Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Alla ricerca dei “buoni europei”

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di Francesco Brusori

[Alla ricerca dei “buoni europei”. Riflessioni su Nietzsche, (a cura di) C. Gentili, Edizioni Pendragon, Bologna 2017]
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Spesso e in diverse parti si orecchiano sentenze nietzschiane, la cui affidabilità contenutistica è quasi sempre lasciata al caso o al piacere dell’“oratore”. Negli ultimi decenni, nello specifico, si sono fatte avanti sulla scena pubblica sentenze quantomeno superficiali, per non dire completamente sconclusionate, sull’Opera di Nietzsche: tutte riconducibili entro il ventre molle di una vulgata del filosofo improvvisata, assai lontana dai testi originari. Il filosofo “della morte di Dio”, “della follia mentale” o ancora peggio “ideologo del nazionalsocialismo” risulta a tutti gli effetti il maggiore pensatore e intellettuale più incompreso dei secoli XIX e XX. Una incomprensione che tuttavia, dopo aver attraversato come un fiume carsico l’intero secolo scorso, riemerge tutt’ora, nonostante le fatiche che numerosi studiosi hanno affrontato realizzando analisi puntuali e fondate per donare al filosofo ciò che gli appartiene. Per difendere un’idea, e ancor di più una proposta filosofica, è opportuno esplicarla ex positivo, non perdendo tempo prezioso a negare una per una ciascuna fallace, popolare lettura. Questo è il fine verso cui il volume Alla ricerca dei “buoni europei” (ed. Pendragon, Bologna 2017) si indirizza.
Si tratta di una raccolta di saggi scientifici su una cruciale figura nietzschiana: i buoni europei. Che in più luoghi dell’Opera di Nietzsche trova spazio con sempre differenti connotati. Gli autori dei contributi, infatti, cercano di portare in superficie, a partire da diverse angolazioni, il complesso profilo di questa presenza. La quale si delinea fin da subito come irriducibile ad unum, giacché apre a una interrogazione filosofica totale: intenderla come un mero richiamo all’attivismo pro europeoante litteram – sul piano politico vorrebbe dire annullarla. Non si ricerca infatti, da parte degli esperti autori, alcuna «attualizzazione politica di tale categoria» [Introduzione, p. 11] ma l’obiettivo princeps è quello di sondare con accuratezza il «campo aperto e fluido di tensioni e di prospettive talvolta contrastanti» [p. 12], che è il pensiero nietzschiano, certo con la speranza magari di ravvivare un «più ampio confronto intellettuale» come stimolo per riflettere sul composito e arduo processo di unificazione dell’Europa.
Data la costituzione del volume, che conta ben sei saggi, non sarà ovviamente possibile soffermarsi qui su ciascuno esprimendone la ricchezza contenuta. Tenteremo soltanto di evidenziare il profilo generale del prezioso lavoro, toccando alcuni punti en passant lungo la presentazione.
Per cominciare, Aldo Venturelli apre il volume con un saggio che si promette di fare luce sul sito in cui la figura de i buoni europei trova maggiormente spazio, ossia la Gaia Scienza. Ne La Gaia Scienza dei buoni europei Venturelli subito dimostra come per Nietzsche i buoni europei non siano ancora un «fenomeno realmente esistente», quand’invece «una possibilità futura» [p. 32] a cui è possibile approdare, secondo Nietzsche stesso, attraverso un’analisi dello status quo ottocentesco. Una lettura attenta dell’aforisma 377 della Gaia Scienza invero conduce l’autore a descrivere con chiarezza chi sono questi ultimi. Sono apolidi «perché non possono più sentirsi legati agli ideali del passato, perché hanno superato […] una interpretazione etica della vita» [pp. 33-34]. Sono, in altri termini, il prodotto di una svolta storica inedita. E perciò tutta da comprendere per mezzo della ‘hegeliana’ fatica del concetto. Questi uomini, gravidi di modernità futura, procedono «sospesi» tra passato e futuro senza alcuna fede ideologica. Perciò sono nella condizione – seppure ancora in parte indefinita – di affrontare il nichilismo, non cadendo vittime dell’epoca delle masse «ove grande è solo ciò che ha dalla sua parte il numero, il rumore e l’effetto contingente» [p. 41]: oramai infatti essi sono troppo cresciuti per credere, o meglio per affidarsi unicamente a una fede.
