“…egli è quasi giunto all’eternità prima del tempo.”
S. Kierkegaard, Aut Aut.
In “Passato, perfectum”, capitolo VI di Destino della Necessità, Emanuele Severino parla del “ricordo” come ri-apparire di ciò che precedentemente era già apparso. Ma è davvero così? Cosa accadrebbe se, in questa ontologia basata sul principio di identità e differenza, un ricordo avesse per contenuto un ricordato mai apparso come passato? Qual è la natura del ricordare e perché si può parlare anche di “falsi ricordi”, come vengono oggi chiamati dalla psicologia e dalla scienza moderna?
Il ricordare ha in sé il carattere del rimandare-a. Ma questo rimando-a dovrebbe rimandare a qualcosa che non è più attestabile per come esso fu. Attenzione: certo non possiamo dire, ancora, che questo “che-fu” è ora un nulla: di fatto appare come non-apparente-nel-modo-dell’ora, poiché appare nel modo del che-fu proprio nel ricordo: questo che-fu è un presente, ma è tale, attestabile, solamente nel ricordo. «…su quale base si può affermare che il passato appariva secondo la stessa modalità secondo cui appare il presente […]?» (E. Severino, Destino della Necessità (Passato, perfectum), p. 198, Adelphi, Terza Edizione 2010) Tale “che-fu” è dunque un “prima”, ed è tale in sé, poiché sopraggiunge un “poi”.«Il sopraggiungere può apparire come tale […] solo in quanto appare il <<prima>> rispetto al quale il <<poi>> è un <<poi>>. […] e dunque solo in quanto qualcosa del <<prima>> continua ad apparire, cioè a permanere» (Ibidem, p. 198).
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