Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

La “fucina del mondo”. Sintesi del vitale – parte IV

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> di  Giuseppe Brescia *

Sommario. 1. Ermeneutica filosofica. Accezioni di ‘Vitalità’ e ‘mondo della vita’. 2. Il vivente originario e il sentimento – tempo nella ‘quadratura’. 3. Schema della simbolica spirituale e ‘coincidentia oppositorum’. 4. La fondazione della concezione hegeliana del finito e la teoria del giudizio.5. Psicologia e medicina. 6. Il caso di Alberto e l’esigenza di ‘qualificare le emozioni’. 7. “Che cos’è la vita ?”. 8. La questione degli opposti. Vico e Croce, ‘filosofi olistici’. 9. Tempo e vita nel pensiero occidentale e ne ‘I Ching’. 10. “Mememormee”. Archetipo dell’acqua.

Parte IV di IV

Per leggere le precedenti parti:

Parte I

Parte II

Parte III

9.Tempo e vita nel pensiero occidentale e ne ‘I Ching’

Accostare immediatamente Oriente e Occidente, quattromila anni di dottrine e nostra ‘sapienza dei secoli’,“simultaneità” neokantiana o einsteiniana e“sincronicità” archetipale e junghiana, Tao della Fisica e cosmologia, buddismo e cristianesimo, sarebbe operazione non solo impropriamente “adiafora” o indifferenziata, ma tale da rasentare quasi il ridicolo. Già in passato si effettuarono tentativi di reperire analogie o omologie tra dettami evangelici cristiani e breviari di sapienza orientali, buddisti o taoisti e confuciani ( es.: “Chi si umilia sarà esaltato, che si esalta sarà umiliato” in Luca 14, 1, 7-14 con l’invito alla “modestia” del Libro dei Mutamenti; o il Genesi, 2, 5, dove il rigoglio dei singoli esseri è rapportato al cadere della pioggia, e l’inizio di tutte le cose nel carattere del “Creativo” del Libro Primo dei Ching, “Creativo che opera sublime riuscita ed è propizio per perseveranza”, quando “Le nubi vanno e la pioggia opera, e ogni singolo essere fluisce verso la propria forma”, dando vita agli archetipi delle idee; e via ). Scontiamo, inoltre, la difficoltà di non essere né sinologi né dotti nelle religioni orientali e nelle complesse diramazioni fra Testi, Materiali e Commenti delle reti di trigrammi e esagrammi del Gran Libro. Ma la strada della mediazione e “interpretazione” è stata battuta da Jung, Wilhelm e Capra, con un lavoro di scavo del massimo rilievo. Né bisogna dimenticare che, proprio nella Collezione Esoterica della Laterza ( sotto la direzione di Croce ), apparve l’edizione italiana di Das Geheimnis der Goldenen Blute (1929), che esaltava le figure del Mandala, dal momento che “quelli cristiani hanno Cristo nel centro coi quattro evagelisti e i loro simboli ai quattro punti cardinali. Tale rappresentazione deve essere molto antica giacché in Egitto anche Horus coi suoi quattro figli viene così raffigurato” ( Il mistero del fiore d’oro, a cura di Jung – Wilhelm ). (Nella traduzione di Mario Gabrielli, Laterza, Bari 1936, p. 24) In effetti, scriveva Einstein nel 1950: “Che cosa ci spinge dunque a elaborare teoria dopo teoria ? Perché, addirittura, formuliamo teorie ? La risposta alla seconda domanda è semplice: perché amiamo ‘comprendere’, ossia ridurre i fenomeni per mezzo del procedimento logico a qualcosa di già noto o ( manifestamente ) evidente. Prima di tutto sono necessarie nuove teorie quando si affrontano fatti nuovi che non possono essere ‘spiegati’ da teorie esistenti. Ma questa motivazione è, per così dire, banale, imposta dall’esterno. C’è un’altra motivazione più sottile e di non minore importanza. Si tratta dello sforzo verso l’unificazione e la semplificazione delle premesse della teoria nel suo insieme ( ossia, il principio di economia di Mach, interpretato come un principio logico )”. (Sulla teoria generalizzata della gravitazione, in “Le Scienze”, n. 129. maggio 1979, p. 5. E’ la pagina che Einstein concluse con la formulazione della ipotesi di un campo tensoriale simmetrico: Gik = Gki.)

Il tentativo di unificazione è tanto più impegnativo e difficile quanto più disparate e distanti sono le fonti e le tradizioni speculative affrontate. Ma lo assumo in considerazione a partire da questo ultimo punto del principio di economia mentale di Mach, richiamato dall’ Einstein, e smentito da Capra nel Tao della Fisica. Questi, pur avendo incentrato la propria ermeneutica sul modulo della “simmetria” nel confronto tra sistema degli adroni e delle particelle subatomiche in fisica quantistica e taoismo, alla pag. 297 del noto libro apprentemente in maniera inspiegabile va controcorrente e smentisce l’analogia. Di fronte all’ideale della “simmetria”, esaltato come peculiarità del mondo greco presso i Pitagorici e Platone, Fritjof Capra ( austriaco come Freud e Schrodinger ) contrappone nettamente la “asimmetria” dei disegni elaborati in Cina e Giappone, togliendo a prova la frequenza di prospettive “angolari”, degli scorci “da un angolo”: come se il fulcro della discussione debba gravitare su quest’unico campione pittorico, dimenticando tutto il resto. La ragione di ciò è difficile da spiegarsi: ma forse risiede nella “estraneità” del quadro che sommariamente diremo “ricompositivo” del pensiero occidentale, per Capra ( l’armonia strutturale, la tetrade, le quattro vie della purgazione in Pico, le quattro forme dello spirito umano in Croce, la quaternità in Kierkegaard, la quadruplice radice del principio di ragion sufficiente in Schopenhauer, le quattro vie dell’amicizia e la quarta ipostasi della verità in Florenskj, martire religioso russo ma che possiamo associare in un momento ermeneutico comune all’ideale classico della Libertà e di pensiero elaborato in Occidente, e così via ). Capra non segue questi percorsi; ma si appaga delle analogie sottili e profonde tra fisica e Tao, espungendo gli altri aspetti della restante tradizione teoretica: e tutto ciò risistema, anche se il motto “Tutto è in Tutto” risale alla lezione del taoismo e del confucianesimo e alla studiatissima struttura dei Ching.

Per fare altro esempio, “Perché c’è qualcosa anziché il niente ?” , caposaldo della dialettica nel pensiero occidentale dall’evo antico al moderno e contemporaneo ( Platone nel ‘Sofista’; Leibniz; Croce; Whitehead; Heidegger ), sfugge totalmente alla comparazione metodica del filosofo austriaco. Pure, egli cita e riprende, in Tao della fisica: “ I risultati della fisica moderna sembrano quindi confermare le parole del saggio cinese Chang Tsai: ‘ Quando si conosce che il Grande Vuoto è pieno di ch’i, si comprende che non esistono cose quali il non-essere’ “. Perché, in realtà, “La forma è il vuoto e il Vuoto è Forma”. Ma codesta riqualificazione in positivo del negativo costituisce la chiave di volta del pensiero fisico e cosmologico: basti pensare all’ “orizzonte degli eventi”, trattato da Stephen Hawking in Dal big bang ai buchi beri e poi esteso nelle ricerche di Kip Thorne a proposito dei ‘Black Holes’ . (Cfr. Il Tao della Fisica, cit., pp. 257-258; R. Franchini, Le origini della dialettica, Napoli 1976, 4^ ed.; St. Hawking, Dal big bang ai buchi neri, trtad. it., Milano 1986; G. Brescia, Ipotesi e problemi per una filosofia della natura, Bari 1987 e Da Bruno a Escher: la Biblioteca celeste di Interstellar, “Filosofia e nuovi sentieri”, 14 dicembre 2014.) Si vuol dire che il pensiero del Tutto, l’esigenza di con-cepire ( da*cum-capio, ‘prendere insieme’, come dice l’ Einstein sopra citato ), o di *co-gitare da *cum-ago ( frequentativo) come ‘prendere insieme ripetutamente’, quindi ‘cogitare’, pensare, è ben presente nella storia del pensiero occidentale; alla stregua dell’orientale, così come il *be-griff, ‘concetto’, deriva da prendere per il ‘manico’, afferrare la brocca, citato nel commento a I Ching. Come scrive Jung nella premessa all’edizione inglese de I Ching: “Il manico ( in tedesco Griff ) è la parte per quale il crogiolo può essere afferrato ( gegriffen ). Esso denota dunque il concetto (Begriff ) in cui si tiene l’ I Ching ( ilcrogiolo ). Nel corso del tempo questo concetto è evidentemente mutato, così che oggi noi non possiamo più afferrare ( begreifen ) l’ I Ching”. (I Ching. Il Libro dei Mutamenti, ed. it. cit., pp. 21-22.) Ma la mutata difficoltà non toglie l’omologia tra il ‘concipere’ e il crogiolo, prendere la brocca ed ‘esercitare una presa’ ( donde la ‘brocca’ di Rilke e Heidegger ). Anche la fonte pascaliana è un “segnavia” a intermittenza rivisitato, ma grande nella intuizione del carattere di “totalità” della natura, e della compresenza dei tempi nell’accadimento e nella “prudenza” della previsione.

