> di Pietro Piro*
Tutti i grandi sognatori aspirano a realizzare i propri sogni, a rivestire le
proprie chimere di carne e sangue, proponendo al mondo un modello di uomo
diverso e superiore rispetto a quello attuale, creatore di una corrente di vita
poderosa e distruttrice delle barriere innalzate dal sentimento, dagli interessi
e dalla tradizione. Sembrerebbe che sia la stessa idea che aspira a consolidarsi
nella materia che, nata nel cervello come lontano eco della realtà, fatica per
ritornare alla sua fonte e ad ergersi a tiranna e maestra della natura stessa.
Quest’importante legge psicologica, ben conosciuta da Cervantes,
si realizza in Don Quijote
[S. Ramón y Cajal, Psicologia del Don Quijote e il Quijotismo]
I.
In una recente intervista, rilasciata in occasione della pubblicazione di una nuova edizione italiana [1] del Don Chisciotte, – da lui curata – il filologo spagnolo Francisco Rico Manrique ha dichiarato che: «Il libro non esprime chissà quali idee filosofiche, la sua unica filosofia è il realismo» [2]. L’affermazione, criticabile o accettabile, non tiene conto di un aspetto che non smette di suscitare interesse: si tratta di un’opera-specchio, dentro la quale ognuno scorge, in un gioco sottile di luci e ombre, la propria anima – o meglio – la fase di sviluppo interiore in cui si trova la propria anima nel momento in cui si scontra con il testo cervantino.
La dimostrazione di questo nostro assunto è rintracciabile nel denso libro scritto da Armando Savignano: Don Chisciotte. Illusione e realtà [3]. Il libro, ripercorre le tappe attraverso le quali alcuni grandi interpreti del Quijote – in prevalenza filosofi spagnoli che scrivono nella prima metà del novecento – attraverso la loro abilità ermeneutica, mettono a nudo il proprio pensiero e in un gioco delle parti, rivelano aspetti profondi e fecondi della propria personalità. Il libro dunque, pur analizzando le diverse sfumature ermeneutiche dell’opera cervantina, ci permette di accostarci a figure del pensiero filosofico spagnolo la cui opera appare – grazie all’asse di rotazione simboleggiata dal Quijote – in fecondo dialogo con il passato e preoccupata di ricercare le radici di una propria identità per affrontare le sfide del cambiamento e della modernità incombente.
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