Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Archetipi di Leonardo (1452-1519): Il sorriso

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> di Giuseppe Brescia*

A cinquecento anni dalla morte, diverse città e istituzioni hanno reso omaggio al genio da Vinci. Per la storia delle idee, Charles Baudelaire, intorno al 1857, nei Fiori del male, Spleen et Idéal, lo esalta tra «I Fari”, «Les Phares», «segnacolo di luce su mille cittadelle», e che viene ad annegare «au borde de votre éternité», “miglior testimonianza di dignità”, agli occhi del Signore. «Léonard de Vinci, miroir profond et sombre, / où des anges charmants, avec un doux souris / tout chargé de mystère, apparaissent à l’ombre / des glaciers et des pins qui ferment leur pays». E cioè: «Leonardo da Vinci, specchio scuro e profondo, / dove con un (dolce) sorriso d’alto mistero appaiono / angioli ad incantarci, soavi, entro lo sfondo / d’un ombroso paese di pini e di ghiacciai» (integro la versione di Gesualdo Bufalino). Nel sorriso, infatti, è la «sintesi di Leonardo, dei suoi lunghi e faticosi studi sperimentali, quegli studi scientifici apparentemente indipendenti dall’attività artistica e che invece trovano nella sua pittura il momento culminante. Ne è espressione di gioia, un sentimento umano transitorio; è piuttosto espressione della serena tranquillità di chi domina con la ragione» (Piero Adorno). Nel sorriso è anche il “mistero” di Leonardo, che riprende il senso del naturalismo rinascimentale, il trapassare dallo stato solido a uno stato liquido allo stato gassoso, il trascolorare delle esperienze e delle percezioni, compendiato nel celebre sorriso della Monna Lisa, di cui si conoscono due versioni (1503-1505  e 1513-1515). Il sorriso è anche nella Sant’Anna, la Madonna e il bambino con agnello del 1510; nella Dama con l’ermellino, ritratto per Cecilia Gallerani (1488-1490); nel Ritratto di Bona Sforza, noto come La Bella Principessa, del 1490 circa; ancor prima, nella Vergine delle Rocce (ossia Madonna con San Girolamo, il Bambino e un Angelo), del 1483; e nel San Girolamo, terracotta attribuita a Leonardo da Edoardo Villata, proprio per il sorriso e la «organicità della posa».

 

«Si coglie sul volto del Santo filosofo un sorriso appena accennato che denota il compiaciuto raggiungimento della conoscenza delle verità eterne e che affiora nell’intensità della concentrazione e dell’espressione» (Marco Bona Castellotti). Negli stessi anni, Jeronimus Bosch dipinge Le tentazioni di Sant’Antonio (1510), con preminenza dei dèmoni tentatori sulla scena, consentendo di comporre i due paradigmi a confronto (Il dèmone di Bosch e il sorriso di Leonardo, nel mio volume I conti con il male, Laterza, Bari 2015, Parte terza, pp. 366-377). Ma prima ancora il sorriso era nelle opere del maestro di Leonardo, Andrea del Verrocchio (1435-1488), il cui David sorride per la propria “virtus”, la sua libera ponderazione nella scena, tale che “nessuna cornice potrebbe contenerlo” (a differenza di quanto accade per il “David” di Donatello), e il notevole Putto col delfino. Avevamo avuto il Ritratto d’uomo, o Sorriso dell’Ignoto marinaio, di Antonello da Messina, custodito nel Museo di Cefalù, ed il Ritratto di Beato Angelico (vissuto tra il 1396 e il 1453), effigiato da Luca Signorelli (1499-1504), il cui “sorriso” è detto «della compassione» da Giorgio Vasari, nelle Vite, del 1568 (vol. II, p. 519); fino al Sorriso della Dama, nel Ritratto di Desiderio da Settignano, custodito a Firenze nel Museo Nazionale del Bargello.

Leonardo si colloca al vertice e nella sintesi piena delle inflessioni estetiche del ‘sorriso’, come il culmine della “scienza universale” e della raggiunta consapevolezza di averne attinto la cifra globale, il nesso cosmico tra le varie forme di natura  organica e vivente e tra natura e spirito. Il «sorriso» – dirà poi Giambattista Vico curiosamente – è «lo sternuto della intelligenza»; contrassegnando la sfera dell’appagamento nella comprensione, il dominio pieno della ragione, la conoscenza di quelle verità eterne e archetipali, che sono rintracciate dalla psicologia analitica di Jung e – oggi – dalla ricerca della Scienza universale di Fritjof Capra (ed. it. Milano 2017, pp. 43 e 239-245), l’autore de Il Tao della Fisica, ove si colgono mille affinità e analogie tra taoismo e fisica quantistica, filosofo che ringrazio per aver corrisposto con la mia ‘interpretazione’.

*Giuseppe Brescia Presidente della Libera Università “G. B. Vico” di Andria, Preside titolare nei Licei, Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola nel 1990 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, dopo la fase filologica (La poetica di Aristotele e Croce inedito del 1984), ha espresso un sistema in quattro parti: Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva in due volumi (Bari 1999); Epistemologia come logica dei modi categoriali (2000); Cosmologia come sistema delle scienze di frontiera (1998) e Teoria della tetrade (2002). Ha lavorato all’innesto tra umanesimo storicistico, epistemologia ed ermeneutica, dando valore attrattivo ai tempi del “tempo” e della “Lebenswelt”; alle Ipotesi e problemi per una filosofia della natura (1987), L’azione a distanza (1990) e Pascal matematico (1991); alle attualizzazioni dei problemi del male e del sofisma (Critica della ragione sofistica, 1997; Ipotesi su Pico, 2000 e 2011; Il sogno di Castorp e il progetto di Pico, 2002; Il vivente originario. Saggio sullo Schelling, Milano 2013).

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