Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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L’inconfessato rapporto tra poesia e filosofia in María Zambrano

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di >Alessandro Pizzo*

Abstract: Secondo María Zambrano la filosofia e la poesia si sono separate in tempi remoti a seguito di una sensibilità differente e a partire da una diversa maniera d’intendere la visione della stessa realtà. In opposizione a questo vero e proprio “strappo originario”, Zambrano propone una sua visione originale, ovvero un pensiero poetante capace di riannodare i fili recisi di una storia comune.

Parole chiave: Zambrano; poesia; filosofia; realtà; pensiero poetante.

Introduzione

Secondo María Zambrano, in un tempo tanto mitico quanto storico i sentieri della poesia e della filosofia si separano sino a coprire con l’oblio la loro stessa unità originaria. Pur condividendo una medesima origine, l’una e l’altra si separano, non senza astio reciproco, e ciascuna trascende il punto di partenza per divenire altro, per tramutarsi in altro, per evolvere verso una differenza, più o meno marcata, scavando un profondo solco che separi quanto più entrambe dall’unità di partenza, ora irrimediabilmente perduta. Continua a leggere


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Armando Savignano: Don Chisciotte. Illusione e realtà

> di Pietro Piro*

Tutti i grandi sognatori aspirano a realizzare i propri sogni, a rivestire le
proprie chimere di carne e sangue, proponendo al mondo un modello di uomo
diverso e superiore rispetto a quello attuale, creatore di una corrente di vita
poderosa e distruttrice delle barriere innalzate dal sentimento, dagli interessi
e dalla tradizione. Sembrerebbe che sia la stessa idea che aspira a consolidarsi
nella materia che, nata nel cervello come lontano eco della realtà, fatica per
ritornare alla sua fonte e ad ergersi a tiranna e maestra della natura stessa.
Quest’importante legge psicologica, ben conosciuta da Cervantes,
si realizza in Don Quijote

[S. Ramón y Cajal, Psicologia del Don Quijote e il Quijotismo]

I.
In una recente intervista, rilasciata in occasione della pubblicazione di una nuova edizione italiana [1] del Don Chisciotte, – da lui curata – il filologo spagnolo Francisco Rico Manrique ha dichiarato che: «Il libro non esprime chissà quali idee filosofiche, la sua unica filosofia è il realismo» [2]. L’affermazione, criticabile o accettabile, non tiene conto di un aspetto che non smette di suscitare interesse: si tratta di un’opera-specchio, dentro la quale ognuno scorge, in un gioco sottile di luci e ombre, la propria anima – o meglio – la fase di sviluppo interiore in cui si trova la propria anima nel momento in cui si scontra con il testo cervantino.
La dimostrazione di questo nostro assunto è rintracciabile nel denso libro scritto da Armando Savignano: Don Chisciotte. Illusione e realtà [3]. Il libro, ripercorre le tappe attraverso le quali alcuni grandi interpreti del Quijote – in prevalenza filosofi spagnoli che scrivono nella prima metà del novecento – attraverso la loro abilità ermeneutica, mettono a nudo il proprio pensiero e in un gioco delle parti, rivelano aspetti profondi e fecondi della propria personalità. Il libro dunque, pur analizzando le diverse sfumature ermeneutiche dell’opera cervantina, ci permette di accostarci a figure del pensiero filosofico spagnolo la cui opera appare – grazie all’asse di rotazione simboleggiata dal Quijote – in fecondo dialogo con il passato e preoccupata di ricercare le radici di una propria identità per affrontare le sfide del cambiamento e della modernità incombente.

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