Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Dieci argomenti di filosofia

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> Vito J. Ceravolo*

A Manuela Santalucia

Questo è un testo d’amore, senza alcuna critica.

ceraVOLO2

1. Argomento dell’esperienza

Tendo la mano intorno a me. Afferro una ciliegia, mi impatta sul tatto. Apro gli occhi e mi è rossa. Avvicinandola il profumo mi inebria. La mordo: succhi si sprigionano in bocca, è fresca rotondità. Ho appena ingerito in me degli oggetti esterni, divenuti ora la mia esperienza soggettiva. L’esperienza soggettiva è la propria immediata esperienza delle cose e noi esperiamo cose solo quando le proviamo in noi stessi, in propria esperienza interna: si ha immediata esperienza solo di ciò che si percepisce internamente in se stessi, e ciò che si percepisce internamente consta anche dei valori, interiorizzati in sé, dell’oggetto percepito.

Fra i vari oggetti percepibili ne conosciamo di tre tipi: meccanici; istintivi; mentali. Da cui si danno, rispettivamente, tre differenti soggetti:

  • Se è un oggetto meccanico è un soggetto reagente;

  • Se è un oggetto istintivo è un soggetto vivente;

  • Se è un oggetto mentale è un soggetto pensante.

Si dice oggetto o soggetto relativamente al ruolo che ha nella narrazione; come in una frase: ciò che prima è soggetto e l’altro oggetto, può ora essere invertito a seconda del tipo di narrazione; es. il mio Amore ha mangiato l’insalata, l’insalata è stata mangiata dal mio Amore. Invece rimane invariato, da qualunque punto di vista narrativo: l’oggetto tende al generale, il soggetto al particolare. Ove ogni genere è di un particolare come ogni particolare è di un genere1, così da non poter mai avere a che fare con soggetti e oggetti sciolti fra loro; e ciò è valido all’infinito: nel punto esatto in cui accade l’infinito il soggetto è assolutamente tutto l’oggetto esistente e l’oggetto è assolutamente soggetto solo a se stesso; cioè all’infinito soggetto e oggetto coincidono mentre relativamente possono essere invertiti.

Se in generale ogni oggetto può essere espresso come particolare soggetto e viceversa, allora qualsivoglia esperienza soggettiva non sarà mai scevra dell’oggetto per cui si dà, e non esisterà alcuna esperienza di oggetti in generale che non sia riferibile a quel particolare soggetto esperente. Si dice: nessuna esperienza soggettiva può darsi senza l’oggetto esperito; fosse pure esperienza di sé (in virtù del fatto che ogni soggetto è un particolare oggetto)! Cioè niuno soggetto può darsi senza oggetto. Anche perché se l’oggetto non fosse, l’esperienza soggettiva oggettivamente non sarebbe. Da cui si ripete l’analitica inscindibile dell’esperienza: nessun soggetto può avere esperienza senza l’oggetto esperito.

In sintesi ogni esperienza soggettiva è piena dei valori oggettuali interiorizzati in sé, esattamente include nella propria esperienza interna i valori dell’oggetto esperito, o parte di essi. Tale che: dire “esperienza soggettiva” significa dire “avere esperienza dell’oggetto”.

2. Argomento della relazione

L’esperienza sensibile inizia con la percezione delle cose attraverso i sensi. “Cose” che possono essere meccaniche, istintive e mentali. “Sensi” che possono essere reagenti, viventi e pensanti.2 Nota: l’unico organo fisico atto al “pensiero” da noi conosciuto è il cervello, infatti esportando parti adeguate di cervello, particolari neuroni e sinapsi, si hanno riduzioni di capacità di pensiero, cosa che non avviene “direttamente” esportando altre parti del corpo: «è più che plausibile cercare nei neuroni una traccia [sensibile] del fatto che un [astratto] pensiero intelligente ha pensato qualcosa» (Sini 2016, p. 30), per quanto, «in ciò che chiamiamo pensiero […], le sinapsi del cervello […] abbiamo un output miserabile» (Steiner 2007, p. 43).

Ciò che si percepisce sono valori, così ogni cosa percepita, ogni oggetto interiorizzato, ha il suo proprio valore riconoscibile fra le complessità dei sensi soggettivi. I valori delle cose vengono trasportati nella propria immediata esperienza interna attraverso relazioni costituenti una data configurazione caratteristica. Esattamente: ogni esperienza soggettiva è data dai valori degli oggetti interiorizzati nel soggetto attraverso la particolarità delle sue reazioni meccaniche, risposte istintive, processi mentali.