Si consideri il magistrale fr. 531 dei Pensieri, così vicino idealmente alla virtù della “modestia” nella divinazione de I Ching. Pascal dice: “Tutto può esserci mortale, anche le cose fatte per servire a noi: così, nella natura, i muri possono ucciderci, e gli scalini anche, se non camminiamo bene. Il minimo movimento interessa tutta la natura: il mare intero cambia per una pietra. Così, nella grazia, la più trascurabile azione interessa, per le sue conseguenze, tutto. Dunque, tutto è importante. In ogni azione bisogna considerare, oltre l’azione stessa, il nostro stato presente, passato, futuro, e quello degli altri cui essa interessa, e vedere la connessione di tutte queste cose. Allora si sarà molto guardinghi”. (Pensieri, ed. Serini, Torino 1967, pp. 222-223; Giuseppe Brescia, Pascal e l’ermeneutica, Schena, Fasano 1989, pp. 70-74.) Qui c’è la virtù della prudenza; la sintesi di stati d’animo in senso cristiano e in visione di costruttività umana; il tempo nell’accadimento e la dimensione immanente di presente passato e futuro; la possanza delle relazioni cosmiche, planetarie, onnicomprensive; l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo; la banalità dell’ incidente quotidiano e del particolare pericolo; la dipendenza di tutto dal tutto; l’azione a distanza; la teoria fisica e microfisica “ante litteram”; la prima e vera “Ecologia profonda” ( “il mare intero cambia per una pietra” ); la totalità del mondo e della mente che lo contiene in quanto lo contempla; il “fascino dello sguardo totale che in mille modi ritorna e traluce nei progressi della scienza dell’arte e della filosofia, accompagnato dalla più sommessa e discreta disposizione all’ascolto”. E qualcosa di simile è adombrato nell’esagramma 20, ‘Kuan’, La Contemplazione, a proposito della corretta “conoscenza di sé”, nel ‘Libro dei mutamenti’: “La conoscenza di sé non consiste però nell’occuparsi dei propri pensieri, ma piuttosto degli effetti che partono da noi stessi. Solo gli effetti ottenuti nella vita danno una visione che ci permette di decidere se vi è progresso o regresso” ( p. 129 ). Del resto, non va dimenticato il forte senso del precedente vichiano, che anche da Pascal riprende – come dice nella “Autobiografia” – “lumi sparsi”: ”Idee uniformi nate appo intieri popoli tra essoloro non conosciuti debbono avere un motivo comune di vero”, incide il Vico nella Scienza Nuova seconda, Libro I. II. XIII. “Questa degnità è un gran principio, che stabilisce il senso comune del genere umano esser il criterio insegnato alle nazioni dalla provvedenza divina per diffinire il certo d’intorno al diritto natural delle genti, del quale le nazioni si accertano con intendere l’unità sostanziali di cotal diritto, nelle quali con diverse modificazioni tutte convergono. Ond’esce il dizionario mentale, da dar l’origine a tutte le lingue articolate diverse, col quale sta conceputa la storia ideal eterna che ne dia le storie in tempo di tutte le nazioni..”. Perciò, infatti – specifica Vico -: “E’ necessario che vi sia nella natura delle cose umane una lingua mentale comune a tutte le nazioni, la quale uniformemente intenda la sostanza delle cose agibili nell’umana vita sociale, e la spieghi con tante diverse modificazioni per quanti diversi aspetti possano aver esse cose; siccome lo sperimentiamo vero ne’ proverbi, che sono massime di sapienza volgare, l’istesse in sostanza intese da tutte le nazioni antiche e moderne, quante élleno sono, per tanti diversi aspetti significate” ( Scienza Nuova seconda, Libro I. II. XII ). “Sensus communis”, che era già tematizzato nella prolusione del 1709, De nostri temporis studiorum ratione: “Ut autem scientia a veris oritur, error a falsis, ita a verisimilibus gignitur sensus communis” ( “Come la scienza nasce dal vero, l’errore dal falso, così il senso comune dal verisimile” ). L’ermeneutica del Vico immane all’orizzonte della ricerca archetipale moderna.

Jung ricorda tra l’altro in sede di premessa al Libro dei Mutamenti: “Se una manciata di fiammiferi è gettata per terra, essa forma il disegno caratteristico di quell’istante. Ma una verità ovvia come questa rivela la sua natura significativa solo nel caso che sia possibile leggere il disegno e verificarne l’ interpretazione, in parte mediante ciò che l’osservatore conosce della situazione soggettiva e oggettiva, in parte mediante il carattere degli eventi successivi”. (Prefazione a I Ching, cit., p. 19. Le citazioni vichiane sono attinte alla edizione delle Opere, a cura di Paolo Rossi, Rizzoli, Milano 1959, pp. 178-181 e 325-350.)

Per queste e altre consimili ragioni, accompagnato da umile disposizione all’ascolto, propongo un lascito di idee comuni a contesti categoriali diversissimi, che pertengono alla tradizione occidentale e al Tao, nella consapevolezza di offrire almeno un minimo contributo, stimolante per ulteriori ricerche e correlazioni. Il Tempo e i suoi simboli, quali il 50, Ting, detto “Il Crogiolo” ( che fu tirato a sorte anche da Jung per interrogare l’oracolo del Libro ), il 63 e il 64, “Prima del compimento” e “Dopo il Compimento”; la spiegazione dei Materiali al capitolo primo della Sezione seconda, sono del più alto interesse, dacché toccano l’esponenzialità del momento opportuno, che i Greci chiamavano il ‘kairòs’, illustrato in pagine fondamentali degli “Studi di iconologia” di Erwin Panofskj. Nel Libro dei mutamenti ( p. 352 dei Materiali ): “Sussiste uno stato di equilibrio quando le linee solide stanno in un posto solido, le tenere in posto tenero. Ma questo astratto equilibrio deve cedere all’alterazione e alla riorganizzazione quando il tempo lo richiede. Il tempo, cioè la situazione complessiva rappresentata da un esagramma, ha un ruolo importante per la posizione delle singole linee” ( p. 352 ). E per spiegare “Il Crogiolo”, illuminando la “consonanza tra vita e destino” ( con richiamo agli insegnamenti dello yoga cinese ) e la necessità di “afferrare il manico non alterato” ( a mente della genesi del “concetto” ), il Libro dei Mutamenti precisa: “E’ raffigurato qui un uomo il quale in tempi di alta civiltà si trova in una posizione dove nessuno gli bada o lo apprezza. Questo è un grave ostacolo per il suo operare. Tutte le sue buone qualità e i suoi talenti vengono così inutilmente sprecati. Tuttavia, deve solo aver cura di possedere un autentico patrimonio sperituale. Alla fine verrà senza dubbio il tempo in cui gli impedimenti si allentano e tutto va bene” ( pp. 228-230 ). “Prima del Compimento” ( simbolo n. 64 alle pp. 278 sgg. ) segna il passaggio dal Caos all’ordine, “dallo scompiglio all’ordine”. E il n. 63, “Chi Chi” – “Dopo il Compimento”, insegna che “Solo il saggio riconosce in tempi simili i segni del pericolo, e sa scongiurarlo con tempestive misure”, di fronte alla IMMAGINE: “L’acqua è al di sopra del fuoco: / l’immagine delle cose dopo il compimento. / Così il nobile pondera la disgrazia / e se ne premunisce a tempo” ( pp. 274-277). “Osservazione. Come il segno ‘Dopo il compimento’ descrive il passaggio graduale dal tempo dell’ascesa fino al culmine di una civiltà per poi giungere al tempo del ristagno, così il segno ‘Prima del compimento’ raffigura il passaggio dal caos all’ordine. Questo segno sta alla fine del Libro dei Mutamenti. Esso indica che in ogni fine è insito un nuovo principio. Così dona agli uomini speranza. Il Libro dei Mutamenti è un libro dell’avvenire” ( p. 281 ). Anche questa “Osservazione” riecheggia in Vico “Altvater”, o Patriarca, e Joyce, ‘erede non inerte’, o prosecutore.

