza moderna (suo discepolo fu Nausifane, a sua volta maestro di Epicuro: singolare e significativo intreccio).

Qui nacque anche un certo Anassarco, un filosofo di cui si conosce veramente poco; sostanzialmente un paio di aneddoti che ci mostrano una personalità orgogliosa e caustica, quasi eroica e dunque sprezzante: si racconta ad esempio che si auto-recise la lingua per non farsela tagliare dal tiranno Nicocreonte. Del suo pensiero si conosce altrettanto poco, ma si sa che fu discepolo di Democrito e maestro di Pirrone (assieme andarono con Alessandro Magno in Oriente); fu dunque probabile fondatore o se si preferisce anticipatore dello scetticismo (anche se il suo pensiero sembra sia andato oltre, verso un dubitare di tipo ascetico).

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