Pertanto, oggetto e soggetto, ognuno col proprio valore, interagiscono nell’esperienza, laddove l’esperienza sia una relazione che abbisogna dell’oggetto da esperire e del soggetto esperente. In altri termini: ogni esperienza è data dall’influenza reciproca delle parti soggetto-oggetto in relazione, così che ogni propria esperienza interna sia contaminata dall’oggetto esperito e ogni oggetto esperito dal soggetto esperente. Ne risulta che l’influenza reciproca fra soggetto-oggetto, fa sì che ogni esperienza porti a una più o meno sensibile «modificazione nello stato del corpo come pure delle strutture cerebrali che formano le mappe corporee e costituiscono la base del pensare» (Damasio 2004, p. 71), una modificazione dei soggetti e oggetti in relazione.

Se l’esperienza soggettiva, come il gusto delle ciliegie nella mia bocca, consta anche dei valori dell’oggetto interiorizzati nel soggetto, allora si può avere esperienza degli oggetti esterni laddove se ne “ingerisce” il valore, dove ogni oggetto ha il suo proprio valore che il soggetto assume relativamente al proprio apparato sensibile e neurologico, entro limiti determinati dalla loro – soggetto e oggetto – specificità naturale; così che la natura sia il risultato delle mutevoli pratiche individuali dei diversi oggetti e soggetti, oltre che delle ferme leggi universali.

Dunque si chiede: avete mai sentito la storia di quella donna che diventava più bella se guardata dagli occhi di quell’uomo e di quell’uomo che diventava più forte se guardato dagli occhi di quella donna? Si chiama influenza reciproca fra oggetto esperito e soggetto esperente. (cfr. Mondo 2016)

3. Argomento della partecipazione

Nelle sopra relazioni si è detto, da altre inquadrature, che lo stesso oggetto può essere esperito in misura diversa relativamente alle diversità dei soggetti: lo stesso può essere diverso per molti; parimenti a come lo stesso numero dà risultati diversi proporzionalmente al numero con cui viene messo in relazione. Detto in toni ideali: “lo stesso” è lo stesso se preso per sé ma diverso nel risultato della sua relazione con altro (es. per lo stesso 2, 2+8, 2/3 ecc). Talché:

Principio di partecipazione: Lo stesso può essere predicato da molte cose, cose separate sotto alcuni aspetti ma unite in quello stesso. Così lo stesso rimane unito e se stesso, lasciando l’opportunità ai molti di predicarlo in loro personale relazione.

In questo principio si nota, eminentemente, l’unione dei molti nello stesso, per la quale i molti sono necessariamente simili sotto certi aspetti (per stesso universale) e al tempo stesso dissimili sotto altri (per proprio individuale): simili e dissimili sotto rapporti diversi. Tale principio si staglia, anzitutto, sciogliendo uno dei nodi del Parmenide di Platone3, tramite la seguente forma:

  1. Lo stesso A è predicabile da molti soggetti B. Logicamente si dice B predica A, ovvero A(B);

  2. I soggetti B sono separati sotto alcuni aspetti ma uniti sotto quello stesso A. Matematicamente si dice che A è l’insieme di B, ovvero A={B}.

Questa logica-matematica (Ceravolo 2016, pp. 114, 119) ha codesta forma A(B) A={B} che, applicata in codesto contesto, dice: se i diversi soggetti B possono predicare A ognuno in propria misura A(B), allora vi è un A che è lo stesso per tutti A={B}. In questo modo, la proprietà della partecipazione, fra A e B, subisce un’abilitazione formale concretamente osservabile: messa in nuce la possibilità dei rapporti fra piani diversi! Si sta dicendo che il partecipato oggetto sta nel partecipante soggetto e viceversa, trovando nella migrazione di sé (generale oggetto) verso l’altro (particolare soggetto), e viceversa, la sua ivi necessità formalmente insuperabile. Si sta dicendo che ogni diverso soggetto predica, ognuno a modo suo, l’interezza e unicità dello stesso oggetto, così da averlo immediatamente in forma personale, e insieme con l’aspirazione a possederlo in modo sempre più obiettivo, là, nella possibilità che il soggetto e oggetto possano coincidere, scambiarsi o altro. Si sta dicendo che a essere “i molti” sono le predicazione del “lo stesso” (non quest’ultimo) e che in quello stesso trovano l’unità del proprio molteplice. Concretamente si dice che lo stesso oggetto viene interiorizzato dai diversi soggetti che lo portano in seno relativamente alle opportunità dell’oggetto e alle proprie capacità soggettive; così che l’oggetto rimanga uno e se stesso mentre molte siano le sue predicazioni. Astrattamente tale partecipazione di A in B, cioè A(B), significa che B è un modo di A, cioè A={B}.

