Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Linguaggio e noumeno – Seconda parte

> di Vito J. Ceravolo

 

 

8. Linguaggio universale e particolare

Hegel dice: «non puoi togliere l’universale alla parola» come non le puoi togliere il particolare. Allora con “muro” posso parlare di quel particolare muro oppure di tutti i muri, a seconda del contesto linguistico in cui rapporto la parola.

[15] Il linguaggio ha la possibilità di accedere sia a descrizioni particolari che a descrizioni universali tramite la medesima parola posta in rapporti diversi.

Esempi:

  • “Io” indica universalmente i suoi soggetti mittenti, particolarmente ne indica uno;
  • “Questo” indica universalmente l’oggetto vicino a chi lo indica, particolarmente indica quel particolare oggetto vicino a quel particolare indicatore;
  • “Qui” indica universalmente il luogo preciso e vicino indicato dal mittente del “qui”, particolarmente indica quel particolare luogo preciso e vicino indicato da quel particolare mittente del “qui”;
  • “Adesso” indica universalmente i tempi presenti, particolarmente indica il presente di qualcuno.

Abbiamo preso questi esempi da Wittgenstein (n.410) non solo per detrarlo dal suo scetticismo, ma per mostrare come l’universalità della parola è possibile anche dove la stessa, per essere appresa senza vacuità, oltre al (I) contesto linguistico in cui viene emessa e al (II) significato convenzionale che ne deriva,[1] necessità anche di elementi extralinguistici. Questi ultimi casi sono le espressioni deittiche (o indicali) che richiedono anche di (III) sapere chi le emette, come per gli indicali puri (es. “io”, “mio”), o di (IV) avere un gesto ostensivo di riferimento, come per i dimostrativi puri (es. “questo”, “là”), o di conoscere lo spazio-tempo di emissione (es. “oggi”).[2]

In generale diciamo che tutte le parole per essere apprese senza vacuità necessitano di essere rilevate nel contesto linguistico che ne determina il significato convenzionale, alcune parole necessitano anche di un contesto extralinguistico, cioè di sapere chi le emette o lo spazio-tempo di emissione o un gesto ostensivo di riferimento.

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Linguaggio e noumeno – Prima parte

> di Vito J. Ceravolo

 

«Si potrebbe fissare un prezzo per i pensieri.
Alcuni costano molto altri meno.
E con che cosa si pagano i pensieri?
Io credo così: con il coraggio.»
Wittgenstein

 

Introduzione (cfr. Mondo 2016, Dieci argomenti di filosofia 2017)

Poniamo la ragione come in sé (noumeno). Essa invisibile risponde alle caratteristiche proprie del noumeno[1]: «non percepibile, sovrasensibile, non misurabile fisicamente in maniera diretta, solo intelligibile». Essa è il mondo metafisico, non rilevabile dalle scienze naturali se non nelle sue conseguenze fisiche, appunto perché le precede. Un concetto metafisico ben lungi da quello aspramente contestato, senza duplicazioni di realtà, ma con un’unica realtà costituita da un ordine sovrasensibile e corrispettivo ordine sensibile.

La ragione in sé (noumeno) delle cose non è da confondersi con la razionalità umana (pensiero) che è invece lo strumento astratto di accesso a questo mondo astratto esclusivamente intelligibile della ragione. Abbiamo quindi questo in sé, la ragione, e lo strumento per accedervi, la razionalità. Come in sé la ragione ha il carattere dell’universalità, quindi della costante universale uguale indipendentemente da chi la emette e riceve, una verità di ragione uguale per ogni. Su questo sfondo concettuale delineiamo il nostro fine linguistico: osserviamo come le differenze fenomeniche dei linguaggi non alterano le ragioni in sé che comunicano.

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Unificazione generale della logica, classica e non-classica

>di Vito j. Ceravolo*

Introduzione

Facciamo una passeggiata su modi originali di condurre il pensiero. La meta è giungere dove la logica classica e quella non-classica si fondono sotto il principio di non contraddizione. Quindi il loro ricondursi al medesimo assioma, il medesimo rigore a cui rispondere e, più in là, la loro possibilità di dimostrazione. Proseguiamo col trattare alcuni aspetti della verità, del linguaggio, della matematica e dell’esistenza atti a stabilizzare alcune logiche (sfumata, paraconsistente, intuizionistica, mereologica, libera, quantistica) sotto questo tertium non datur. Chiudiamo col dettaglio del codice logico.

L’articolo è un’introduzione al processo di unificazione logica, un’illustrazione dei suoi elementi portanti.

Critica filosofica: questa filosofia succede alla post-verità della nientità per mostrare la verità dell’entità, sia dell’in sé che del fenomeno, cioè la possibilità di accesso a verità universali e personali. In questo senso le forme si annoverano fra gli elementi capitali; e benché sovente la filosofia post-verità neghi la formalità per lasciar spazio al libero spirito, a questa si ricorda tosti come lo spirito, sia quel che sia (a=a), non ha certo il contenuto della materia, e di come pure la libertà esiste per date condizioni. Ossia anche i filosofi post-verità assumono forme nei loro discorsi, alcune addirittura ricorsive: non di meno farò io in questa breve passeggiata, benché qui il sottofondo filosofico sia di verità e senso, quindi scevro da contraddizioni formali e materiali. Continua a leggere


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Il senso dell’esistenza. Per un nuovo realismo ontologico. Markus Gabriel e il realismo

> di Stefano Santasilia

Nel dibattito sul ritorno del realismo e sul nuovo realismo (nato, in Italia, “sotto le direttive” dell’oramai arcinoto Maurizio Ferraris), il testo di Gabriel si colloca come un momento di riflessione acuto e significativo. Difatti la riflessione del giovane filosofo tedesco non vuole porsi come un ritorno ad una forma di realismo dura, contrapposta semplicemente ad un possibile estremo costruttivismo. La questione è, più che altro, quella di riuscire a mostrare come non vi sia opposizione alcuna tra la condizione dell’immaginario e quella della conoscenza del mondo così com’è (considerando che tale conoscenza pur basandosi su presupposti immediati non si dà certo come diretta e scevra da precomprensione).
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Due tesi sulle parole – Parte I

> di Ezio Saia*

Nell’articolo recentemente pubblicato su Filosofia e nuovi sentieri in cui viene recensito un saggio di Sergio Givone si afferma che nello sviluppo storico del pensiero filosofico occidentale c’è un concetto che è stato per lo più rimosso, sottaciuto o addirittura negato: il nulla. Che il nulla sia il grande dimenticato mi pare affermazione paradossale, ma non voglio discutere questa affermazione. Vorrei invece svolgere il mio commento discutendo di espressioni, che come “nulla”, hanno ambiguità di riferimento.

In un suo articolo del 1932 (Uberwindung der Metaphysik durch logische Analyse der Sprache) Rudolf Carnap polemizza contro la metafisica e contro quelle espressioni che. non avendo alcun riferimento empirico o all’empiria riconducibile, assumono giocoforza significato metafisico. Nell’articolo il bersaglio polemico è soprattutto l’uso del termine “nulla” in Heidegger di cui Carnap cita un passo estratto dal saggio Cos’è la metafisica? del 1929: «indagato dev’essere l’ente soltanto e – null’altro; l’ente solamente e inoltre – nulla; l’ente unicamente oltre a ciò – nulla. Come sta la cosa con questo nulla? … esiste il nulla solo perché c’è il Non, ossia la Negazione? O forse la cosa sta inversamente? Esiste la negazione e il Non esiste solo perché c’è il nulla?» [1].

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