Sull’ esagramma n. 22, “L’Avvenenza”, che fu interrogato da Confucio stesso secondo la tradizione cinese, il richiamo è da Jung espressamente riportato a Socrate, per l’invito a “fare musica”. Dove l’invito estetico e formale viene comparato a quello del dèmone socratico. “Confucio e Socrate gareggiano per il primo posto per quanto concerne la ragionevolezza e un atteggiamento pedagogico verso la vita. Ma nessuno dei due sembra essersi preoccupato di rendere ‘avvenente il suo pizzo’, come consiglia la seconda linea di questo esagramma”. Tuttavia: “L’ I Ching insiste continuamente sull’importanza di conoscere se stessi” ( pp. 25-28 ). Il Tempo nel “Creativo” ( esagramma n. 1, con Materiali alle pp. 391-396) corrisponde al nostro “Con l’opera tacendo”. Per lui, l’uomo saggio o l’uomo santo, “il tempo significa soltanto che in esso i gradi del divenire possono spiegarsi in chiara successione. (..) Qui sono spiegati altri due attributi, ‘propizio’ e ‘perseverante’, in riferimento alla forza creatrice della natura. Il carattere della sua forza creatrice non è la quiete, bensì il moto e lo sviluppo costanti. (..) Così ogni cosa acquista la natura che le spetta, quella che, dal punto di vista divino, è chiamata destinazione. Questa è la spiegazione di ‘propizio’. Trovando ogni cosa la sua natura, sorge nell’universo una grande e durevole armonia, espressa dal concetto del ‘perseverante’ ( durata e integrità ). ‘Elevandosi egli con il capo al di sopra della moltitudine degli esseri, tutte le contrade si trovano unite nella pace’. (..) In queste spiegazioni vi è un chiaro parallelismo tra il Creativo nella natura e il Creativo nel mondo umano. Le espressioni usate per il Creativo nella natura si basano sull’immagine del cielo simboleggiato nell’esagramma. (..) L’IMMAGINE: ‘Il moto del cielo è vigoroso. Così il nobile rende se stesso forte e instancabile’. Il raddoppiamento del trigramma ‘Il Creativo’ è l’immagine del moto vigoroso, costantemente ripetuto. Dall’uguaglianza dei due trigrammi si deduce che si attinge forza in se stessi e che a ogni atto ne segue senza posa un altro. (..) Il Creativo guida ogni divenire, ma non si mostra mai, non si spinge avanti come capo. La vera forza è quella che si muove e opera senza apparire all’esterno”.

Una analogia con la posizione di Goethe durante le guerre napoleoniche è còlta da Wilhelm e Jung a proposito del simbolo n. 18, “L’Emendamento delle cose guaste”, e dei suoi molti significati: “Solo un lavoro compiuto sulla propria persona in vista delle mete superiori dell’umanità dà il diritto di isolarsi a tal punto. Poiché il saggio, anche se sta lontano dal trambusto del mondo, crea ugualmente incomparabili valori umani per il futuro” ( pp. 120-123 ). Goethe è anche ben parlante in riferimento alle spiegazioni del simbolo 11, “La Pace”: “Cielo e terra si congiungono: l’immagine della pace”. E Goethe, Dio e mondo – “Atmosfera”: “Per orientarti nell’infinito, / Prima distingui poi unifica” ( p. 95-96: tanto caro al Croce della unità-distinzione ). (B. Croce, Goethe, Bari 1936.) E per tutta la sequenza dei simboli 15, “La Modestia”; 16, “Il Fervore” e 17, “Il Seguire”, ove il genio lirico e gnomico tedesco è richiamato per i lineamenti del Divano occidentale-orientale ( nobile nostro predecessore ), ai vv. 30 sgg. del Libro delle Sentenze: “E’ giorno ancora, si muove alacre l’uomo, / Vien poi la notte, e ogni oprare è vano” ( p. 117 sgg. ). Mentre “La Modestia” (al trigramma sottostante come ‘Il Monte’ o L’Arresto e al sovrastante ‘Il Ricettivo’ ) recita: “La qualità della terra è lo stare in basso, ma in questo segno essa appare in posizione elevata, in quanto sta al di sopra del monte. Ciò mostra l’effetto della modestia in uomini umili e semplici: ne vengono elevati. La SENTENZA: ‘Modestia crea riuscita. Il nobile porta a termine’. La legge del cielo rende vuoto ciò che è colmo e accresce ciò che è modesto: quando il sole sta al culmine deve volgere al tramonto seguendo la legge celeste, e quando sta nel punto più profondo sotto la terra si avvia a un nuovo sorgere. Quando la luna è piena va calando per la stessa legge, e quando è vuota ricomincia a crescere. Questa legge celeste opera anche nel destino degli uomini. La legge della terra è modificare il pieno e accrescere ciò che è modesto: i monti alti vengono erosi dalle acque e le vallate riempite. La legge delle potenze del destino è diminuire ciò che è pieno ed elargire fortuna a ciò che è modesto. E anche gli uomini odiano il pieno e amano il modesto. I destini seguono leggi fisse che si esplicano con rigore. Ma è in potere dell’uomo plasmare la sua sorte: dipende dal suo comportamento l’esporsi all’influsso delle forze benefiche o di quelle distruttive. Quando l’uomo sta in alto e si mostra modesto, splende nella luce della saggezza. Quando è basso e si mostra modesto, non può essere scavalcato. Così il nobile riesce a portare a termine la sua opera senza vantarsi della cosa compiuta. L’ IMMAGINE: ‘ Dentro la terra sta un monte:/ l’immagine della modestia. / Così il nobile riduce quello che è troppo,/ e aumenta quello che è poco. / Egli pondera le cose e le rende uguali.’ Così alto e profondo si completano, e il risultato è la pianura. Qui l’immagine della modestia fa apparire naturale e facile ciò che ha richiesto una lunga azione” ( pp. 109-112 ). Oltre i tratti evangelici o biblici più su richiamati ( Isaia, 40; Luca, 14; Matteo, 25; Lettera di Giacomo, 4 ), non è chi non veda la possibilità di comparazioni ( variamente giustificate ) con la “Teogonia” di Esiodo e i versi in cui si decanta la virtù di equilibrio del saggio re, moderatore della Assemblea; o del Giudizio universale nella religione dei Parsi. Ma, alla fine, per la effigie della “Modestia”, in cui – eccezionalmente – tutte le linee sono positive e i cinesi vedevano il massimo compendio delle Virtù; formulo la tesi per la quale è la virtù “ermeneutica”, la saggezza sovrana e umile della “interpretazione”, in re ipsa, a costituire emblema filosofico della Modestia: vedansi la premessa di Luigi Pareyson a Verità e Interpretazione o il “Possiamo credere solo interpretando” di Paul Ricoeur. (“Quando Platone esaltava la bellezza del rischio alludeva al fatto che la filosofia richiede audacia e coraggio; ed è quanto in tempi più recenti ricorda Schelling: ‘ Chi vuol veramente filosofare, deve rinunciare ad ogni speranza, a ogni desiderio, a ogni nostalgia, non deve voler nulla né saper nulla, sentirsi povero e solo, abbandonare tutto per guadagnare tutto‘ “: Prefazione a Luigi Pareyson, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 1971, pp. 7-11; Paul Ricoeur, Finitudine e colpa (1960), trad. it., Morcelliana, Brescia 2010.)