4. Argomento della natura

Ciò che influenza il proprio divenire è esperienza. Le cose che incontriamo nel mondo sono esperienza, cioè ci influenzano più o meno sensibilmente. (cfr. Mondo 2016)

L’esperienza può avere tre nature:

  • Esperienza fisica degli esseri meccanici, ove la stimolazione dei sensi reagenti (es. atomi) provoca reazioni corporee e l’insieme complessivo di questi processi meccanici causa un’esperienza fisica;

  • Esperienza di vita degli esseri istintivi, ove la stimolazione dei sensi viventi (es. olfatto) provoca sensazioni corporee e l’insieme complessivo di questi processi istintivi causa un’esperienza di vita;

  • Esperienza cosciente degli esseri mentali, ove la stimolazione dei sensi pensanti (es. cervello) provoca ragionamenti astratti e l’insieme complessivo di questi processi mentali causa un’esperienza cosciente.

Nota bene: noi conosciamo il cervello quale strumento fisico fonte di pensiero. Infatti, negli uomini, tutte le prove affermano della correlazione fra il cervello fisico e il pensiero astratto, e nessuna prova ci dice che, in noi, possa non essere il cervello un tramite fisico del pensiero astratto. Oltremodo in questo schema trova seguito un’idea di appercezione (Leibniz docet) intesa come quella percezione che diventa cosciente. Tale appercezione è ciò che distingue i soggetti pensanti da quelli solamente viventi o ancor più solo meccanici. La percezione (ed esperienza) di quest’ultimi, infatti, rimane in uno stato di incoscienza se priva di un proprio pensiero. Mentre il pensiero è ciò che può trasformare la percezione fisica in appercezione, appunto prendendone coscienza: «l’appercezione è un processo riflessivo e razionale del [proprio] io che prende coscienza di sé e delle sue percezioni» (A. Gentile 2016, p. 60); un atto di coscienza.

Ogni esperienza soggettiva è mediata dai sensi del soggetto (es. tatto) e, nei soggetti pensanti, anche dalla razionalità del suo pensiero; tale che, la stessa cosa che alcuni potrebbero vedere di colore verde, altri potrebbero vederla rossa o in scala di grigio o, addirittura, potrebbero anche non riuscire a vederla per un diverso apparato percettivo. Per “apparato percettivo” intendo il complesso degli organi reagenti e viventi del soggetto capaci di acquisire immediatamente i valori sensibili delle cose (es. vista). Da ciò si esclude il cervello che riceve mediatamente il sensibile (dai sensi reagenti e viventi) piuttosto che acquisirlo immediatamente, oltreché trasmettitore di ordini. E che dire della razionalità della mente? Non di certo percepisce il sensibile, quello spetta ai sensi, ma è atta a processarne la ragione: la razionalità è la capacità astratta di astrarre dagli oggetti fisici la ragione per cui sono tali.

Dire che in natura c’è una reciproca influenza fra esperente ed esperito, significa dire che oltre ai sensi e razionalità dell’esperente, a influenzare la percezione sono anche i valori dell’oggetto esperito e, non meno, l’ambiente in cui, soggetto e oggetto, si esperiscono. Per l’ambiente di partecipazione, oh natura!, il medesimo valore può essere esperito in misura diversa relativamente al luogo in cui viene osservato o da cui viene osservato. Sicché, per esempio, relativamente al luogo in cui viene osservato, il medesimo bastone può vedersi dritto se tenuto in aria o storto se tenuto immerso nell’acqua. Sicché, per esempio, relativamente al luogo da cui viene osservato, il medesimo tavolo può apparire stretto e lungo oppure largo e corto. Tutto ciò si chiama “relativismo della percezione” dove non vi è inganno o illusione nell’apparire della natura, ma il naturale risultato di una o l’altra interazione fra stati di cose, loro apparati di percezione, razionalità e luoghi (in cui e da cui) di osservazione. Al più l’illusione e l’inganno stanno nelle interpretazioni che si hanno della natura quando l’interpretazione si dice erronea e quindi illusoria e ingannevole, o alla peggio stanno dove un essere (ontologico) cerchi di far credere qualcos’altro da ciò che è (o presume sia).

