Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

L’UBIQUITÀ DEL TEMPO NEL CINEMA

3 commenti

>di Giovanni Mazzallo*

Non è possibile avere esperienza del tempo nella sua essenza oggettiva (nella sua totalità universale) in quanto ogni soggetto conoscente vive e concepisce il tempo in conformità con la propria esistenza soggettiva che fa sì che esso non possa più essere appreso nella sua indipendente oggettività perché inevitabilmente “soggettificato”. Il tempo è relativo al soggetto e dipende dalla sua interpretazione singolare di esso. Il tempo regola la propria universalità in base ai diversi soggetti conoscenti parcellizzandosi (particolarizzandosi) così da assumere forme, modi e significati che differiscono di soggetto in soggetto; ogni soggetto interpreta il mondo, la vita e se stesso sulla base del tempo storico-idiografico che vive e del modo in cui lo esperisce così che il tempo diviene al contempo (dalla dimensione temporale unica che è) più tempi (più manifestazioni di sé) che rappresentano altrettante dimensionalità esistenziali uniche ed irripetibili per ogni singolo soggetto.

Tali dimensionalità derivano dalla dimensione fisica unitaria del tempo che, a partire dalla sua oggettività essenziale, si relativizza alla soggettività esistenziale. L’unitarietà fisico-oggettiva originaria del tempo non può essere carpita perché del tempo non si può fornire una connotazione materializzata che lo possa definire in modo univoco ed inequivocabile, non è possibile “oggettificare” il tempo. Il tempo non è rappresentato da un oggetto (non esiste un oggetto di cui si possa dire che “è” il tempo), non è reificabile, non si reperisce fra i comuni oggetti della quotidianità come una penna od una sedia. Del tempo non esiste oggetto perché il tempo è gli oggetti stessi, il tempo è ogni ente e fenomeno, il tempo è l’esistenza, il tempo è l’universo fisico giacché esso è in ogni forma di esistenza (l’esistenza non si avrebbe senza il tempo) ed è pertanto la struttura che realizza il dispiegamento della realtà fisica. Tale struttura è lo spazio-tempo che si articola fra il continuum relativistico macroscopico ed il discretum quantistico microscopico, il tempo origina lo spazio (Cfr. Tal S. Shamir, Cinematic philosophy, Palgrave Macmillan, 2016, pp. 37, 117). Il tempo non è rappresentato dagli oggetti, dagli enti e dai fenomeni perché esso li rappresenta in primis (essendone la causa fondamentale), dalla dimensione tempo unica ed universale si ramifica il cosmo nella sua infinita diversità; si creano dunque più tempi in relazione ai vari soggetti conoscenti, enti e fenomeni.

La persistenza della memoria di Salvador Dalì (1931) raffigura il tempo come esperienza singolare (ossia connotata soggettivamente) scevra dalla sua oggettività fisica perché introiettata dalla percezione per cui il tempo è l’essenza della weltanschauung (“visione del mondo”) e dell’identità

Il tempo (imperscrutabile nella sua strutturalità oggettiva in cui risiede il principio di tutto) si rivela solo come flusso (il divenire, il cambiamento) nella materialità: la materia è la forma fenomenica del tempo in cui esso si concretizza fisicizzando la sua noumenica meta-fisicità strutturale. L’essenza causale (strutturale) del tempo non può essere compresa perché l’unità della dimensione temporale si parcellizza, nessun oggetto, nessun ente, nessun fenomeno è il tempo perché sono tutti manifestazioni (atomi) di tempo. La materializzazione del tempo (il formarsi e il divenire della materia) significa la possibilità di comprendere la sola essenza effettuale del tempo: il tempo è l’essenza oggettiva dell’esistenza fisica (quindi anche della soggettività), l’oggetto noumenico (il tempo) genera il soggetto. Il tempo è la res (la materia) non reificabile, l’oggettività (non concepibile nella sua indipendenza strutturale) da cui sorge la soggettività (il tempo è necessariamente “soggettificato”), l’essenza causale che dà origine all’esistenza fisica da cui si ricava la sua essenza effettuale; la materia esiste in quanto esiste il divenire, ossia l’essenza temporale esistente nella sua oggettività strutturale che si fenomenicizza nella realtà fisica. Il cinema permette di cogliere le dinamiche temporali che al singolo soggetto conoscente sono precluse attraverso la possibilità di collegare i diversi tempi che variano di persona in persona (di situazione in situazione) restituendo quei dettagli che nel tempo sincronico vissuto dal soggetto (ossia il tempo esperito nella sua immediatezza istantanea del presente) non possono essere conosciuti: quanto caratterizza il tempo vissuto dagli altri soggetti, ossia le loro esperienze, le loro visioni, il loro passato, i pensieri costituenti la loro interiorità (Cfr. Jerry Goodenough, A philosopher goes to the cinema in Film as philosophy: essays in cinema after Wittgenstein and Cavell a cura di Rupert Read e Jerry Goodenough, Palgrave Macmillan, 2005, pp. 14-20). Il tempo del cinema è un tempo diacronico che trascende i limiti della temporalità del presente soggettivo estendendosi anche lungo il passato e nel presente delle diverse soggettività e delle diverse situazioni e rompendo l’unità aristotelica di tempo, luogo ed azione; ciò dimostra la frammentazione della dimensione unica strutturale del tempo in relazione all’esistenza fisica (Cfr. Felicity Colman, What is film-philosophy? in Film, theory and philosophy: the key thinkers a cura di Felicity Colman, McGill-Queen’s University Press, 2009, pp. 9-11).

