C’è una bella poesia di Rabindranath Tagore intitolata “Il dono” che in poche righe spiega la differenza tra gli anziani e le giovani generazioni e lo fa ricorrendo all’allegoria del fiume e della montagna:
La tua vita è giovane, il tuo sentiero lungo;
tu bevi in un sorso l’amore che ti portiamo,
poi ti volgi e corri via da noi.
Tu hai i tuoi giochi e i tuoi compagni.
Non vi è colpa se non ti resta tempo per pensare a noi.
Noi, invece, abbiamo tempo nella vecchiaia
di contare i giorni che son passati, di rievocare
ciò che le nostre annose mani hanno dimenticato per sempre.
Il fiume corre rapido tra gli argini, cantando una canzone.
Ma la montagna resta immobile, ricorda e veglia col suo amore.
La giovinezza è l’epoca del dinamismo e della scoperta di se stessi e del mondo. La persona giovane ha il diritto di trovare la sua strada, forgiarsi attraverso le esperienze della vita, immaginare il proprio futuro. I figli, come si dice, sono del mondo. Il corredo emotivo dei giovani è un misto di entusiasmo e sconforto, di audacia e di domande, di senso di onnipotenza e di inquietudini legate alla scoperta del domani. Queste fasi ondivaghe sono superate nell’età matura, nella quale si vive nel ricordo di quanto vissuto e realizzato. Nel riposto di chi sa che non ha più tutta la vita davanti, ma può guardare, nel migliore dei casi con soddisfazione, a quanto fatto e compiuto. I giovani sono il fiume che corre rapido scrosciando e mormorando fra gli argini, i vecchi sono la montagna immobile che veglia da lontano la corsa del fiume e quindi «ricorda e veglia col suo amore». Continua a leggere