5. Argomento della ragione

Quando parliamo dei «modi in cui gli oggetti del mondo causano la stimolazione delle nostre terminazioni nervose, stiamo parlando dell’effettiva percezione [di questi oggetti]» (Searle 2005, p. 233) e del modo con cui questi “affettano” i nostri sensi: ogni modo in cui la propria percezione viene affettata dal mondo, implica l’esistenza di sé e del mondo (cfr. Spinoza, Etica).

“Percepire qualcosa” significa “cogliere come appare” e, chiaramente, non c’è modo di percepire come qualcosa appare senza percepire la sua apparenza (Searle 2005, p. 242: «Vedere l’apparenza di un oggetto significa proprio vedere in che modo l’oggetto si presenti. E non c’è modo di vedere come qualcosa si presenti senza vedere quel qualcosa»). Cosicché si percepisca del mondo solo il suo apparire, necessariamente null’altro. “Apparire” come particolare risultato dato dall’interazione fra (1) il soggetto dal suo punto di vista, (2) il valore dell’oggetto osservato e (3) l’ambiente di partecipazione.

Si può percepire solo ciò che ci appare e l’esperienza ci insegna che nessuna apparenza rimane affatto sempre tale, che tutto l’apparire scorre, come in un fiume eracliteo, e di più: l’apparire di uno stesso oggetto (es. bello), entro i limiti dell’oggetto, può accadere in modi tanto diversi quanto sono diversi i soggetti percipienti e gli ambienti spazio-temporali di partecipazione. Ritrovandoci con una variabilità dell’apparire che offusca ogni stabilità dell’esperienza, un velo sulla legge, l’ordine e la ragione di tale apparire. E questa è la natura dell’apparire: coprire! Infatti l’apparire, in quanto apparente, necessità di ciò da cui apparire, di un “in sé” da cui apparire: il coperto in sé è la ragione del mostrato apparire.

L’apparire non ha ragioni di per sé trovandole invece nell’in sé da cui appare. Quindi se qualcosa ha una ragione, quello è l’in sé, mentre se qualcosa è sensibile, quello è l’apparire. Orbene l’in sé per cui accade l’apparire delle cose è la ragione da cui ciò che appare appare: la ragione è l’in sé dell’apparire. Tale ragione in sé, per non apparire, deve essere e di fatto è sovrasensibile (al di là della percezione), eppur come “valore” deve essere di principio accessibile4. Si ha accesso all’in sé entrando nell’astratto sovrasensibile tramite lo strumento astratto della razionalità: la razionalità è lo strumento astratto capace, ma non necessariamente abile, di reificare linguisticamente la ragione astratta delle cose. Così che il linguaggio che ne segue sia un trasparire manifesto di quel in sé che non si manifesta.

L’intellegibile ragione copre il mondo razionale e irrazionale ossia è il motivo per cui qualcosa si può dire razionale o irrazionale. Ove la razionalità è la ragione cosciente, quella propria dei soggetti pensanti. Mentre la ragione è l’in sé di ogni cosa, sia essa razionale o irrazionale: ogni razionale e irrazionale sta sotto il dominio della ragione per cui è tale. Così il valore in sé della ragione copre casi di razionalità e irrazionalità e di più: comprende in sé ogni conoscenza possibile e impossibile di ogni valore possibile e impossibile. (cfr. Coerenza 2017)

La ragione è il medio di contatto fra razionalità conoscente e oggetto conosciuto, ciò che stando a costituzione in sé d’ogni cosa permette la conoscenza razionale delle stesse, l’uguale sostanza di tutto dove l’uguale conosce l’uguale. Ossia la ragione non è quella cosa propriamente umana, ma in sé di ogni cosa. Di umano noi abbiamo la razionalità e non la ragione delle cose, diversamente avremmo la verità di tutto. Ovverosia: la ragione in sé è il terzo di confronto (tertium comparationis) tramite cui si può dire che le narrazioni del soggetto razionalizzante corrispondono o meno alla realtà dell’oggetto narrato, come se la verità coincidesse con uno sguardo da fuori sulle cose benché quel fuori sia presente anche in me perché “me” come fuori di altro. Meglio detto: la ragione non si colloca fuori dall’universo per contemplarlo, la ragione è l’universo in sé che si autocontempla. Anche perché non si può contemplare qualcosa collocandosi fuori, se anche il fuori è qualcosa: si è sempre dentro a ciò che si contempla (Sini 2016, p. 179: «“mondo” e “uomo” non sono oggetti (né soggetti) di un sapere che li possa studiare e contemplare “da fuori”: il sapere può evidentemente farlo solo da dentro»). Talché l’abilità astratta di cogliere la ragione in sé delle cose, oh razionalità!, è la pretesa di parlare dell’universo come se lo guardassimo attraverso la sua universalità, da dentro i suoi occhi (tertium comparationis) validi per ogni cosa.