La dimensione temporale è il fondamento in sé meta-fisico (ineffabile ed invisibile) delle dinamiche dell’universo che si manifesta nelle meccaniche fisico-ontologiche (negli enti e nei fenomeni naturali che sono la materializzazione del tempo come flusso, nell’esistenza il tempo si disvela)

Il cinema congiunge i tempi soggettivi relativi (il corrispettivo in fisica è dato dai sistemi di riferimento tipici della relatività speciale e generale einsteiniana) e rende visibile la diacronicità temporale in cui si rileva che il passato ed il presente sono uniti (mediante la materializzazione nel suo divenire) in quanto medesima istanziazione del fluire del tempo differenziato nelle sue qualificazioni dal nesso di causalità determinante l’orizzonte del futuro temporale: nei tempi sincronici il tempo scorre nei soggetti che lo definiscono (endurantismo); i tempi cinematografici sono invece tempi diacronici che (in virtù del montaggio) mostrano che i soggetti scorrono nel tempo che (nella sua identità strutturale) li definisce come un continuo di parti temporali componenti l’identità personale nel tempo diacronico (perdurantismo, il tempo della persona e della realtà fisica). L’esistenza delle parti temporali è provata dalla natura stessa del tempo poiché esso è disseminato in ogni fenomeno fisico ed in ogni situazione esistenziale che fanno del soggetto ciò che è in ogni singolo istante della sua esistenza (del suo perdurare nel tempo) che lo contraddistingue (in relazione ai singoli attimi, ai diversi periodi, alle diverse fasi della vita) in modo irreversibile e non replicabile nell’unità della sua identità (l’identità personale è data dall’identità del tempo, dall’unione delle singole diverse parti temporali perduranti temporalmente) (Cfr. Nathan Andersen, Shadow philosophy: Plato’s cave and cinema, Routledge, 2014, pp. 49, 87, 111). In Marty, vita di un timido (1955) diviene possibile conoscere la vera identità dei due protagonisti (un uomo e una donna soli, tristi ed in cerca dell’amore) quando essi raccontano l’uno all’altra la storia della propria vita dall’infanzia al presente; il rivelarsi del tempo da loro vissuto li astrae dal loro contesto temporale presente restituendoli nell’autenticità dei pensieri, dei sentimenti e dei fatti costituenti la loro identità temporalmente perdurante. L’Io e il Tu si conoscono nella loro diversità e si fondono nella loro analogia data dalle esperienze avute nel tempo. La natura del tempo è ubiqua: è in ogni dove, è in ogni quando, è l’essenza che causa l’esistenza, è in ogni forma di essere e di esistenza, è materia non reificabile nella sua strutturalità noumenica. Il cinema (col montaggio delle parti temporali) proietta il panorama delle parti temporali, del tempo disseminato.

Marty, vita di un timido (1955) è la storia di due anime solitarie che si riconoscono nella loro affinità quando scoprono l’uno nell’altra lo specchio della propria sensibilità condividendo il racconto della loro vita

BIBLIOGRAFIA

Film as philosophy: essays in cinema after Wittgenstein and Cavell a cura di Rupert Read e Jerry Goodenough, Palgrave Macmillan, 2005

Film, theory and philosophy: the key thinkers a cura di Felicity Colman, McGill-Queen’s University Press, 2009

Nathan Andersen, Shadow philosophy: Plato’s cave and cinema, Routledge, 2014

Tal S. Shamir, Cinematic philosophy, Palgrave Macmillan, 2016

ABSTRACT

Nel presente saggio (scritto nel febbraio 2018) espongo una riflessione sul significato onto-epistemico della dimensione temporale in relazione all’esperienza cinematografica.