L’ermeneutica filosofica, vertice e adempimento, prova e risultanza della sapienza dei secoli, riconosce un altro fulcro nel simbolo del “Fervore”, il n. 16, detto “Yu”, conquistato grazie alla sovrapposizione di “Eccitante” su “Ricettivo”. “Il trigramma superiore, Chen, ha come attributo il movimento; l’inferiore, K’un, l’obbedienza, la dedizione. Ha quindi inizio un movimenrto che incontra dedizione e perciò suscita trasporto ed entusiasmo. (..) Così i corpi celesti non escono dalle loro orbite, e ogni evento naturale si compie secondo regole fisse. In modo simile stanno le cose anche nella società umana. Anche qui potranno avere esecuzione solo le leggi che hanno la loro radice nel sentimento popolare, mentre quelle che contrastano con questo sentimento destano solo esasperazione” ( pp. 112-113 ). Questo determinismo naturalistico e sociale è temperato dal riconoscimento della musica e delle leggi del cuore: “Quando il tuono, la forza elettrica, all’inizio dell’estate erompe di nuovo sonoro dalla terra e il primo temporale rinfresca la natura, una lunga tensione si scioglie. Sopraggiungono sollievo e gioia. Allo stesso modo la musica ha il potere di sciogliere la tensione nel cuore, la violenza degli oscuri sentimenti. Il fervore del cuore si manifesta spontaneamente nel canto improvviso, in danze e ritmici movimenti del corpo. Fin dall’antichità l’azione inebriante del suono invisibile, che muove e unisce i cuori degli uomini, fu sentita come un mistero. (..) Il sovrano, adorando la divinità nei suoi avi, diventava il Figlio del Cielo: in lui il mondo celeste entrava in contatto mistico con quello terreno. Lo stesso Confucio disse del grande sacrificio durante il quale si compivano questi riti: ‘Chi comprendesse interamente questo sacrificio potrebbe governare il mondo come se questo ruotasse sulla sua mano’. Qui è raffigurato qualcuno che non si lascia abbagliare da nessuna illusione. Mentre altri si fanno accecare dall’entusiasmo, egli riconosce con perfetta chiarezza i primi segni del tempo.Verso l’alto non è servile, verso il basso non è incurante. Così è saldo come una pietra. Non appena si mostra il primo indizio di malumore, egli sa ritirarsi in tempo, senza perdere nemmeno un giorno. Perseveranza in questo comportamento reca salute. Confucio dice in proposito: ‘ Conoscere i germi, ciò è certamente divino’. ‘Fervore che guarda in alto crea pentimento. / Esitazione reca pentimento’. Qui si ha il contrario della linea precedente : lì indipendenza, qui il fervido sguardo verso l’alto. Se si esita troppo, anche questo crea pentimento. E’ opportuno cogliere il momento giusto nell’avvicinarsi; solo allora si colpisce nel segno” (pp. 114-116 ). Ritorna qui la centralità del ‘Kairòs’, punto di mediazione dei contrari, la vanagloria e l’esitazione, l’enfasi come il pentimento: al centro, permane il “fervore del cuore” ( ovviamente con le dèbite differenze ideologiche e antropologiche, sopra notate ). Sul tema del potere del saggio, Vico insegna: “La filosofia considera l’uomo quale dev’essere, e sì non può fruttare ch’a pochissimi, che vogliono vivere nella repubblica di Platone, non rovesciarsi nella feccia di Romolo” ( Scienza Nuova seconda, Libro I. II. VI, Degli Elementi ). Addirittura, una remota anticipazione della tesi crociana della ideale contemporaneità della storia, dedotta in Teoria e storia della storiografia del 1915-1917, sta nella Immagine dell’esagramma n. 26, Ta Ch’u, ‘La Forza domatrice del grande’: “Il cielo dentro il monte allude a tesori nascosti. Così nei detti e nelle gesta del passato sta nascosto un tesoro che può essere usato per rinsaldare e accrescere il proprio carattere. Questo è il modo giusto di studiare: non limitarsi a nozioni storiche, ma rendere attuale il dato storico applicandolo di continuo” ( pp. 146-147 ). E cioè: non “cronaca” o “false storie”, dirà poi il Croce, ma interpretazione del passato alla luce di un “problema”, sentito nel “presente”.

Sul tema del Tempo, idealmente vicino a Corsi e Ricorsi storici, ciclicità, Il Ricorso del IV Libro di “Finnegans Wake” di James Joyce o il “Turning Point” di Capra, campeggia altresì il simbolo 24 – ‘FU’ – Il ritorno del Libro dei Mutamenti. “L’idea della svolta è indicata dal fatto che, quando ormai le linee scure hanno spinto dall’alto tutte le chiare, c’è di nuovo una linea chiara che entra nel segno dal basso. Il tempo delle tenebre è passato. Il solstizio d’inverno reca la vittoria della luce” ( sopra cit., da p. 140 ). Pure si completa il ciclo: “Dopo un tempo di decadimento viene la svolta. Riappare la forte luce che prima era stata scacciata. Vi è movimento. Questo movimento, però, non ha nulla di forzato. Il trigramma superiore K’un ha per carattere la dedizione. Si tratta dunque di un movimento naturale, generato spontaneamente. Perciò trasformare il passato è facilissimo. Cose vecchie vengono eliminate, cose nuove introdotte; e tutto corrisponde al tempo e perciò non reca alcun danno. Si formano associazioni di persone con idee affini. E questo aggregarsi avviene pubblicamente; esso corrisponde alla situazione del tempo e perciò ogni aspirazione particolaristica risulta esclusa; né queste unioni danno luogo ad alcun errore. Il ritorno è inerente al corso della natura. Il movimento è circolare, e l’orbita è conchiusa. Non c’ è quindi bisogno di precipitare le cose con artifici: tutto viene da sé, quando il tempo è maturo. Questo è il Tao di cielo e terra” ( p. 141). Ritornano i temi del “Kairòs”, della ‘opportunitas’ , del saggio che scende nella città e del “secondo il man-tenimento” nel frammento di Anassimandro, ripensato come luogo teoretico da Martin Heidegger. E molto bella è la descrittiva fenomenologica del Ritorno. “Il movimento è ai suoi primi inizi. Perciò bisogna rinvigorirlo col riposo, affinché non inaridisca consumandosi anzi tempo. In tutte le situazioni analoghe vige il principio di lasciar rinvigorire col riposo la forza che sta riaffiorando. La salute che ritorna dopo una malattia, la concordia che ritorna dopo un dissidio: tutto deve esssere trattato con delicatezza e con riguardo durante la fase iniziale, affinché il ritorno conduca alla fioritura” ( p.142 ). “Camminando in mezzo agli altri / si ritorna soli”. Cioè: “Ci si trova in mezzo a una compagnia di persone insignificanti, ma si è in intimi rapporti con un amico forte e buono. Di conseguenza si torna indietro da soli. Sebbene non si parli né di premio né di punizione, questo ritorno è certamente assai propizio; poiché una scelta così risoluta a favore del bene ha in sé il suo premio. (..) Quando è venuto il tempo della svolta non bisogna nascondersi dietro magre scuse, ma rientrare in se stessi ed esaminarsi. E se si è commesso qualche errore bisogna confessarlo con magnanima decisione. Questa è una via della quale nessuno si pentirà “. ( p. 143 ). Non caricheremo certo sulla saggezza de I Ching un’anticipazione quanto mai remota del “fallibilismo” popperiano; se non per ricordare che quanto è stato il frutto ( anche sofferto e duro inizialmente a recepirsi ) della epistemologia moderna e contemporanea, riceve naturaliter luce e risalto nella filosofia della religiosità universale, a confutazione di ogni visione deterministica o totalitaria della “vita”, che da qualche parte pur si invoca, a quattromila anni di distanza.