Qui dove, per quanto si possa separarsi dalle proprie parti, non si può certo uscire fuori di sé per essere sé. Ciò non esclude che si possa portare dentro di sé le cose, esperendole; entrando così in contatto dentro sé con la verità della cosa fuori di sé, la quale verità, domandata, ci viene regalata da questa o quella risposta. Onde arriva come strapiombo la teoria olografica5: e porteremo dentro noi l’universo se da un frammento suo ingerito lo sapremmo riprodurre tutto. Ben aggrappandoci alla teoria della terra sotto i piedi: del tutto bisogna averne principio per cercare la corretta regolazione su ogni cosa.

6. Argomento della scienza

Ogni esperienza è di un valore e se non ha un valore non se ne può avere esperienza. Ogni valore ha quell’ordine per cui è quel valore e non altrimenti. L’ordine è un criterio quindi esprime una ragione a suo fondamento. Ogni cosa ha una ragione per cui si ordina così e non altrimenti. La ragione è l’ordine in sé delle cose: sovrasensibile e solo intellegibile. (cfr. Mondo 2016)

«Tutto si dà da una ragione e il ragionare può farsi a proposito di tutto, perché tutte le cose, avendo manifestato e scambiato il loro senso, ne lasciano accessibile il valore quindi di poter entrare nell’interiore coscienza di sé» (Ceravolo 2016, p. 33). La ragione è l’in sé delle cose, ciò da cui si ordina ogni apparire. Così se la percezione sensibile è l’immagine del mondo, la sua ragione è ciò per cui si dà tale immagine e, assieme, è la possibilità di conoscenza razionale del mondo stesso. (cfr. Mondo 2016)

A livello di immagine, i sensi tramite cui si percepisce il mondo lo percepiscono immediatamente in propria misura. Questi valori percepiti vengono poi trasportati mediatamente all’esperienza del soggetto tramite processi chimici e neurali. Talché i valori dell’oggetto giungono alterati all’immediata esperienza interna del soggetto, alterati dalla trasformazione di tutto il processo di acquisizione. Detta in altri termini: l’immediata percezione interna, per qualunque cosa percepita, avviene a seguito di una mediazione dei propri organi di percezione (es. udito) e/o di pensiero (es. cervello). Invertendo il discorso: tramite la varietà dei propri sensi, più esseri possono condividere un accesso percettivo ad un unico e identico oggetto. Un accesso percettivo a fenomeni pubblicamente descrivibili tramite un linguaggio pubblico che presuppone a sua volta un mondo pubblico (Searle 2005, p. 246: «Ciò implica che io e l’ascoltatore condividiamo un accesso percettivo a un unico e identico oggetto. […] Devo presupporre che entrambi vediamo, o percepiamo in qualche altro modo, lo stesso oggetto pubblico. […] Un linguaggio pubblico presuppone un mondo pubblico»). Da cui a sua volta quella ragione in sé dell’oggetto pubblico tramite cui ogni pubblico – meccanico, istintivo, cosciente – può averne accesso: la ragione in sé delle cose.

La ragione in sé dell’oggetto è uguale indipendentemente dall’osservatore pur variando fenomenicamente in misura della relazione con esso; lontanamente simile a come 1kg è lo stesso sia per il ferro che per la paglia benché la paglia abbia un volume maggiore: pesa di più un chilo di ferro o un chilo di paglia?; più ampiamente, benché quel chilogrammo possa sensibilmente variare relativamente alla «contrazione spazio-temporale»6 in atto.

E qui, tutto ciò che noi vediamo è l’apparire del mondo reale interiorizzato in noi tramite la mediazione dei nostri sensi. Vale a dire «ciò che, in effetti, percepiamo direttamente – […] senza la mediazione di qualche processo inferenziale – sono le nostre esperienze interne» (Searle 2005, p. 232) le quali constano dei valori degli oggetti interiorizzati in se stessi, in propria esperienza soggettiva, che è il proprio modo di vedere il mondo, la propria esperienza dei valori di quell’oggetto e non di quell’altro, in quell’ambiente di partecipazione e non in un altro. In una compresenza fra il proprio modo di vedere il mondo e il mondo.

