> di Paolo Calabrò

Andate in camera e prendete il vostro diario segreto di sempre. Sì, quello che scrivete (o quello che avreste voluto scrivere, sì, va bene lo stesso) da quarant’anni, forse più. Dove annotate tutto quello che vi passa per la testa, senza riflessione, senza censura, senza misura. Sì, quello segreto, appunto. Niente paura, non dico niente a nessuno. Preso? Bene. Ora rileggetelo. Tutto, dall’inizio alla fine, pagina dopo pagina, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Nemmeno ricordate di aver scritto quelle cose? Non mi stupisce. Pensandoci, col senno di poi, quasi sicuramente non le scrivereste? Non vedo perché non dovrei credervi. In gran parte non vi credevate nemmeno quando le avete scritte, ma la rabbia, o un secondo fine inespresso, o ancora la semplice abitudine a ripetere luoghi comuni e convinzioni altrui, forse perfino il gusto del “dagli all’untore”, o più semplicemente del darvi un contegno ai vostri stessi occhi (era più facile che farlo di persona con l’amica o con l’amico… come darvi torto).
Rilassatevi, non mi dovete nessuna spiegazione. Oltretutto, chi più chi meno, siamo tutti sulla stessa barca. Ma il vostro problema non sono io, ahimé: è la vostra cuginetta d’un tempo, che legge queste cose e non vi riconosce; è la vostra collega che inorridisce di fronte a certe espressioni (un po’ è anche l’esigenza di rispettare il personaggio e il dettato sociale); è vostra moglie, o vostro padre, che più vanno avanti… e meno gli sembra di riconoscervi. Continua a leggere →