Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Di un certo consenso al dolore. A partire dal saggio di Georges Blin

> di Gianluca Valle*

Poco noto al pubblico italiano, Georges Blin, di recente scomparso alla ragguardevole età di 97 anni, è stato un intellettuale francese che ha a lungo insegnato al Collège de France, imponendosi come pioniere di una nouvelle critique, di stampo filosofico, attenta al progetto e al pensiero degli autori esaminati. Conosciuto dagli specialisti come studioso di Stendhal e di Baudelaire, egli è anche l’autore di illuminanti saggi sui temi e sulle figure più disparate: dall’erotica del riso all’avere portamento, dal surrealismo alla poetica di Yves Bonnefoy, dallo stoicismo di Crisippo all’alternativa di Kierkegaard, alla non-philosophie di Jean Wahl, all’esistenzialismo umanistico di Sartre. Continua a leggere


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«Im Anfang war die Tat»: Ludovico Gasparini

> di Luca Ormelli

«Se si guarda dall’alto, da una prospettiva panoramica, le vie percorse dalla ricerca di Ludovico Gasparini, non si può non osservare come esse riprendano, riformulandola o esplorandone nuovi metodi di risposta, una medesima questione, affrontata sin dall’inizio, che concerne il significato della libertà»1.

1. Intelligo quia absurdum

«Gàr autò noeîn estín te kaì gàr eînai» lo stesso è il pensare e l’essere secondo Parmenide in ciò ripreso da Hegel. Ma pensare richiede sempre un oggetto tematico di conoscenza, di apprensione, un pensare-di-qualcosa fosse anche il pensiero medesimo, e dunque pensare di essere non è lo stesso che essere; diversamente ne risulterà un essere impuro in quanto dimidiato con il pensiero. Ciò che è è necessariamente 2, senza dunque dipendere da un pensiero altro che lo pensi: «solo nominare l’Altro, significa immetterlo nella sfera della soggettività, per quanti sforzi si facciano per conservarlo come Altro»3. Ma «se l’essere ha bisogno, in qualsiasi modo lo si intenda, esso cade immediatamente nella correlatività dei bisogni, che è la fonte della rettorica di Michelstaedter, e non può più sottrarsene, per quanto se ne differenzi»4. Perché «se “l’Assoluto solo è vero, o il vero è Assoluto”, poiché non è possibile che “l’Assoluto se ne stia da una parte e il conoscere dall’altra”, allora una volta tolto l’Assoluto, ovvero, una volta criticata la pretesa hegeliana che “l’amore del sapere” possa trasformarsi in “vero sapere”, la realtà stessa viene annichilita e non può più darsi in essa alcun criterio capace di distinguerla dall’immaginazione, se non il medesimo senso comune»5.

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Orientamento psicoanalitico-psichiatrico e metodo fenomenologico-esistenziale

> di Omar Montecchiani*

Senza la pretesa di voler essere esaustivi, né di voler scendere nelle profondità e nelle ampiezze di un dibattito storico-culturale tanto lungo e controverso, l’intenzione è quella di ricondurre alcune basilari differenziazioni tra l’approccio psicoanalitico e psichiatrico e l’approccio fenomenologico-esistenziale, realizzando indicativamente alcuni postulati critici ed ermeneutici che hanno caratterizzato entrambe le metodologie lungo i loro differenti, reciproci percorsi.

Potremmo cominciare col dire che a differenza del primo, il metodo fenomenologico-esistenziale ha indagato e esplicitato nel modo più globale e penetrante il concetto di corporeità “vissuta”, di inter-relazionalità – di esistenza intesa nel senso più ampio e profondo del termine: cioè in senso ontologico, fenomenologico e trascendentale. Il corpo, secondo questo approccio, rappresenta l’inerire della propria soggettività al mondo della vita per il tramite di un’intenzionalità progettante/costituente, e rappresenta esso stesso il luogo di una correlazione primigenia intesa come apertura originaria tra intelletto e mondo [1]. Senza questa apertura originaria e questa interazione costante tra corpo e mondo, non potrebbe darsi un’esperienza soggettiva che tenga conto delle qualità differenziali dei soggetti coinvolti nell’interazione, ma solamente una oggettivazione astrattiva della idea di corpo e di mondo che, inevitabilmente, si trova a falsare la realtà e la complessità dell’esperienza personale del vivere. Continua a leggere


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Essere senza mondo: fenomenologia anoressica del corpo oggetto

> di Omar Montecchiani*

Perfino in un sistema specificamente metafisico come quello di Schopenhauer – seppure dai tratti esistenziali così marcati – emerge in modo ineludibile la duplicità intrinseca del fenomeno corporeo per come appare alla coscienza.

Da una parte, essendo l’uomo sottomesso alle categorie di spazio, tempo e causalità – costitutive del principium rationis – esso (il corpo) appare come oggetto, come ente spazio-temporalmente situato, come ente-tra-gli-enti; dall’altra, essendo il corpo una concrezione di bisogni, desideri, pulsioni e atti volitivi, esso ci è dato come Volontà [1], cioè come tensione sentita e non categorizzabile. Anzi, il corpo stesso è visto come l’obiettivazione prima della Volontà: che sorge al di là (prima) della coscienza, della rappresentazione, e degli stessi fenomeni.

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