Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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La “circostanza” di Ortega e la “situazione” di Sartre

Fabio Laiso*

La filosofia di Ortega y Gasset è comunemente definita razional-vitalismo o della ragion vitale, facendo coesistere in un’unica formula due termini che prima facie ci sembrano del tutto inconciliabili. L’assunto di partenza della gnoseologia proposta dal filosofo spagnolo è che ogni atto di coscienza sia irriducibile a qualsiasi riflessione; l’oggetto che io percepisco non è identico a se stesso nell’atto della riflessione, per essere colto autenticamente dovrò afferrarlo solo nella sua “esecutività”. Nel passaggio tra udire un suono e sentire di udire un suono, quel suono non è più il medesimo ma è come se subisse l’influenza del Me, facendosi non più un suono tra tutti quelli che compongono la polifonica sinfonia del mondo, ma irrimediabilmente il mio suono. Se cerco l’essenza di quel suono tendo a separarlo dal Me che ascolta; per converso, se mi rivolgo al pensiero del suono per poterlo conoscere lo separo dal mondo che lo ha generato. Come uscire da quest’aporia che da più di duemila anni attanaglia la filosofia? Continua a leggere


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Alberto Cavaglion e gli anagrammi di Libertà (‘Devoti di Mnemosyne’)

> di Giuseppe Brescia *

 

Alberto Cavaglion, studioso piemontese degli ebrei modernizzanti, del modernismo di Ernesto Buonaiuti, del tragico momento vissuto in Italia con la promulgazione delle leggi razziali e il contrastato ritorno alla ‘normalità’, come degli ebrei di area ferrarese (Giorgio Bassani e Max Ascoli su tutti), nonché allievo dell’Istituto Croce e autore dell’importante Nati con la libertà (L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2012), si segnala per la felice individuazione di anagrammi, formati sulla base di nomi e cognomi personali. In incontri su Ferrara e Torino, che hanno visto lo scambio di saggi di comune interesse, scambio proseguito in colloquio per via telematica, lo storico mi proponeva un suo  primo, ed efficace, anagramma: “Vana Libertà Colgo!” (proprio da “Alberto Cavaglion”, con evidente allusione alla difficoltà del reintegro accademico o istituzionale, subìta tra gli altri dal fine critico Attilio Momigliano). Alla comunicazione di cotanto anagramma, risposi – dopo averci riflettuto un attimo – con il mio risultato di gradimento, alludendo alla comune ed estesa dottrina: “Cugi’ Barese, Seppi!” (da “Giuseppe Brescia”).  Continua a leggere


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Semeiotica esistenziale e disvelamento del Novecento in “Addio alle armi” (E. Hemingway)

>Giuseppe A. Perri*

1. In uno dei finali più desolanti della storia della letteratura, Hemingway fa dire al protagonista di Addio alle Armi nell’accomiatarsi in ospedale dal corpo della sua donna morta di parto: «fu come salutare una statua». Si tratta di uno dei segni di cui è disseminato il romanzo e che il protagonista segnala al lettore più volte, seccamente ma consapevolmente, mettendolo al corrente della sua progressiva decifrazione del mondo. Lo stesso Hemingway aveva detto che Addio alle armi era la descrizione dell’educazione sentimentale del protagonista e, anche se non aveva amato l’omonimo romanzo di Flaubert (Cfr. Ben Stoltzfus, Hemingway and French Writers, Kent, Ohio, 2012, p. XVII. Anche se Hemingway inserì quest’opera nell’elenco dei libri che ogni scrittore dovrebbe leggere, redatto nel 1935), nella lista dei possibili titoli del romanzo c’era anche un ipotetico «L’educazione sentimentale di Frederic Henry» (Nella III Appendice dell’edizione critica dell’opera, uscita nel 2012 nella The Hemingway Library Edition, sono riportati tutte le ipotesi di titolazione contenuti in un manoscritto dell’autore; E. Hemingway, A Farewell to Arms, New York 2012, p. 324). Continua a leggere


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Filosofia della precarietà del filosofo odierno. Recensione di ‘Filosofia precaria’ di G. Stamboulis

>Francesco Brusori*

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(G. Stamboulis, Filosofia precaria, il Vicolo, Cesena 2017)

Il saggio di Giorgio Stamboulis introduce subito un quesito stringente, che richiede un ingresso ex abrupto del cogito:«cos’è oggi la filosofia?» (p. 13). E altrettanto violentemente si scarica la risposta: «una grande assenza» (ibid.). Infatti sembra che eminentemente ‘contemporaneo’ sia il problema della filosofia, ovvero il fatto che la filosofia stessa costituisca una grande problematica.
Seguendo l’autore, è evidente che lo status proprio della filosofia versi in una condizione critica. Essa, oggigiorno, si presenterebbe quasi del tutto schiacciata dall’immane peso del suo aulico passato e pronta a soccombere dinnanzi all’orizzonte futuro. Forse perché d’altronde un sapere troppo vasto annienta con la stessa naturalità con cui una tradizione troppo venerabile finisce per immobilizzare ogni intento. In una tale situazione non resta che il naufragio. O meglio: di fronte alla grandezza vincolante del trascorso, risulta – per parafrasare un celebre verso di G. Leopardi – «dolce il naufragar» nel mare magnum dell’avvenire, nel quale però si penetra senza alcuna guida capace di indicare la via nel nuovo stato di cose. E la perdizione della coscienza filosofica non può che avvenire nella persona del filosofo. Continua a leggere