> di Bruna, Stefania Massari
“Passione di verità”, “A Passion for Truth” (di Abraham Joshua Heschel, con prefazione e cura di Luca Siniscalco, traduzione di Luisa Theodoli – edito da IDUNA nel 2019) è un libro autobiografico, e nello stesso tempo è un saggio filosofico. In esso, l’autore trasforma le figure che più hanno caratterizzato la sua formazione, nella tradizione chassidica, in emblemi di verità universale. Il curatore del testo, Luca Siniscalco, in un’ampia prefazione, espone tale percorso con chiarezza, a partire dal titolo: “Itinerarium mentis in veritatem”. Si tratta infatti di un vero e proprio viaggio dell’autocoscienza (entro sé è fuori di sé, in senso hegeliano), e per ciò stesso mistico (secondo un concetto di misticismo privo di valenze irrazionalistiche), in cui vi è in gioco tutto l’uomo e tutto ciò che appartiene integralmente alla sua esperienza esistenziale («L’ebraismo pretende tutto dagli uomini, l’uomo intero» – p. 292).
Ovvero trattasi di una condizione dello spirito e della mente che non conduce l’uomo a separarsi dal mondo, e tuttavia è un cammino di erranza, poiché i beni del mondo, come ricorda il secondo personaggio emblematico del saggio, quello a cui sarà dedicato maggiore spazio, Rabbi Menachem Mendel (Reb Menahem Mendl, il “Kotzker”, anche’esso figura imprescindibile della storia della tradizione chassidica, dopo Rabbi Baal Shem Tov), sono ambivalenti. Essi possono asservire l’uomo e dunque occorre rimanere sempre all’erta e fare come le sentinelle dei testi profetici, che vegliano sul mondo fino all’aurora, per decifrare i segni dei tempi. Rabbi Menachem Mendel ebbe davvero un atteggiamento di mera abnegazione verso i beni della terra, avviato da un desiderio incommensurabile di servire, sempre con maggior perfezione, Haschem (cfr. The Torah Discourses of the Holy Tzaddik Reb Menachem Mendel of Rimanov 1745 – 1815, translated by Dov Levin, Ktav Publishing House, Inc. Hoboken, New Jersey 1996, “The life and works of Menachem Mendel of Rimanov”, p. 12). Possiamo affermarlo con sicurezza, sfogliando le sue principali biografie: la vita di Abraham Joshua Heschel è stata realmente determinata da una grande “passione di verità” che l’ha caratterizzata integralmente. Egli usava autodefinirsi “un ebreo moderno di lingua yiddish”, rimasto fedele alla “rivelazione del Sinai”, ma che aveva nel contempo sviluppato una coscienza etica di carattere universale (cfr. Edward. K. Kaplan, and Samuel H. Dresner, A Poet’s Self-Portrait -Winter 1933-1934 – in Abraham Joshua Heschel: Prophetic Witness, pp. 182-193, Yale University Press 1998: «Heschel knew who he was, at least internally: a yiddish-speaking modern Jew, loyal to the Sinai revelation, with a universal ethical conscience»). Il 18 gennaio 1947, Heschel tenne un discorso, in lingua Yiddish, al YIVO, alla Hunter College Assembly Hall di New York, dove sostenne che l’essenza del vivere ebraico si configura imprescindibilmente come una mescolanza tra una dimensione terrena e una “celeste”. «L’anima è una parte del Dio dall’alto, ma l’uomo pensa di essere del tutto dal basso, fatto solo di polvere. Ogni uomo dovrebbe vedersi come una scala fissata al suolo, ma con una sommità che tocca il cielo» (p.25), (cfr. Edward K. Kaplan, Spiritual Radical: Abraham Joshua Heschel in America, 1940-1972, Yale University Press, New Haven & London 2007. Cfr., inoltre, sulla storia dello YIVO, e la sua utilità nella preservazione e divulgazione della cultura yiddish, Cecile Esther Kuznitz, “YIVO” 2010, YIVO Encyclopedia of Jews in Eastern Europe: yivoencyclopedia.org: «YIVO was founded in 1925, [Yidisher Visnshaftlekher Institut, or Yiddish Scientific Institute] became the leading institution for scholarship in Yiddish and about the history and culture of East European Jews and their emigrant communities»). Delle due dimensioni essenziali della fisionomia ebraica, nessuna delle due prevale sull’altra, così come per l’amore e la verità, o il pensiero e l’azione. Entrambe concorrono a definire l’uomo nella concretezza della sua verità, e la verità stessa è tutto ciò che l’ebreo della tradizione chassidica non deve mai smettere di cercare in una sua resa concreta e universale. Il personaggio del chassidismo che ha forgiato maggiormente la connotazione del suo ebraismo yiddish è stato Rabbi Israel Baal Shem Tov (1700−1760), che è il fondatore del chassidismo. Lo possiamo leggere nel suo proprio “Testamento” (o Tzava’at Harivash), il Santo Baal Shem era dotato di una splendida positività nei riguardi del mondo. I versetti biblici che il Besht (diminutivo di Baal Shem Tov) amava più divulgare, avendoli fatti propri per “rivelazione”, riguardavano anch’essi la conoscenza universale