Nel Commento alla Seconda Parte di Materiali, per il simbolo n. 2, ‘K’un’, “Il Ricettivo”, noteremo una ripetizione della quaternità. “Il Ricettivo mostra inoltre l’indole del servitore, e il secondo posto è del servitore. Oltre a ciò, il quadruplice carattere del Ricettivo: ‘tenero’, ‘devoto’, ‘misurato’ ( cioè centrale ), ‘retto’ ( cioè ‘tenero su posto tenero’ ) è espresso perfettamente in questa linea, che perciò è il signore del segno. Le espressioni della sentenza: ‘Se vuole precedere egli si smarrisce, se invece segue trova una guida’ e ‘Propizio è trovare amici nell’Occidente e nel Meridione, rinunciare ad amici nell’ Oriente e nel Settentrione’, si riferiscono alla natura del funzionario”. ( pp. 405-407 ).

Oltre alle idee di ‘quaternità’,’mutamento vitale’, ‘Ecologia profonda’, ‘Turning Point’ e corsi e ricorsi storici, dialettica degli opposti, il plesso tematico del Tempo si conferma essenziale. Sì che di fronte al Libro dei Mutamenti e ai suoi continui appelli a osservare il ‘Kairòs’ ( o il ‘tempo giusto’, nel contesto orientale ), si liberano le quattro accezioni archetipali del Tempo nel pensiero poetante e nella analisi psicologica occidentale: a) i “gradi” in Leopardi; b) gli ”strati” in Orwell ;c)il “fondo” in Jung e d) il “giudizio” nel caso di Alberto, a un tempo “paziente” e “guaritore” ( come il “Puer” e “senex” di Hillmann ). A questo punto, è forte la tentazione – riepilogando – di applicare la regola dei trigrammi o esagrammi dell’antica sapienza alla “legge del campo associativo” enucleata per la poetica del ritmo e degli aggettivi di Leopardi. Il problema risiede nelle diverse modalità della ‘coincidentia oppositorum’, modalità con cui “nel tempo si incontrano due determinazioni opposte contraddittorie” ( per dirla nei termini kantiani ). Quelli di Leopardi sono ossimori in movimento, dinamici e per “gradi” sovrapposti ( non giustapposti ). In Silvia, “lieta e pensosa” è un di-gramma, ove l’idea secondaria di “lieta”, spensierata, si oppone all’idea primaria di “pensosa”. “Ridenti e fuggitivi” ( per gli occhi ) è un trigramma, perché “fuggitivi” comprende in seno l’idea secondaria di ritrosi e poi l’altra di sfuggenti o morenti. Mentre “il limitare di gioventù salivi” assembla come un esagramma, dove il “limitare”vale: limite, confine; ma anche presagio di morte, soglia della negata giovinezza e limite estremo della vita. Ma gli aggettivi sono incisi ‘a scalare’, per ‘gradi’ ( dal lat. Gradus ) o passi e gradini appunto ( “salivi” ) e non per giustapposizione sul medesimo piano. Sono ossimori “prospettici” ( degni di sintesi tra dialettica e prospettiva ). Così, nel Canto notturno di un pastore errante dell’ Asia , del 1829, su 143 versi, contempliamo un fulcro prospettico con tanti punti di fuga a ritroso e in avanti, nei vv. 61-64, fulcro ricco di aggettivi o forme attributive: “Pur tu, solinga, eterna peregrina / che sì pensosa sei, tu forse intendi, / questo viver terreno, / il patir nostro, il sospirar, che sia”, di snodo e sapore dialettico ( “Pur tu” ). I riferimenti sono alla “silenziosa luna” ( v. 2 ); “Ancor non sei tu paga” ( v. 5 ); “Ancor sei vaga / di mirar queste valli ? ( v. 7 ); il “tuo corso immortale” ( v. 20 ); “Vergine luna, tale / E’ la vita mortale “ ( vv. 37-38 ) con richiamo: “Intatta luna, /tale / E’ la vita mortale” ( vv. 57-60 ). E all’ingiù:”Star così muta in sul deserto piano” ( v. 80 ); “Ma tu per certo, / Giovinetta immortal, conosci il tutto” ( vv. 99-100 ) e “Candida luna” ( 138 ). Si spiega nel ritmo una dialettica di morte e immortalità; candore e verginità da un lato e pensosità-coscienza, nell’ altro verso; o ancora, tra appagamento e vaghezza ( vv. 5 e 7 ). “Silenziosa” ( v. 2 ) si ricollega a “muta” ( v. 80 ); “corso immortale” ( al v. 20 ) a “peregrina” ( 61 ); “Eterna” ( del v. 61 ) echeggia bene “Immortal” ( del v. 100 ); “solinga” ( v. 61 ) corrisponde a “candida” ( 138 ), e “pensosa” ( sempre al v. 62 ) vale il: “conosci il tutto” ( v. 100 ). E mentre ossimori “a scalare” sono incisi tra “Vergine” e “mortale” ai vv. 37-38, o tra “Intatta” e “mortale” nei 57-58; “vergine”, “intatta”, “solinga”, “eterna”, “peregrina” e “pensosa” disegnano un movimento ( ai vv. 37-38, 57-58, 61-62 ) che annega tra le braccia della “giovinetta immortal” e “candida luna” ( vv. 99-100 e 138 ). Graficamente, tutte le studiate combinazioni, ‘dialettiche’ e ‘prospettiche’, consentite da questo altissimo campione linguistico, possono rendersi come idea di un perno o raggiera centrale ( da cui si dipartono i meravigliosi ‘punti di fuga’: e sarebbe omaggio al metodo del critofilm d’arte, insegnato da Carlo Ludovico Ragghianti ); o come serie di “esagrammi” al centro e “trigrammi” a salire e scendere nella creazione artistica ( per stare ai termini della saggezza antica, data in affidamento nel “Libro dei Mutamenti” ).

Se in Leopardi gli opposti, dinamici e complessi ( “tessuti insieme” ), sono per “gradi”; in Orwell sono tenuti in altro modulo: b) per “strati”. E sono i “Layers of feeling”, che generano “false Memorie” dalla più remota infanzia, rinviando al proprio “strato più sottostante” ( “Undermost Layer” ). Ma è proprio la esultanza ritmica di Leopardi che ci aiuta a comprendere la importante differenza tra i “gradi” ( che procedono nella “prospettiva”) e gli “strati” ( che ristagnano nella “Età dell’ansia” ).

In Jung, l’ associazione degli opposti è dominante, frutto di fonti antiche e classiche, alchemiche e sapienziali, archetipiche: c) la sua proprietà è il “Fondo”, l’ “Unter-Grund”, “strato più sottostante”, che riporta all’ “Archetipo” o alla “Figura materna”, in un giro di innesti su cui non mi fermo se non in sede di riepilogo, perché porge il destro al contrappunto con il caso del paziente Alberto. Anche qui: d) il contrappunto, invero singolare, è dato dalla figura degli opposti in Alberto, perché lo “strato” non è più il “Fondo” junghiano ma lo “stato ultimo”, il “più recente”, sul piano della “simultaneità degli opposti”, frutto di una conquistata “comprensione” e di un maturo “Giudizio” per la insegnante. “Sì, tu molto ansiosa ma sempre fiduciosa, vieni con me”, è forma che raccoglie gli opposti “ansietà” e “fiducia”, nella “simultaneità” della comprensione, nel “giudizio” e nella “regalità di fronte al quotidiano”. Alberto “dà aiuto, pur avendone bisogno”. Non è “Ricettivo”, come il Josif K. del Processo di Kafka secondo Fromm. Ha capito la legge psicologica dei contrari, lo stato delle emozioni, “dialettico” perché “prospettico” nella propria insegnante. “Sì, Essere assistito solo donandomi amore energico non amore responsabilizzante tanto ansiosa. Rilassata solo sapendomi interagente”, è un altro giudizio che percepisce gli opposti “ansiosa” e “rilassata”, tanto più alto e comprensivo da “mettere i brividi” ( si ricorderà ) alla docente Graffigna. Quindi, è lo stato “più recente”, “ultimo”, perché “portato alla coscienza” e così percepito, valutato e “giudicato” dal paziente. Anche qui, Jung aiuta a porre la differenza con lo stato di Alberto Cadei: mentre per lo psichiatra, la coincidentia oppositorum giace al “Fondo”, allo strato più “sottostante”, archetipale, perché ‘inconscio’; per il paziente e intelligente autistico, essa appartiene allo statuto giudicante perché ‘ultimo’ e da ‘ultimo’ sollevato alla cosciente comprensione. Così, il ‘paziente’ è, o diventa, ‘terapeuta’ per l’ insegnante. L’ammalato, guaritore: in un nuovo ‘Libro dei Mutamenti’, dove basta lo scarto di un trattino o di un segno a mutare registro. Ed il cerchio, mirabilmente, si chiude.