BIOGRAFIA

Dottorando di ricerca presso la Scuola di Alta Formazione Dottorale dell’Università degli Studi di Bergamo in Filosofia e storia della scienza. Laureato magistrale all’Università di Catania in Filosofia della scienza (Filosofia della matematica) e laureato magistrale alla Scuola Superiore di Catania in Filosofia della fisica. Scrive soggetti, trattamenti e sceneggiature per lungometraggi ed opere seriali destinati al cinema ed alla tv. Si occupa di filosofia della scienza, logica, filosofia della fisica e storia-critica-filosofia del cinema.

3 thoughts on “L’UBIQUITÀ DEL TEMPO NEL CINEMA

  1. Salve, ciò che lei scrive ricalca ciò che pubblicai  in giugno 2020 (scritto prima, ma ora non ricordo quando):
    Cap. 3. Causa spazio-temporale 
    https://filosofiaenuovisentieri.com/2020/06/21/dalla-sincronicita-di-jung-allentanglement-quantistico-per-un-modello-causale-di-connessione-locale-e-non-locale-di-tipo-naturale-e-psichico-prima-parte/
    –  “Il tempo come noumeno e lo spazio come fisica”;
    –  Lo spazio dei corpi, con la loro causalità sensibile, e il tempo delle ragioni, con la loro causalità sovrasensibile;
    – “Il noumeno a causa sovrasensibile dell’ordine fenomenico sensibile”;
    Etc.
    Lei invece scrive questo, senza alcun riferimento e citazione:
    “La dimensione temporale è il fondamento in sé meta-fisico (ineffabile ed invisibile) delle dinamiche dell’universo che si manifesta nelle meccaniche fisico-ontologiche (negli enti e nei fenomeni naturali che sono la materializzazione del tempo come flusso, nell’esistenza il tempo si disvela)”.
    E lei scrive anche questo senza alcun riferimento e citazione: 
    “il tempo è l’essenza oggettiva dell’esistenza fisica (quindi anche della soggettività), l’oggetto noumenico (il tempo) genera il soggetto.”
    “[Il tempo è] l’essenza causale che dà origine all’esistenza fisica da cui si ricava la sua essenza effettuale”
    “Il tempo […] è l’essenza che causa l’esistenza”.
    Data la mancanza di citazioni e riferimenti, deve sapere che questi suoi passaggi appena riportati, sono una ripetizione della mia filosofia, sono alcuni dei tratti caratteristici e distintivi della mia filosofia, e non mi risulta esistano prima di me:
    “tempo-noumeno-ragione che interconette e ordina ogni parte della realtà, quindi mediatamente dimostrabile dalle sue conseguenze fenomeniche nello spazio”.
    (Es. “Mondo. Strutture portanti”, ed. Il Prato 2016, 3.22. Spazio-temporale dell’essere)
    Queste forme sono diverse dal nichilismo, squarciano i limiti kantiani, e sono anche un’evoluzione delle attuali interpretazioni fisiche e scientifiche. Mi sconcerta non vedermi. Per questo sto cercando di capire… sembra una mancanza di confronto storico.

    • Buongiorno,
      sono l’autore del saggio. Le rispondo brevemente:

      1) Questo saggio è stato scritto nel febbraio 2018 (pubblicato nel dicembre 2021), è scritto chiaramente nell’abstract

      2) Non ho mai letto niente di suo (nessuno dei suoi articoli), perciò non conosco gli argomenti che tratta né ciò che ha scritto

      3) Tutto ciò che scrivo è frutto di mie riflessioni originali ed autentiche (effettuate nelle discipline di cui mi occupo), gli autori e i testi da me consultati sono fedelmente riportati in tutte le mie pubblicazioni

  2. Buongiorno,
    sono l’autore del saggio. Le rispondo brevemente:

    1) Questo saggio è stato scritto nel febbraio 2018 (pubblicato nel dicembre 2021), è scritto chiaramente nell’abstract

    2) Non ho mai letto niente di suo (nessuno dei suoi articoli), perciò non conosco gli argomenti che tratta né ciò che ha scritto

    3) Tutto ciò che scrivo è frutto di mie riflessioni originali ed autentiche (effettuate nelle discipline di cui mi occupo), gli autori e i testi da me consultati sono fedelmente riportati in tutte le mie pubblicazioni

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