«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot
L’interculturalità è un problema del nostro tempo. Di sicuro non si tratta più di un tema nuovo ma sicuramente sempre attuale, considerando come la ricerca del possibile dialogo tra differenti prospettive sia all’ordine del giorno. Ciò fa sì che l’indagine relativa alle manifestazioni storiche di tale dialogo, e alle sue possibilità strutturali, continui ad essere teatro di interessanti dibattiti e stimolanti proposte. Nel solco relativo a tali ricerche si colloca il volume in questione, curato da Giuseppe Cacciatore e Antonello Giugliano, studiosi che da tempo rivolgono le proprie ricerche all’analisi della “questione interculturale”. Continua a leggere →
Su questa scena immensa,
giocar solo apparenze[1].
– W. Shakespeare, Sonetto 15 –
1. La tempesta delle illusioni
Somnium narrare vigilantis est[2], recita Seneca citato da Montaigne tra le righe degli Essais. Il francese gli chiede aiuto per il suo forzo razionale di discernere le dimensioni del senso e prendere coscienza di quei luoghi che la mente confonde, dando credito alla fantasia e conferendo spazialità alle chimere più eteroclite. L’impeto luminare con cui Montaigne ritiene che «bisogna tenere l’anima ben desta»[3] è il gesto di un umanista non convenzionale – ma pur sempre innamorato della dignitas hominis – che intende svernare dall’alito corvino delle ideologie medievali e che, non ancora incantato dalle promesse dell’avvenire, ambisce a vivere quel presente ostacolato dal peso della tradizione, che rende galeotto lo spirito. «I miei spiriti, come in un sogno, si sentono affatto prigionieri»[4] sembra volergli rispondere Shakespeare attraverso il Ferdinand di The Tempest. Uno stigma del sentire dell’epoca, a quanto pare, e un silente anelito a infrangere le catene della credenza per farsi passare quel torcicollo della devozione che costringeva l’uomo a guardarsi indietro e, ad un tempo, genuflettersi dinnanzi al simulacro del misoneismo. Continua a leggere →
Cinque concetti proposti alla psicoanalisi, di François Jullien, Editrice La Scuola 2014.
Noi esseri umani sembriamo creature sempre alla ricerca di un significato per tutto, che hanno avuto la sfortuna di essere stati gettati in un mondo privo di significato intrinseco. Uno dei nostri compiti più importanti è quello di inventarci un significato abbastanza forte da sostenere la vita e attuare una manovra disonesta di negare il fatto che siamo noi gli artefici di questa invenzione. A sostegno di un ordine necessario nella vita, suffragando in qualche modo il pensiero di Irvin D. Yalom, François Jullien propone al contrario “Cinque concetti alla psicoanalisi” perché si possa tendere alla vita – senza troppe complicazioni – accedendovi.
Questi cinque concetti: disponibilità, allusività, sbieco, de-fissazione e trasformazione silenziosa sembrano delimitarsi nel punto fisso dell’esistenza come una stella, una luce messianica che in qualche modo può supportare la psicoanalisi.
2. Un pensatore privato, ovvero la filosofia tra libertà e destino
2.1 Filosofo di strada
La massima folgorante di Joubert, secondo cui «La vera filosofia ci insegna a non esser troppo filosofi»[1], Cioran l’ha praticata sul campo, da eroe, praticamente per tutta la vita. Un episodio biografico, tra gli altri, merita a questo punto di essere ricordato. Se ben ricordate, l’avevamo lasciato al liceo di Brašov, negli improbabili panni d’insegnante di filosofia. Chiusasi questa breve parentesi, Cioran, forte delle credenziali di scrittore promettente, riesce ad ottenere una borsa di studio presso l’Istituto francese di Bucarest, allo scopo di preparare una tesi di dottorato in filosofia – a quanto pare sul concetto d’intuizione in Bergson e nel misticismo cristiano. Sulla base di questo lodevole quanto impegnativo programma di studi, al giovane viene concesso dal 1937 al 1940 un vitalizio mensile di circa mille franchi, per finanziare il suo soggiorno di studio a Parigi.
Pierre Charron (Paris, 1541-1603) è un autore praticamente sconosciuto in Italia.
Non che abbia scritto molto o si sappia molto sulla sua vita.
Chi ha studiato o letto Montaigne sa al massimo che era un suo amico (in realtà era un amico del cognato e della sorella Jeanne) e, anche chi ne ha sentito parlare direttamente, spesso lo associa semplicemente al pensiero di quest’ultimo.
Chissà se è solo un caso che la strada che Parigi gli ha dedicato – una traversa della notissima Avenue de Champs-Elysées – è quasi una perfetta parallela dell’Avenue Montaigne.