Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

I fondamenti dell’epistemologia poincariana ne “La scienza e l’ipotesi” – PARTE II

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forza> di Giovanni Mazzallo*

4. La forza

La meccanica per Poincaré, pur avendo base dichiaratamente sperimentale (come prescritto dagli Inglesi) e non essendo una scienza deduttiva e a-priori (come sostenuto dagli europei continentali), risente ugualmente dello stesso carattere di convenzionalità caratterizzante la geometria benché in modo sostanzialmente differente.

Il carattere definizionale delle terminologia scientifica della meccanica (forza, massa, accelerazione, inerzia, etc…) ha chiaramente natura convenzionale (le convenzioni sono definizioni travestite in Poincaré), ma tale convenzionalità si mostra diametralmente opposta a quella presente nella geometria; se in geometria le convenzioni sono libere e, allo stesso tempo, arbitrarie (ognuno può scegliere i propri assiomi liberamente senza alcun criterio di riferimento essenziale che ne determini la verità e la validità), per cui si possono costruire, come mostrato da Poincaré, mondi fantastici e immaginari all’inverosimile senza limitazioni (dato che la geometria risulta essere una creatura, una creazione puramente convenzionale), in meccanica, invece, le convenzioni sono altrettanto libere non perché basate su un antecedente presupposto di arbitrarietà già concessa a-priori, ma perché basate su dati sperimentali che comprovano la validità delle ipotesi avanzate in merito ad un determinato oggetto studiato e, pertanto, convalidano l’adozione di una definizione particolare adatta a descrivere pienamente quel dato fenomeno indagato. Pertanto, la libertà di tali convenzioni non è data dall’arbitrarietà, ma dalla vastità dei fenomeni la cui verifica delle ipotesi permette di adottare liberamente una definizione piuttosto che un’altra per meglio spiegare un certo fenomeno fisico.

L’unico modo per cui un dato principio non può risultare che meramente apparente è dato dal reperimento di un esperimento (o di un alternativo fenomeno fisico) che provi una deviazione rispetto all’indagine precedente; laddove, nel caso della geometria, tale problema neanche si pone dato che non c’è alcun criterio discriminativo di validità e verità fra le diverse geometrie (data la loro pura convenzionalità), mentre, nel caso della meccanica (data la sua base sperimentale e non puramente convenzionale in senso arbitrario), la differenza fondamentale è segnata dall’empiria rilevata sperimentalmente. «I principi della dinamica ci apparivano, in principio, come verità sperimentali. Ma siamo stati obbligati ad impiegarli come definizioni. È per definizione che la forza è uguale al prodotto della massa per l’accelerazione. Ecco un principio posto ormai al di fuori degli attacchi di ogni altra ulteriore esperienza. Ed è ancora per definizione che l’azione è uguale alla reazione (Ivi, p. 119).» Dato che non è possibile verificare sperimentalmente a livello universale i principi della meccanica (poiché gli esperimenti possono essere condotti solo in sistemi fisici locali), ci si potrebbe domandare che senso abbia studiare tali principi se non sono pienamente verificabili e non offrono ulteriori insegnamenti in merito alla costituzione fisica dell’universo. «Una condanna troppo rapida sarebbe ingiusta.

Non esistono in natura sistemi perfettamente isolati, perfettamente sottratti ad ogni azione esterna. Ma ci sono sistemi pressoché isolati. Se si osserva un simile sistema, si può studiare non solo il movimento relativo delle sue diverse parti l’una in rapporto all’altra, ma il movimento del suo centro di gravità in rapporto alle altre parti dell’universo. Si constata allora che il movimento del centro di gravità è pressoché rettilineo ed uniforme, conformemente alla terza legge di Newton. Questa è una verità sperimentale, ma non potrà essere infirmata dall’esperienza. Infatti, che cosa ci insegnerebbe un’esperienza più esatta? Ci insegnerebbe che la legge è solo pressoché vera. Ma questo lo sapevamo già. Si spiega ora come l’esperienza ha potuto servire da base ai principi della meccanica eppure non potrà mai contraddirli (Ivi, p. 119-120).» Perciò Poincaré contesta la meccanica antropomorfa di Kirchoff, che tenta di risalire alla natura della forza e alla costruzione della scienza sulla base della ricostruzione delle esperienze compiute dall’uomo il quale diviene l’essenziale punto di riferimento per la misurazione, descrizione e spiegazione dei fenomeni fisici (se si manifestano a lui in un certo modo, allora devono manifestarsi allo stesso modo per qualsiasi altro essere), e anche la risposta datagli da Andrade con la sua “scuola del filo” (con cui cercava di definire oggettivamente le definizioni della dinamica non in base ai criteri soggettivi dell’esperenzialità umana, ma in base ai criteri oggettivi di strumenti esterni), perché vede in questi due pensieri, seppur ottimi tentativi di salvaguardia della presunta naturalità oggettiva della realtà fisica compresa dall’uomo, nient’altro che una riproposizione mascherata ed ulteriormente approfondita della sua concezione convenzionale della terminologia scientifica della meccanica (nel primo caso rapportata all’uomo, nel secondo caso rapportata sempre all’uomo per mezzo di strumenti da lui stesso manipolati ed interpretati).