10. “Mememormee”. Archetipo dell’acqua

Tutto è in tutto. L’inizio è nella fine. E la fine è un nuovo inzio. “Il nulla è anche un tutto”. Dopo nascita, ascesa, decadenza, c’ è un nuovo riscatto, “il Ricorso”. Mutamenti, corsi e ricorsi ideali eterni, fisica quantistica e flusso di coscienza, reologia ( scienza del fluire ) e Tempo sono le trasmigrazioni continue dell’episteme contemporanea. Come scrive Fritjof Capra nel Tao della fisica: “E’ un fatto sorprendente che la maggior parte di queste regolarità possa essere rappresentata in modo molto semplice qualora si faccia l’ipotesi che tutti gli adroni siano costituiti da un piccolo numero di entità elementari che finora hanno eluso l’osservazione diretta. Queste entità hanno ricevuto il fantasioso nome di ‘quark’ da Murray Gell-Mann il quale, quando ne postulò l’esistenza, rinviò i suoi colleghifisici all’espressione di Finnegan’s Wake di James Joyce, “Three quarks for Muster Mark”. Gell-Mann riuscì a spiegare un gran numero di schemi di simmetria nei quali si possono ordinare gli adroni, quali gli ottetti e il decupletto analizzati, assegnando opportuni numeri quantici a questi tre quark e ai loro antiquark, e mettendo quindi insieme questi ‘mattoni elementari’ in varie combinazioni per formare barioni e mesoni i cui numeri quantici fossero ottenuti semplicemente sommando quelli dei quark loro costituenti. In questo senso, si può dire che i barioni ‘sono composti’ da tre quark, le loro antiprticelle dai corrispondenti antiquark, e i mesoni da un quark più un antiquark”. (Cfr. Il Tao della Fisica, cit., pp. 294 sgg.)

In effetti, Enrico Terrinoni precisa, a commento del Capo I del Libro III della “Veglia”: “Il capitolo era stato inaugurato proprio da una famosa invocazione a Marco ( “Three quarks for master Mark”, 383.01, in originale “Three quarks for Muster Mark” ), a cui si ispirò Gell-Mann per battezzare la nota particella subatomica”. Dove “Quark” era a sua volta non solo rimando al “cra-cra” della canzone derisoria intonata da uno stormo di uccelli per accogliere il Re, ma anche la crasi di “Question” e “mark”, “punto inrerrogativo”, emblema dell’opera e figura di Joyce stesso, nella pubblicistica e ritrattistica contemporanea. (Cfr. James Joyce, Finnegans Wake, ed. it. a cura di Enrico Terrinoni e Fabio Pedone, Oscar Mondadori, 2017, p. 148. – La lezione di Terrinoni per FW 383.01 “Three quarks for master Mark” è sbagliata. Quella esatta, come da originale, Faber and Faber 1939, è la versione riferita da Fritjof Capra in Il Tao della Fisica, cit., pp. 294 sgg. “Three quarks for Muster Mark”.)

“Reologia”, fiume del Tempo, quaternità e archetipo dell’acqua sono essenziali “tra Vico e Joyce” ( per noi, Attila Faj, Donald Ph. Verene e Andrea Battistini ). Per Joyce, che “si diverte” nella parodia filosofica delle nuove dottrine della scienza e del tempo, il medesimo luogo è in grado di ‘prendere in giro’ Bergson ( “Bitchson” ), Proust ( “Recherchée” ), Einstein ( “Winestain” ), la fisica quantistica ( “a quantum Theory” ) e la dottrina degli “pseudoncetti” empirici e astratti in Croce ( “harrogatto” e “arrogatto”, nella bella versione, che è interpretazione, di Luigi Schenoni ). Ma, poi, tutto il gioco ironico e linguistico, caricaturale e insieme perspicuo, modellato nella densa pagina joyciana, è tradotto – a sua volta – nella priorità archetipale” dell’ acqua, del suo “fluire” e precipitare, ritornare e sciabordare continuo, fino ai vertici di Anna Livia Plurabelle, della foce del fiume Liffey e del ‘ricominciamento’ del mare. Poche espressività del mondo della vita si conoscono, in letteratura universale, altrettanto “pluriprospettiche”, mutevoli e cangianti, ma insieme ideal-tipiche e tematicamente ripropositive, della “Veglia” universale del Joyce ( anche per chi è avvezzo al pluriprospettivismo dell’ermeneutica filosofica moderna e alla cosiddetta “multi-disciplinarietà” ). Sì che, per la teoria quantistica ( ‘ogni teoria fisica in cui la costante di Planck ha un ruolo essenziale’ ), Joyce si diverte così: “Talis is a word often abused by many passims ( I am working out a quantum theory about it for it really most tantum ising state of affairs )” ( FW, I, V-VIII, pp. 149 e 149bis ). “ Talis è una parola spesso maltrattata da molte passimsone ( A questo proposito sto elaborando una teoria del quantum perché in realtà è una situazione veramente allettantum )” ( Schenoni ).

A conclusione di tutto il passo, che è un concentrato di citazioni e di rimandi filosofici e scientifici. “ From it you will here notice, Schott, upon my for the first remarking you that the sophology of Bitchson while driven as under by a purely dime-dime urge is not without his cashcash charackteristicks, borrowed for its nonce ends from the fiery goodmother Miss Fortune ( who the lost time we had the pleasure we have had our little Recherché brush with, what, Schott ?) and as I further could have told you as brisk as your D.B.C. behaviouristically pailleté with a coat of homoid icing which is in reality only a done by chance ridiculisation of the who-who and where’s hairs theorics of Winestain. To put it all the more plumbsily. The speechform is a mere sorrogate. Whilst the quality and tality ( I shall explex what you ought to mean by this with its proper when and where and why and how in the subsequent sentence ) are alternativomentally harrogate and arrogate, as the gates may be”. E cioè, per Schenoni: “Da ciò noterai qui, Schott, quando ti ho segnalato la prima volta che la sofologia di Bitchson seppur mossa come sotto da una spinta puramente campcamporale non è priva di caraccotteristiche straz-straziali, assorbite per le proprie estremità paradorsali dalla fatosa matrina Miss Fortune ( con cui la persa volta che abbiamo avuto il piacere abbiamo avuto la nostra piccola scaramuccia recherchée, vero, Schott ?) e come potrei anche averti detto è briosa come la tua D.B.C., pailletée behaviouristicamente con uno strato di glassa omoide che in realtà è solo una ridicolizzazione donata ben a caso delle teorie del cuucuu e del cheeddee di Winestain. Per presentare tutto più piombamente: La struttura linguistica è un semplice sorrogatto. Mentre la qualità e la talità ( ti splesserò quello che dovresti intendere con ciò con l’appropriato quando dove perchè e come nella frase seguente ) sono alternativomentalmente harrogatto e arrogatto, a seconda dei gatti”. (Finnegans Wake, Libro Primo. V-VIII, ed. e commento di Luigi Schenoni con un saggio di Edmund Wilson, Mondadori, Milano 2001, pp. 149 e 149 bis. Cfr. Edmund Wilson, in op. cit., pp. 464-465: “la moglie stessa è adesso il fiume che si riversa in mare”; “Il ciclo vichiano ha ancora una volta compiuto il suo giro. Il periodo incompiuto che chiude il libro troverà la sua continuazione nel periodo senza inizio col quale l’opera si apre. Il fiume che si riversa nel mare deve ricominciare come nuvola; la donna deve abbandonare la propria vita all’infante”; e Giuseppe Brescia, Tra Vico e Joyce. Quaternità e fiume del tempo, Laterza, Bari 2006, Parte prima.)

