Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Kant: limiti e confini

In questo articolo prendiamo in esame limiti (Grenzen) e confini (Schranken), così come intesi da Immanuel Kant (1724-1804). A partire dalla trattazione del tema nei Prolegomeni (1783), cercheremo di dissipare la caligine presente attorno a tali concetti e chiariremo le loro differenze attraverso una varietà di esempi.  Ma che cosa sono i limiti (Grenzen)? E perché, a differenza dei confini (Schranken), possiamo considerarli positivi? Tentare di rispondere richiede una riflessione sulle idee trascendentali e sulla metafisica in generale. Infine, sposteremo l’attenzione su una domanda: cosa significa riscoprire la portata del limite (Grenze) per l’essere umano?

Un’opera di depurazione

«Oltre i limiti della loro galassia – che non era la nostra – non potevano navigare con il corpo, però, con la loro sete di conoscenza circa tutto ciò che riguardasse lo spazio e il tempo, avevano trovato un sistema per poter percorrere certi gorghi transgalattici con la loro mente»

Howard Phillips Lovecraft, Sfida dall’infinito, 1935 [1]

La ragione umana possiede dei limiti? E chi può dire cosa essi siano? Innanzitutto, potremmo essere più accorti: parliamo davvero di limiti (Grenzen), o soltanto di confini (Schranken)? È una differenza che bisogna considerare anche quando leggiamo il massimo inquisitore della ragione umana, Immanuel Kant (1724-1804). Vogliamo stabilire quali siano le barriere oltre cui non possiamo procedere? Oppure intendiamo riconoscere uno spazio, che implica a sua volta la presenza di uno spazio assai peculiare? Per rispondere, occorre un’opera di depurazione: attraverso alcuni reagenti, tenteremo di eliminare ciò che ostacola la comprensione delle parole Grenzen e Schranken.

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L’io reciproco. Lo sguardo di Simmel. Un saggio Mimesis di Antonio De Simone

> di Alessandra Peluso

Il silenzio è la notte oscura della parola, ma è in questa notte che il pensiero germoglia. La più elevata funzione del silenzio si rivela in quello spazio che deve crearsi, affinché sia possibile il dialogo, l’incontro; nel silenzio il lettore, l’interlocutore riesce a relazionarsi con se stesso, con l’altro ed avverte lo sguardo, quello disincantato di Georg Simmel. Uno sguardo esteso, divino, provvidenziale del quale ne è intrinseco il pensiero. Se Zeno ha ricorso alla scrittura per curare i suoi mali e riprendere il potere della parola, si pensi a “La coscienza di Zeno”, di Italo Svevo, questa distonia non appartiene di sicuro al filosofo tedesco che è andato oltre la parola, ha contagiato secoli e secoli con le sue teorie filosofica, politica, sociologica, pedagogica e senza porsi l’intento della cura, certamente, leggendolo, qualche male lo si riesce a risolvere.

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Alterità. L’identità come relazione. Un saggio Mucchi di Roberto Marchesini

> di Luca Pantaleone

In un testo del 2016 (R. Marchesini, Alterità – L’identità come relazione, Mucchi Editore, Modena, 2016) l’etologo e filosofo Roberto Marchesini avanza una nuova proposta di antropologia filosofica, cioè di costruzione dell’identità umana, che pone al centro l’alterità e l’ibridazione animale quali unici elementi in grado di traghettarci verso una dialettica sociale post-umana.

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Il bisogno di pensare. Vito Mancuso fra filosofia, scienza e teologia

> di Paolo Calabrò

La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta.
Fernando Pessoa

Leggere può far male? Come per tutte le cose, l’eccesso porta fuori strada, e il fine della lettura – nutrire il pensiero – può diventare qualcosa d’altro: anestetizzare la propria capacità critica rendendola dipendente dalle opinioni di altri – gli autori di libri e giornali, appunto – finendo, come rilevava Schopenhauer, per “pensare con la testa altrui, anziché con la propria”…

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Il cervello aumentato, l’uomo diminuito. Filosofia e neuroscienze a confronto in un saggio Erickson di Miguel Benasayag

> di Paolo Calabrò

«Chi pensa che da un mondo finito si possa trar fuori una crescita infinita, è uno stupido. O un economista» recita la nota boutade (che poi tanto comica non è; cioè, fa sorridere, sì, ma proprio perché sappiamo tutti quanto sia vera). Lo stesso potrebbe dirsi per il cervello e per le sue capacità: c’è oggi una certa neuroscienza che pretende di vedere all’orizzonte un’estensione pressoché infinita delle facoltà cerebrali dell’uomo, finanche – secondo l’auspicio di certa fantascienza degli ’80 (si pensi a Software di Rucker) – di smaterializzare le potenzialità del pensiero da quelle della materia corporale; dimenticando che “l’orizzonte”, appunto, è quella linea che… si allontana a mano a mano che ci si avvicina a essa.
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