Nel mondo, la possibilità che l’oggetto esista è la possibilità che più soggetti possano esperire quello stesso oggetto, benché col proprio modo di vedere, cioè benché ogni soggetto esperisca l’oggetto in propria misura. Da tale propria misura è possibile distinguere i valori che differenziano uno o l’altro oggetto, relativamente alle modificazioni che compiono sulla propria esperienza, semplicemente riconoscendo le differenze con cui ogni diverso oggetto colpisce i propri sensi. Quindi tenere la misura da una parte (a riposo) e il misurato dall’altra (le alterazione date dall’oggetto), identificando così i valori dei vari oggetti pur sotto la complessità dei propri sensi soggettivi. Anche se un metro (colui che misura) non potrà mai prescindere dalla propria personale misurazione, trovandosi così costretto a rincorrere l’oggettività (del misurato) tramite un valore neutro e uguale per tutti, una costante universale uguale in qualunque situazione, parimenti fuori di sé che dentro di sé e per la cui uguaglianza è indipendente dal soggetto e oggetto in esame, una costante di tipo “sistemico”. A livello fisico, conosciamo la luce come costante universale della velocità. A livello sistemico, qui parliamo della ragione come costante universale in sé d’ogni cosa; da cui una verità di ragione uguale per ogni.

7. Argomento della conoscenza

Davanti a tutta questa apparenza: il fatto che i nostri discorsi si possano attribuire con verità all’apparire è perché l’apparire si dà dalla ragione in sé per cui appare. Sino a giungere all’idea di una verità di ragione, con caratteri universali, e di una verità sensibile, con caratteri personali; senza contraddizioni fra verità (cfr. Verità 2017).

La ragione delle cose è astratta in forma sovrasensibile, ma viene elaborata (almeno consciamente) e comunicata dalla razionalità per via fenomenica: linguaggi, simboli, gesti, contestualizzazioni ecc. Questa comunicazione fenomenica non è sormontabile, non la si può spezzare: possiamo comunicare (anche con noi stessi) solo tramite ciò che sentiamo (sensibile: linguaggi, gesti, energie, telepatie ecc). E qui ragione e fenomeno non sono il medesimo valore, nonostante la ragione sia l’ordine astratto del concreto fatto fenomenico: la prima è sovrasensibile e solo intellegibile; il secondo è sensibile e solo percepibile. Cioè non vi è somiglianza diretta fra ragione e fenomeno, dacché ognuno è un modo diverso dello stesso: uno è il modo astratto che si deve a quel concreto; l’altro è il modo concreto che si deve a quell’astratto. Non vi è dunque corrispondenza d’identità fra ragione e fenomeno – repetita iuvant: nessuna similitudine diretta – solo adeguamento. Parimenti a come le mie parole sulla ragione non sono la ragione, ma vi si adeguano esprimendola in veritas quando ne rappresentano la realtà. La verità diventa una fede sull’adeguamento dell’astratto col concreto. E bisogna avere una convinta fede per credere vi sia adeguamento fra cose così diverse: ragione (astratto) e fenomeno (concreto). O ancora: tempo-spazio, parola-cosa ecc. Infatti badate bene: per principio non può esistere un vetro o specchio7 completamente immacolato tramite cui guardare l’in sé: l’in sé non ha alcuna immagine di sé poiché ogni immagine è un apparire. Così, nonostante la ragione in sé sia la costante uguale per ogni cosa, e la razionalità il mezzo con cui reificarla e comunicarla, ciononostante l’adeguamento dell’astratto (in sé) al concreto (fenomeno) ha un punto letteralmente cieco, un salto di fede mosso da un’amorevole certezza di verità. Detto più chiaramente: ogni sapere è un atto di fede poiché ogni sapere ha un punto dove si affida alla fede in ciò che non vede, per principio! (cfr. Mondo 2016).