In un contesto ricco di satira antiaccademica e antiprofessorale ( poco dopo, alle pp. 150 e 151, è satireggiato due volte il professor Levy-Bruhl, come “Professor Loewy-Brueller” e “Professor Levi- Brullo”, celebre studioso della mentalità dei primitivi ), Joyce compendia la questione dello spazio e del tempo e di ‘Talis e qualis’, come dire dei ‘princìpi costitutivi’ e ‘regolativi’: “Per metterla nella maniera più oscura possibile” – “To put il all the more plumbsily”, alludendo magistralmente ai due tipi di ‘pseudoconcetti’ ( empirici e astratti ), nella Logica come scienza del concetto puro di Croce, e giochicchiando sull’esempio di “gatto”.

“Tutt’altra cosa sono i concetti finti o finzioni concettuali, perché in questi o il contenuto è fornito da un gruppo di rappresentazioni, e perfino da una singola rappresentazione, epperò non sono ultrarappresentativi; ovvero essi non hanno alcun contenuto rappresentabile, epperò non sono onnirappresentativi. Del primo tipo offrono esempi i concetti di casa, gatto, rosa; del secondo, quelli di triangolo o di moto libero”. (Cfr. B. Croce, Logica come scienza del concetto puro ( come “Lineamenti di Logica”, in “Atti della Accademia Pontaniana”, 1905 ), Laterza, Bari 1909 e 1958, Cap. II, pp. 13-25; I. Kant, Critica della ragion pura ( 1781 ), trad. it. Gentile-Mathieu, Bari 1960, p. 666.) Ma sono, entrambi gli pseudoconcetti, utili perché esiste un nesso imprescindibile tra “fine pratico e l’utilità mnemonica”. “Poiché si conosce per operare, e tutte le nostre conoscenze debbono via via venire evocate per via via operare, sorge l’interesse pratico di provvedere alla conservazione del patrimonio delle conoscenze acquistate”. Franchini aggiunge, poi, che gli pseudoconcetti “non sono affatto una particolare prerogativa delle scienze matematiche, fisiche o naturalistiche”, ma si ritrovano nei casi della storiografia, economia e critica letteraria, ovunque si adottino schemi, partizioni, classificazioni, generi e tassonomie. “The speechform is a mere sorrogate”: ‘la tecnica è un mero surrogato’, diciamo noi con Joyce ( e il fatto che il genio irlandese scriva ‘gate’ e ‘gates’, non ‘cat’ o ‘cats’, rientra nel più complesso ‘full game’, ‘gioco denso di concetti’, che è stato merito di Luigi Schenoni aver reinterpretato: “harrogatto” e “arrogatto”, “a seconda dei gatti”). (Raffaello Franchini, La teoria della storia di Benedetto Croce, Morano, Napoli 1966, cit., pp. 59-66 e 71-72 e Teoria della previsione, Giannini, Napoli 1964 e 1972; Gennaro Sasso, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, Morano, Napoli 1975, pp. 655-706; 717-809 e 907-1008; Giuseppe Brescia, Questioni dello storicismo. I. Dalle origini della dialettica alla ricerca dei modi categoriali, Salentina, Galatina 1980, pp. 70-74.) Il fatto che la “gnoseoprassi” si estenda a categorie quali la partizione amministrativa di confini e stati, la sociologia, la storiografia, la critica letteraria, la “sofologia” in generale ( come espone Joyce e l’ermeneutica filosofica posteriore chiarisce) vuol dire che, per il loro contenuto fornito da “un gruppo di rappresentazioni”, “non sono né possono essere ultrarappresentative”. Mentre gli “pseudoconcetti” del campo delle scienze fisiche e matematiche ( ‘moto libero’, ‘triangolo’ ), che non hanno alcun contenuto rappresentabile e per ciò “non sono né possono essere onnirappresentativi”, neanche sono estensibili ad altri ambiti predicativi della “gnoseoprassi”: e dunque, non “sorgono dal concreto e dopo il concreto”, non avendo prius, o prima di sé o innanzi a sé, alcun “concreto” da elaborare e predicare ( il che non era stato chiarito né da Giorgio Fano, né da Raffaello Franchini, espressosi sul punto in contrario ). In questo senso, che è un poli-senso, più raffinato e più alto di ermeneutica, si può ora intendere – secondo noi – il periodo joyciano: “Whilst the quality and tality are alternativomentally harrogate and arrogate, as the gates may be”. Cioè: “Mentre i giudizi predicativi di ‘sostanza’ e di ‘funzione’ ( Cassirer ), ‘costitutivi’ e ‘regolativi’ ( Kant ), di ‘esistenza’ e di ‘modalità categoriale’ ( Croce dopo Croce ) = ‘the quality and tality’, sono alternativamente e nella considerazione mentale alternativa, della “ragione pensante” e dell’ “intelletto astraente” = ‘alternativomentally’, ‘giudizi empirici’ e ‘giudizi astratti’ = ‘harrogate and arrogate’, ‘secondo le possibilità o modalità’ = ‘as the gates may be’”. (Giuseppe Brescia, Tra Vico e Joyce, cit., pp. 19-20; e “Accadimento” in Radici dell’Occidente, Libertates, Milano 2019, Parte prima.) Che è una versione-interpretazione al contempo diversa ma nella stessa linea che procede da quella – intelligente – di Luigi Schenoni. Gli è che “the Gates” in Joyce corrisponde alle “Guise” – ancora una volta – in Vico ( le Guise o “les manières” di Alain Pons, traduttore della Science Nouvelle, e che sono le “modalità” del Giudizio, da Kant a Croce o all’empirio-criticismo di scuola austriaca ). Il pensiero del Joyce è profondamente intriso di Vico e vichismo, non nel senso superficiale della mera dottrina dei corsi e ricorsi storici ( dottrina che disegna il campo – per dir così – della sua ‘interpretazione’ generale ); ma, proprio, nelle benché minime riflessioni e pieghe ragionative.

“Aquilex” – “Raccoglitore di acque”, è mito vichiano – joyciano sulle fonti della vita e della storia. “L’ultimo libro di FW è tra le pagine più belle mai composte da uno scrittore. Racconta la breve fine di ALP, fiume che muore nel mare della baia di Dublino poco prima dell’alba, per poi rinascere tra le ceneri della fenice che abita il parco nel cuore di Dublino” ( Terrinoni ). E’ la stupenda immagine di Vico che riporta la fine del fiume che addolcisce le acque del mare in prossimità della foce, sempre ripresa a illustrazione dei profili della dialettica e delle origini: “..dentro a quali, come gran corrente di real fiume ritiene per lungo tratto di mare e l’impressione del corso e la dolcezza delle acque, scorse l’età degli dèi, perché dovette durare ancora quella maniera religiosa di pensatore che gli dèi facessero tutto ciò che facevan essi uomini..”. (Giambattista Vico, Scienza Nuova seconda (1944), ed. Nicolini, Bari 1953, par. 412; Opere, ed. Battistini, Milano 1990, I, pp. 727-728.) “La favella poetica, com’abbiamo in forza di questa logica poetica meditato, scorse per così lungo tratto dentro il tempo istorico, come i grandi rapidi fiumi si spargono molto dentro il mare e serbano dolci l’acque portatevi con la violenza del corso”.

Nel Libro dei mutamenti, a proposito dei trigrammi in movimento, sovviene specialmente il “segno dell’acqua” che somiglia al segno per: “shui”, in cinese ‘acqua’, tre linee che scorrono in basso nella pagina 48 n. 1, la centrale diritta e le due laterali tratteggiate. (I Ching, ed. Wilhelm – Jung, cit. p. 48 n. 1.) Alla fine, che è un reinizio, di Finnegans Wake, è una delle parole più belle coniate dal Joyce: “mememormee”. “Il termine ci parla di memoria / e, mamma / e, mummia / e, mimi, ammirazione di sé: me more me ( “me più me” ), amore e morte”. (Enrico Terrimoni ( a cura di ), Finnegans Wake, Libro III.Capitoli 1 e 2,Milano 2017, pp. LVI-LVII.)

