Mi ponevo poco tempo fa il seguente quesito: «Da dove deriva la differenza di sensibilità nelle persone?», ovvero perché c’è una netta e innegabile differenza tra i “gusti” degli individui? I gusti, per carità, son gusti; ma sono sicuro che chiunque, posto davanti alle estreme, seppur logiche, conseguenze di tale affermazione, riconsidererebbe il suo valore di verità universale – perché se è vero che de gustibus non eccetera, è altrettanto indubbio che vi sono gusti e gusti. Per capirci in due parole, è evidente che un paragone tra Jovanotti e Diodato non desti lo stesso scalpore di quanto non faccia uno tra Jovanotti e Chopin. Questo, lo dico subito, lo prendo come un assunto; penso, comunque, che sia facilmente verificabile: chiunque ascolti una simile comparazione, infatti, storcerà, come minimo, il naso, persino gli stessi fan di Jovanotti. È come se si sapesse già, in qualche modo, forse solo perché ce lo siamo sentiti ripetere sin da piccoli, che Chopin è una colonna portante della musica di tutti i tempi, mentre Jovanotti… Ora, se fosse vero che “ognuno ha i suoi gusti”, allora un qualsiasi individuo potrebbe affermare che Jovanotti è nettamente migliore di Chopin senza incorrere nella benché minima obiezione e rimanendo giustificato nel pensarlo – tuttavia, di nuovo, reputo che l’esperienza quotidiana mostri come questo non accada. Pare invece che una simile frase non dipenda dai gusti, ma sia proprio, inevitabilmente, sbagliata. Dunque ci sono questioni che dipendono dall’apprezzamento soggettivo (Jovanotti può essere migliore o no di Diodato) e altre che invece rimangono oggettive (Jovanotti non è migliore di Chopin, punto)? Com’è possibile, però, una simile situazione? Qual è, da un punto di vista logico, la differenza tra la due affermazioni? Che nella seconda il termine di paragone è troppo superiore? Ma se il criterio è soggettivo, in base a cosa lo si può dire? Le uniche due conseguenze possibili, a mio avviso, sono o che sui gusti non bisogna davvero discutere, e quindi è possibile che Jovanotti sia migliore di Chopin, oppure che quest’ultima frase risuoni quasi come una blasfemia, e dunque che l’apprezzamento del singolo per Jovanotti non renda questi un musicista più grande di Chopin. Posto che la prima ipotesi sia intuitivamente scorretta (il che non si significa che lo sia necessariamente, ma che la si percepisce come tale la maggior parte delle volte), e che dunque sia corretta la seconda, ciò fa sì che si crei una discrepanza tra quanto è soggettivo, quel che pare ai singoli, che apprezzano o detestano una certa opera, un certo artista, e quanto è la realtà; in poche parole, si è liberissimi di preferire Jovanotti a Chopin, ma quest’ultimo è e rimarrà comunque un musicista oggettivamente migliore del primo. Dove porta allora una simile teoria – che poi, a guardar bene, è in realtà una semplice constatazione? Ecco, pare logico che se si accettano tutti questi presupposti, si debba, in virtù di essi, riconoscere anche l’esistenza di un bello quasi oggettivo, di una nozione di qualità intrinseca a un’opera che non dipenda dai nostri “gusti”; si deve cioè accettare, sia che Chopin mi piaccia, sia che io lo detesti, che egli è stato un grande musicista. Però allora come mai non mi piace? Qui sta il nocciolo della faccenda. Continua a leggere
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Dove abita il bello?
> di Luca Pantaleone*
Rispondere alla domanda su dove abiti il bello equivale a chiedersi due cose. Innanzitutto se esso possa “abitare” un luogo, nel senso usuale del termine. In secondo luogo poi, in che cosa consista l’essenza del bello, o secondo quali modalità questo si manifesta. Sono due domande molto profonde, su cui la filosofia si interroga da secoli. Continua a leggere
La bellezza (non) ci salverà. Bauman e Heller a confronto
> di Paolo Calabrò
Istintivamente è difficile immaginare che un capolavoro possa celarsi in un piccolo libro, di una sessantina di pagine appena: la filosofia ci ha abituati a letture defatiganti e all’idea che la densità del pensiero vada di pari passo alla lunghezza dell’esposizione. Eppure c’è sempre dietro l’angolo l’eccezione che conferma la regola; verrebbe da aggiungere: “quella che non ti aspetti”, ma nel caso di La bellezza (non) ci salverà, di Agnes Heller e Zygmunt Bauman (ed. Il Margine) c’era da aspettarselo eccome. Continua a leggere