8. Argomento del linguaggio

Si è detto di come la ragione sia la constante in sé dell’universo, uguale in ogni situazione, necessariamente anche davanti ai diversi linguaggi che la possono esprimere: l’interferenza dei linguaggi non altera le verità di ragione. Per esempio l’inglese house e l’italiano casa hanno lo stesso riferimento oggettuale, quindi si riferiscono allo stesso ordine, in ultimo, alla stessa ragione indipendentemente dal linguaggio. Indipendentemente anche dalle possibili sovrastrutture soggettive che si possono montare sopra a quel linguaggio e a quell’ordine oggettuale (es. the house is beautiful). Non importa neppure se non si possa mai raccontare completamente un oggetto o conoscere completamente cosa qualcun’altro pensa. Non importa, perché qui si sta dicendo un’altra cosa: ponendo i diversi linguaggi sullo stesso ordine del discorso, la stessa ragione può essere raccontata ugualmente da linguaggi diversi parimente tradotti (es. the house is beautiful = la casa è bella).

Se ora prendiamo le parole tramite cui il soggetto descrive le cose, diremo che se ogni parola ha un significato dipeso da una o l’altra risposta, e se ogni oggetto e portatore di una o l’altra risposta, allora la parola del soggetto può riferirsi all’oggetto: proprietà transitiva. Cioè la parola può riferirsi alla cosa, donde il significato si riferisca sia al mentale che al fisico e donde sia il mentale ad attribuire il significato ma il fisico ad avercelo. Il significato si riferisce immediatamente a come il soggetto percepisce l’oggetto, quindi in misura e realtà personale. Con l’aggiunta che se ogni parola compare sempre dentro un senso determinato, «cioè a partire da una modalità […] di frequentazione del mondo» (Sini 2016, p. 61), allora a partire da una frequentazione della ragione in sé è possibile conoscere anche la realtà universale, giacché il senso entro cui la parola ha valore è quello universale della ragione in sé. Ricapitoliamo: se la parola acquista significato all’interno del contesto in cui si esprime, e se si può passare da un contesto universale, frequentando la ragione in sé, a un contesto personale, frequentando il fenomeno, allora anche la parola, come ogni altro essere, è portatore assieme di caratteri individuali e universali, necessariamente. Cosicché il filosofo sia colui che, custode della parola, ne sappia evincere uno o l’altro uso a seconda del contesto, con l’abilità di orchestrare tanto il particolare quanto l’universale. Astraendoci si dice che il significato della parola diventa vero in questa specifica “atmosfera”: la realtà del mondo nel suo stabile absolutum (universale) e mutevole relatio (personale).

9. Argomento del divenire

Ciò che si dice e percepisce immediatamente della realtà è il suo divenire: il passaggio da uno stato all’altro. Ciò comporta che se ogni nostro conoscere, determinando delimita, e se il divenire scorre e determinandolo si fermerebbe, allora non si può in alcun caso conoscere il divenire ma solo gli stati del suo passaggio. Ove nulla diviene se non attraverso stati e dove “stato” e “divenire” non sono la stessa cosa:

  • Lo stato, cioè l’immobilità della posizione, è la fase sopra cui passa il divenire, costruendo mondi piuttosto che altri;

  • Il divenire, cioè la trasformazione del moto, è ciò che permane nel passaggio da uno stato all’altro, da un mondo all’altro.

Il divenire, col suo apparire fenomenico, si può sentire ma non letteralmente conoscere. Lo stato, con la sua ragione in sé, si può conoscere ma non letteralmente sentire. Si conosce null’altro che la ragione delle cose. Si sente null’altro che l’apparire delle cose. Legati, in dipendenza. Con questa particolarità: anche i fenomeni hanno la loro ragione, quindi si conosce anche la ragione del fenomeno mentre il fenomeno si può solo percepire. Ne ricaviamo due ambiti di studio: lo studio astratto e metafisico della ragione con la ragione e lo studio concreto e ontologico delle cose con la ragione; ma qui cadiamo in ambito di teoria della conoscenza trattata altrove, e non si può certo cadere più di una volta in un solo saggio.

10. Argomento della rivoluzione

Cadon meteoriti, sulla cattedrale filosofica, la fenice è sempre più bella. Si guarda allo specchio e come sempre: troverete poco di meritevole nel dire qualcosa di semplice, di più nel rendere semplici cose mai dette.8 E toccherete con mano: in questo salto paradigmatico i discorsi si muovono così semplici e accessibili da imbarazzare ogni elitaria classe autoproclamatasi detentrice di una conoscenza “oscura”. Mentre qui la semplicità è il segno di alta e angelica conoscenza tagliata q.b. da poetica come segno di profonda e carnale visione. Qui, il filosofo è il dono che rende accessibile ai molti la conoscenza anche delle cose oscure e più complesse. Ma non abbiamo illusioni di sorta, o di spegnere l’intero scibile con questa goccia (articolo) gettata sul fuoco della conoscenza, solo l’ardire di minare la Filosofia per dare spazio a un’evoluzione del pensiero, una nuova specie (cfr. Mondo 2016).