John Bishop si sofferma sulla radice: mem , la “m” in ebraico, e il simbolo egizio costituito da “piccole onde in movimento”, “acqua mossa”. (John Bishop, Joyce’s Book of the Dark, University of Wisconsin Press, Madison 1986, pp. 15-21 e 43.) Qui tutto rifluisce e s’incontra mirabilmente in tutto. “Il nulla è anche un tutto”: “non in quanto ricordato, ma in quanto non ricordato”. “Forget ! Remember !”, asserisce simultaneamente il Joyce. E l’analista Jung riferisce il Libro egiziano dei morti; come “Il raggiungimento di uno stato calmo”, “secondo un percorso ricco di momenti analitici delle emozioni”, “valido aiuto nel tendere a quella condizione senza memoria e senza desiderio ( o: ‘non attaccamento e non avversione a memoria e desiderio’ ), che Bion indica come assetto mentale dell’analista in ascolto”. (Cfr. Jackson I. Cope, From Egyptian Rubbish – Heaps to ‘Finnegans Wake’, in “James Jouyce Quarterly”, 3. III ( primavera 1966 ), pp. 166-167.Cfr. Romano Màdera, Carl Gustav Jung, Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 138-142) Il “sogno affonda nell’abisso”, dice Freud. E qui Jung ritrova, giocando con i propri I Ching, come persone destinatarie del lancio delle monete, dopo aver incontrato Il Crogiolo, propriamente L’Abissale, simbolo dell’acqua. (I Ching, cit, pp. 27-33 della Prefazione junghiana e il simbolo 29, K’an – L’Abissale – L’acqua, p. 156. Il motivo dell’acqua è dominante in tutte le religioni antiche, nei riti battesimali e di lavacro.) “L’irrazionale pienezza della vita mi ha insegnato a non scartare alcunché, nemmeno ciò che va contro tutte le nostre teorie ( così effimere, nel migliore dei casi ), comunque non ammette spiegazioni immediate. E’ inquietante, certo, e non si può mai dire se la bussola funziona o se è impazzita; ma la sicurezza, la certezza e la quiete non portano mai a nessuna scoperta. Altrettanto vale per questo metodo cinese della divinazione.. E’ ovvio che io sono profondamente convinto del valore della conoscenza di sé; ma che senso ha raccomandare questa conoscenza quando i maggiori saggi di ogni tempo ne hanno predicato la necessità senza successo ? Persino all’occhio più prevenuto è chiaro che questo libro rappresenta una sola, lunga esortazione a esaminare con cura il proprio carattere, il proprio comportamento e le proprie motivazioni. (..) Non voglio tediare il lettore con queste considerazioni personali; ma, come ho già detto, la personalità del singolo individuo è molto spesso coinvolta nel responso dell’oracolo. Infatti, nella formulazione della mia domanda ho addirittura invitato l’oracolo a commentare direttamente la mia azione. La risposta è venuta con l’esagramma n. 29, “K’an”, “L’Abissale”. Il terzo posto vi acquista un particolare rilievo perché la linea è disegnata da un sei. Questa linea dice: ‘Avanti e indietro, abisso sopra abisso, / In tale pericolo fèrmati per ora, / altrimenti nell’abisso finisci in una buca. / Non agire così’ . (..) Altrettanto pertinente è il confortante inizio di questo esagramma: ‘Se sei verace hai riuscita nel cuore’; perché sta a indicare che qui l’elemento decisivo non è il pericolo esterno, ma la condizione soggettiva, cioè se si crede di essere ‘veraci’ o no. L’esagramma paragona l’azione dinamica, in questa situazione, allo scorrere dell’ acqua, la quale non teme nessun punto pericoloso ma scavalca scogli e colma le buche lungo il suo percorso. ( ‘K’an’ rappresenta anche l’acqua ). Questo è il modo in cui il ‘nobile’, l’ ‘uomo superiore’ agisce ed esercita ‘l’arte dell’insegnamento’ “. (Cfr. C. G. Jung, I Ching, l. cit.)

“L’esagramma consiste nella ripetizione del trigramma K’an. E’ uno degli otto segni doppi. Il trigramma K’an significa ‘precipitare dentro’. Una linea yang è precipitata tra due linee yin e ne è circondata come l’acqua dentro una gola montana. (..) L’immagine rappresenta l’acqua, e in particolare l’acqua che viene dall’alto e che sulla terra si muove in fiumi e torrenti, suscitando ogni forma vivente. Riferito all’uomo, questo segno rappresenta il cuore, l’anima racchiusa nel corpo, il luminoso contenuto nell’oscuro, la ragione. L’Immagine: ‘L’acqua scorre ininterrottamente e arriva alla meta: / l’immagine dell’abissale ripetuto. / Così il nobile incede in durevole virtù / ed esercita l’arte dell’insegnamento” ( sottolineature mie ). (I Ching, cit., pp. 156-159.; Finnegans Wake, Libro IV, 628,14.) L’acqua s’incontra ancora con l’archetipo dell’ottagono, in Jung studioso del buddismo: “Un’importanza speciale tocca all’acqua nel paese di Amitabha. Essa si trova, corrispondentemente all’ottagono, in figura di otto laghi. La sorgente di quest’acqua è una gemma centrale, Cintamani, la perla del desiderio, un simbolo della ‘cosa preziosa difficilmente raggiungibile’ e del valore supremo. (..) La figura di Buddha siede nel lato rotondo, nel centro dell’ottagonale paese di Amitabha. Buddha è contraddistinto dalla ‘gran compassione’ con cui ‘accoglie tutti gli esseri’, quindi anche il meditante” ( Psicologia e religione, cit., pp. 568-573, come Psicologia della meditazione orientale ).

L’archetipo dell’acqua, come archetipo e principio della vita; l’abissale ripetuto; il reinizio del ciclo; la donna-fiume; la teoria ideale eterna dei corsi e ricorsi storici; il perenne fluire e rifluire del corso dei fiumi che annegano nel mare; l’impetuosità e la dolcezza; l’assestamento della ragione; il sistema e le funzioni della ‘quadratura’; le attinenze con l’ogdoade o forma ottagonale; la gemma del desiderio e la ‘meditazione’; il luminoso nell’oscurità; la nuova teoria del giudizio; la ‘Ecologia profonda’; il Tempo in cui s’incontrano le determinazioni opposte; e le varie modalità di sintesi degli opposti ‘dinamici’, in estetica e psicologia: questi i temi della indagine, in breve giro riassuntivo di infinite diramazioni e nuovi percorsi. E “Mememormee”, suona come lo sciabordìo dell’acqua del mare sulla riva, in senso onomatopeico oltre che filosofico, fisico dentro il filologico. Quando la sera è tranquilla, vicino al tramonto, i suoni “ Me me” – “Mor” – “m e e” , evocano il distendersi dell’onda, l’approdo e la dolce risacca, in perpetuo moto ( per Leonardo, “causa di ogni vita” ): evocazione che il pensiero poetante di Joyce ci affida, ri-conoscendo le “origini del vitale”, anche nel ricorso ai miti dell’acqua e del mare ( da Ulisse alla Sirena alla leggenda di Niccolò Pesce ).

*Giuseppe Brescia Presidente della Libera Università “G. B. Vico” di Andria, Preside titolare nei Licei, Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola nel 1990 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, dopo la fase filologica (La poetica di Aristotele e Croce inedito del 1984), ha espresso un sistema in quattro parti: Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva in due volumi (Bari 1999); Epistemologia come logica dei modi categoriali (2000); Cosmologia come sistema delle scienze di frontiera (1998) e Teoria della tetrade (2002). Ha lavorato all’innesto tra umanesimo storicistico, epistemologia ed ermeneutica, dando valore attrattivo ai tempi del “tempo” e della “Lebenswelt”; alle Ipotesi e problemi per una filosofia della natura (1987), L’azione a distanza (1990) e Pascal matematico (1991); alle attualizzazioni dei problemi del male e del sofisma (Critica della ragione sofistica, 1997; Ipotesi su Pico, 2000 e 2011; Il sogno di Castorp e il progetto di Pico, 2002; Il vivente originario. Saggio sullo Schelling, Milano 2013).

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