Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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GUIDA MISTICA AL NOUMENO – 8 brevi passi per accedere all’invisibile

> di Vito J. Ceravolo*

[1] Assumiamo:

  • Un oggetto, una realtà in sé, un ordine sovrasensibile delle cose, un noumeno. Detto ragione in sé delle cose;

  • Un soggetto, una realtà apparente, un ordine sensibile delle cose, un fenomeno. Detto immagine apparente delle cose.

[2] La ragione in sé delle cose è il tertium comparationis, ciò che permette la conoscenza razionale delle stesse, l’uguale che conosce l’uguale, il medio fra inanimato e animato, fra res extensa e res cogitans, fra meccanica-biologia-cultura, fra body-mind, ed è ratio efficiens:

  • Ciò che appare necessita di ciò da cui apparire, il quale conseguentemente non può apparire, ma dal quale conseguentemente si dà quell’apparire;

  • L’apparire sensibile è conforme alla ragione sovrasensibile per cui si dà, cosicché ogni fenomeno sia una manifestazione della ragione in sé per cui appare;

  • L’esperienza fenomenica è di valori sensibili e ogni valore sensibile ha un ordine implicante la ragione per cui è tale. Anche ciò che rientra nell’ordine degli irrazionali è conforme alla ragione per cui è tale;

  • La ragione in sé, noumeno, ha la sua conseguenza esperienziale che le si conforma, condizione basilare per essere presa in considerazione in una teoria della conoscenza che prevede la verificabilità condivisa dell’oggetto in esame;1

  • Alla realtà in sé, alle ragioni sovrasensibili, si conformano casi di determinazione, probabilità, caos, causa, caso, libertà, contraddizioni, paradossi etc (cfr. Libertà).

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Archetipi di Leonardo (1452-1519): Il sorriso

> di Giuseppe Brescia*

A cinquecento anni dalla morte, diverse città e istituzioni hanno reso omaggio al genio da Vinci. Per la storia delle idee, Charles Baudelaire, intorno al 1857, nei Fiori del male, Spleen et Idéal, lo esalta tra «I Fari”, «Les Phares», «segnacolo di luce su mille cittadelle», e che viene ad annegare «au borde de votre éternité», “miglior testimonianza di dignità”, agli occhi del Signore. «Léonard de Vinci, miroir profond et sombre, / où des anges charmants, avec un doux souris / tout chargé de mystère, apparaissent à l’ombre / des glaciers et des pins qui ferment leur pays». E cioè: «Leonardo da Vinci, specchio scuro e profondo, / dove con un (dolce) sorriso d’alto mistero appaiono / angioli ad incantarci, soavi, entro lo sfondo / d’un ombroso paese di pini e di ghiacciai» (integro la versione di Gesualdo Bufalino). Nel sorriso, infatti, è la «sintesi di Leonardo, dei suoi lunghi e faticosi studi sperimentali, quegli studi scientifici apparentemente indipendenti dall’attività artistica e che invece trovano nella sua pittura il momento culminante. Ne è espressione di gioia, un sentimento umano transitorio; è piuttosto espressione della serena tranquillità di chi domina con la ragione» (Piero Adorno). Continua a leggere


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Bianco, vuoto, nero. Prospettive interculturali nella filosofia dei giochi: gli scacchi, il go

> di Rudi Capra*

 

La pratica dell’intercultura in filosofia nasconde diversi rischi: l’incomprensione può essere frequente, così come l’esaltazione della propria prospettiva di origine (nel mio caso, sarebbe eurocentrismo) e l’esaltazione opposta, ma altrettanto deleteria, della differente prospettiva che viene presa in esame (che rivela un etnocentrismo ingenuo quanto il primo). Non ultima, esiste la tentazione di considerare i termini della comparazione come realtà indipendenti, chiaramente delimitate e facilmente descrivibili, quando invece locuzioni quali “cultura occidentale” e “mentalità orientale” corrispondono semplicemente a concetti astratti, che sono necessari in un contesto di analisi teorica, ma risultano irrimediabilmente manchevoli e imprecisi sul piano della realtà. Ciò vale per la pratica generale dell’intercultura, e vale ovviamente anche per questo saggio, in cui tali concetti vengono adoperati in modo intuitivo per stabilire un terreno d’indagine e potervisi muovere, al limite per descrivere la ricorrenza di alcune tendenze generali, e non dunque in modo fondativo, per stabilire cioè una volta per tutte che cosa sia la “cultura occidentale” o la “mentalità orientale”, compito che non tanto è arduo quanto le fatiche di Ercole, ma piuttosto vano, come l’unica, quotidiana fatica di Sisifo. Continua a leggere