Bibliografia finale

V. Ceravolo, Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, ed. Il Prato, Saonara (PD) 2016.

ID. Verità. Unione fra realismo e costruttivismo, in «Azioni parallele» 03 febbraio 2017.

ID. Teoremi di coerenza e completezza. Epimenide, Gödel, Hofstadter, in «Filosofia e nuovi sentieri» 14 maggio 2017.

A. Damasio, Alla ricerca di Spinosa. Emozioni, sentimenti e cervello, ed. Adelphi, Milano 2004.

A. Gentile, Le percezioni oscure e l’appercezione trascendentale in Leibniz e Kant, ed. If Press, Roma 2016.

Platone, Parmenide.

J.R. Searle, La mente, ed. Raffaello Cortina, Milano 2005.

C. Sini, Inizio, ed. Jaca Book, Milano 2016.

G. Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero, ed. Garzanti, Milano 2007.

* Vito J. Ceravolo, classe 1978, è ricercatore indipendente. Autore di Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, ed. Il Prato, Collana Cento Talleri, Saonara (PD) dicembre 2016, secondo al Premio Nazionale di Filosofia 2017 (Certaldo); Verità. Unione fra realismo e costruttivismo, in «Azioni Parallele» 03 febbraio 2017; Teoremi di coerenza e completezza. Epimenide, Gödel, Hofstadter, in «Filosofia e nuovi sentieri» 14 maggio 2017.

Note

1 Hegel diceva che non si può togliere dalla parola l’universale, a cui si aggiunge che non le si può togliere neanche il particolare.

2 Confronta cap. 1 differenza fra oggetti (meccanici, istintivi, mentali) e soggetti (reagenti, viventi, pensanti). Qui alle “cose” vengono attribuiti i caratteri dell’oggetto, mentre ai “sensi” i caratteri del soggetto. Questo schema è ricorsivo: si ripete per il sistema. Ciò non toglie che si possano prediligere parole diverse da quelle usate (es. qualcuno potrebbe preferire per le cose il termine “biologico” a “istintivo”) o distinguerle ulteriormente (es. qualcuno potrebbe preferire chiamare sensi solo quelli viventi), il che non cambierebbe nulla nello schema, al più nel contenuto semantico.

3 Questo principio è completato su Platone, Parm. 131b: «[l’idea], pur essendo una e identica, sarà al tempo stesso insita nella sua interezza in molti oggetti che sono separati e così essa stessa verrà ad essere separata da se stessa». Immemore che i molti sono uniti nello stesso.

4 Rotola per necessità logico-linguistica e fattuale l’assioma kantiano per il quale la «realtà», qualsiasi cosa essa sia, è inaccessibile. Kant parla di una realtà in sé facilmente declinabile in “etere”: non necessaria alla descrizione delle cose. Ma il fenomeno come luogo di conoscenza, di fatto apparendo, necessità di una realtà in sé da cui apparire, quindi di un valore da cui apparire, quindi un valore che, in quanto tale, è di principio accessibile.

5 D. Bohm: la struttura complessiva è identificabile in ogni sua singola parte.

6 La contrazione di Lorenz sta alla base della relatività di Einstein ed è ciò per cui, sotto uno dei suoi tanti aspetti, maggiore è la velocità di un corpo e minore è lo spazio che occupa.

7 Il vetro rappresenta il realismo o empirismo sensoriale, cioè l’idea che esista un «là fuori», e voi a guardarlo dalla finestra. Lo specchio rappresenta un’epistemologia la cui unica fonte verificabile è il proprio pensiero, e voi a guardare dentro sé.

8Non si nega che alcune innovazioni qui poste possano essere state già dette e pensate anche da «semianalfabeti, da infermi o perfino da handicappati mentali» (Steiner 2007, p. 69) e di sicuro il mio panettiere direbbe che alcune cose non gli sono affatto estranee. Si dice solo che la sistematizzazione delle stesse, cioè il loro incorporamento all’interno di un sistema che le sostiene e presenta, è qui che accade per la prima volta, o al più nel mio libro di riferimento.

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