La trattazione è poi approfondita da Luca Crescenzi, che in Serenità greca e décadence mette in rilievo la «serenità greca» come caratteristica fondamentale dei buoni europei. Come Socrate appare essere l’esponente di rilievo del periodo, a lui contemporaneo, di décadence rispetto al quale cerca di offrire strumenti di soluzione, così pure Nietzsche è un pensatore che ‘inizia’ a riflettere a partire dalla constatazione della «condizione data» nel suo tempo, la décadence. E allora, per entrambi, «il problema è quello di saper trarre il meglio da questa inevitabile condizione» [p. 50]. Nessuna fuga sull’orizzonte, bensì tentativo estremo di comprensione. Da qui l’autore comincia a dettagliare il rapporto filosofico, anche contraddittorio, tra Nietzsche e Socrate, per pervenire alla fine sempre entro una prospettiva nietzschiana a un confronto con Bizet e Wagner. Anch’essi infatti hanno posto in essere tentativi eroici di opposizione alla décadence:«Bizet può apparire insomma a Nietzsche come un soccombente che cercando di opporsi alla decadenza ha tratto dal suo sforzo straordinarie energie creative» [p. 58], così come Wagner è stato a suo modo un «filosofo in musica».
Il contributo di Carlo Gentili intitolato Friedrich Nietzsche e Karl Löwith: un confronto sul concetto di Europa prende forma alla luce accesa e fioca al contempo dell’idea di Abenland. In entrambi, stanti le difformità, anzitutto «l’Europa vi viene presentata come la terra di un compimento che si realizza nell’unità spirituale prodotta dal Cristianesimo» [p. 71] e in seguito come un problema complesso da approcciare. Per Nietzsche l’Europa a venire non può più essere cristiana – nel senso religioso –, anche se storicamente necessario è sempre ricordare la comune radice cristiana degli Stati europei, mentre per Löwith tale posizione sembra un estremismo e perciò si oppone all’attacco frontale che Nietzsche muove contro la religione cristiana. Sul finire, Gentili sottolinea poi puntualmente, privando l’equivoco di tutti gli anfratti possibili, come per Nietzsche gli stessi Ebrei hanno avuto e avranno ancora un ruolo fondamentale – all’insegna della ratio – per la costruzione dei buoni europei.
A ciò fa seguito dello stesso autore Il giullare nella forma della scienza, che tenta di spiegare la difficile tanto quanto paradossale coniugazione di follia e saggezza nella Scienza gaya di Nietzsche. Un approdo, questo, raggiunto dal filosofo dopo aver colto la divisione che fin da Socrate fu cristallizzata nella Storia della filosofia tra Scienza e Follia, Razionalità e Irrazionalità. Alla luce del Tod Gottes «la rivendicazione della “follia” come elemento essenziale della scienza rimanda, anzitutto, alla dimensione umana – forse troppo umana – della scienza stessa» [p. 97]. La gaya scienza è infatti «la scienza di dopo la “morte di Dio”» e che è chiamata a ripensare quella distinzione netta posta in essere da Socrate tra sensibilità (ingannatrice) e razionalità. Riflessione intrinsecamente problematica per la sua radicalità, questa, che abita entro i “confini” dell’Europa e che i buoni europei non possono che affrontare.
Un altro aspetto importante dell’Opera di Nietzsche viene illuminato dall’analisi offerta dal saggio La mobile verità della poesia di Luca Crescenzi, che riflette sul confronto tra due poesie nietzschiane che arricchiscono la variopinta opera La Gaia Scienza: il Principe Vogelfrei e Nel sud. Proprio il Principe consente di «descrivere e rappresentare la distanza che separa il pensare dal cantare» [p. 115] in qualità di essere-pensante. Il «volo» del poeta è già quello del buon europeo, perché esso conduce «in un nuovo tempo dell’anima e in una nuova dimensione intellettuale» [p. 121].
A concludere la pubblicazione è un altro intervento di Aldo Venturelli, L’aristocrazia e la maschera, riguardante segnatamente il nono capitolo dell’opera Al di là del bene e del male. Nobile è colui che «non si deduce dalle azioni e dalle “opere”, ma dalla “fede”» [p. 128]. Si tratterebbe di un «individuo sovrano» in cui l’Essere umano si compie e può esprimere totalmente la sua libertà. Soltanto ciò pare attestare per l’Europa una vera aristocrazia di natura intellettuale, per contro alla sempre più incalzante massificazione figlia dei peggiori sistemi tecnicizzanti.

In definitiva ci permettiamo di segnalare questo volume come una lettura necessaria per la comprensione del Pensiero nietzschiano e, in aggiunta, innovativa per riflettere, senza banalità, sulla questione Europa che oggigiorno viviamo e che vivremo.

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