che sarebbe conseguita a una redenzione messianica, come predicevano gli oracoli dei profeti Isaia e Geremia, là dove preconizzavano un mondo in cui non ci sarà più bisogno di profeti e di maestri, perché la conoscenza di Dio ricoprirà la terra come fanno le acque del mare. Heschel fa proprio l’universalismo chassidico del Besht (Cfr. Isaia 11,9; Geremia 31,33 e cfr., inoltre, Tzava’at Harivash, The Testament of Rabbi Israel Baal Shem Tov, english translation, with introduction, notes and commentary by Jacob Immanuel Schochet, Kehot Publication Society, New York 1998, foreword x). Ma a questo desiderio di condivisione universale, Baal Shem univa anche un amore ardente per tutti gli elementi del creato, nei quali scorgeva la presenza del Creatore. Questo amore si traduceva in un afflato poetico. L’amore autentico riconosce il bisogno di poesia nei contesti in cui essa manca. E la fede deve cercare la bellezza, e viceversa. Scrive Heschel: «Il Baal Shem aveva vissuto in un’epoca in cui l’immaginazione poetica era stata soffocata dalla speculazione talmudica. Sembrava che un velario fosse calato sugli occhi dell’anima. Il Baal Shem lo rimosse e la fantasia cominciò a cantare» (p. 26). La passione nei riguardi del mondo del santo chassid ricorda l’afflato dei greci nella classicità, per il mondo e per l’uomo. Persino la ricomposizione duale di un aspetto solare e uno tragico nella tradizione e nella vita di Heschel, (i due emblemi antitetici delle dimensioni dell’esistere ebraico, e nello specifico, chassidico) ricorda non solo i contrasti nei vissuti di fede della vita dei profeti e degli uomini chiamati dal Dio, nella narrazione biblica, ma persino i dialoghi platonici. Nel Simposio e nel Fedone si domanda sulla filosofia in relazione all’amore e alla vita nonostante l’ingiustizia e la morte. Sembra che qui, Atene e Gerusalemme si predispongano all’incontro. Ma vi si scorgono echi anche ulteriori. Il contrasto tra il desiderio spasmodico di forma dei maestri ebrei riguardo all’ordine di vita e alle pratiche dell’ebraismo, e la spontaneità invocata da Baal Shem, sembra evocare la coimplicanza del “limite” e dell’“illimite” di memoria pitagorica. E inoltre, le due figure emblematiche sono accostate a due filosofi altrettanto emblematici dell’era romantica: Sören Kierkegaard e George Wilhelm Friedrich Hegel, l’uno ricreando dualismi tra immanenza e trascendenza e l’altro ricomponendoli (che p.47), fino al culminare da parte dell’autore, nell’evocazione del motto delfico, come trasposto nella memoria chassidica: «Conosci ciò che è sopra di te, te stesso, in questo modo conoscerai Dio che è sopra, all’interno e a partire da te». (p. 39). Nella tradizione chassidica fede e ragione sono interdipendenti (p.189). Non è opportuno identificare ebraismo e razionalismo (errore commesso dal pensiero liberale moderno), ma non lo è, allo stesso modo, accostarlo all’irrazionalismo, come insegna anche uno dei filosofi e rabbini più influenti dell’ebraismo, Maimonide. Il “Kotzker” stesso non nega la validità della logica. Ovvero la fede non toglie nulla al pensiero, ma piuttosto toto genere lo valorizza e vi aggiunge qualcosa di inestimabile rispetto ai calcoli meramente quantitativi. È consigliabile leggere questo libro. Accostarsi a esso è come proiettarsi in un viaggio poetico della memoria del pensiero e della vita, in un percorso che sembra accomunare Oriente e Occidente. In fondo la storia di Heschel è proprio quella, e probabilmente anche la nostra.
*Bruna, Stefania Massari è nata a Bari, il 20 novembre, 1968. Si è laureata in Scienze Politiche, nel 1998, presso l’Università degli studi “Aldo Moro” di Bari. Ha conseguito il Perfezionamento in Criminologia generale e penitenziaria, nell’anno accademico 1998-1999, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università degli studi “Aldo Moro” di Bari. Si è abilitata all’insegnamento delle materie giuridico-economiche nel 2002. Ha conseguito una Laurea in Scienze Religiose, nel 2003, presso l’ ISSR – Facoltà Teologica Pugliese. Dal 2007 insegna Religione Cattolica, nelle scuole secondarie di primo grado. Nel 2011 si è consacrata in forma privata, nelle mani di un frate francescano, per vivere laicamente l’essenza dei consigli evangelici. È cultrice delle discipline storico-filosofiche e filosofico-storiche. Pubblicazioni: Stefania Massari, La 75a primavera di un fiore, Incontro con il meridionalista Vittore Fiore, Pensiero e Arte, Anno XLIX – N. 1/4-1995. Stefania Massari, Mauro Picinni Leopardi alla “Quadreria Den Hertog” e Antoni Clavé a “La Panchetta”, Pensiero e Arte, Anno XLIX – N. 1/4-1995.
Abraham Joshua Heschel, Passione di verità, ed. Iduna, 2019. A cura di Luca Siniscalco