La base sperimentale stante a fondamento della meccanica razionale analizzata da Poincaré permette di attestare il movimento relativo introdotto dalla sua prima formulazione teorica della legge della relatività, che sostituisce sia il concetto di movimento assoluto che di spazio assoluto ammessi nella meccanica classica newtoniana tendente, nello studio dei movimenti dei pianeti e nelle ricerche di tipo astronomico, all’accettazione di costanti essenziali (quale la costante delle aree), che non tiene conto delle frequenti oscillazioni valoriali che avvengono al momento della verifica empirica del movimento compiuto dai corpi celesti, per cui le costanti essenziali devono considerarsi costanti accidentali che variano in base all’interazione con altri sistemi fisici limitrofi e all’azione di agenti e cause esterne che influenzano il moto planetario. Le coordinate dei corpi sono date da equazioni differenziali di secondo grado, calcolate sulla base della velocità e delle posizioni relative dei corpi esaminati a partire dal loro stato iniziale. Le difficoltà sollevate dalla meccanica razionale classica in merito alla corretta ed esatta misurazione quantitativa dei moti (sia celesti che terrestri) dei corpi, dovute all’influenza di corpi esterni, alla limitatezza del sistema fisico considerato per la verifica sperimentale e alla scoperta di risultati sperimentali non sempre coerenti fra loro, ha indotto gli scienziati nel corso della storia della scienza a passare al sistema energetico per la considerazione di tali problematiche legate ai fenomeni fisici.

Ciò si ebbe in seguito all’introduzione di Helmholtz del principio di conservazione dell’energia (la somma dell’energia cinetica e potenziale è una costante) da cui dipende il principio di Hamilton dell’azione minima (se un sistema fisico passa da uno stato all’altro, la differenza fra i due tipi di energie è la minima possibile). Ma anche in termodinamica permangono cruciali difficoltà. Una di queste risiede nel distinguere effettivamente l’energia cinetica (data essenzialmente dal quadrato delle velocità di un sistema di corpi) dall’energia potenziale (indipendente dalle velocità e dagli stati) per definire l’energia generale (per Poincaré andrebbe considerata anche la forma di energia atomico-molecolare (chimica, termica o elettrica) dipendente solo dagli stati interni); il principio di Hamilton risulta valido solo per fenomeni reversibili; la legge di Meyer sulla conservazione energetica helmholtziana non è universalmente valida a causa del suo adagiarsi sull’ipotesi determinista che vuole che l’intero universo si comporti nel modo descritto dalla meccanica razionale classica senza tenere in considerazione al giusto grado le influenze esterne e le variazioni di stato interne ad un sistema dipendenti l’una dall’altra, sicché la legge si applicherebbe a una sola possibilità fisica (il che naturalmente non è sostenibile), mentre nell’ipotesi indeterminista la legge sceglierebbe una sola possibilità estendibile a tutto quanto l’universo in un dato istante (il che minerebbe la libertà comportamentale di ogni altro sistema fisico che può anche non attenersi alla data legge). Perciò, anche nel passaggio dalla teoria meccanica classica alla teoria del sistema energetico resta la natura convenzionale dei principi che sono definizioni travestite in modo libero (non arbitrario) e “comodista” su base sperimentale. La convenzionalità arbitraria della geometria è parallela alla convenzionalità strumentale non-arbitraria della meccanica da cui si formano le leggi in maniera esclusivamente induttiva, non deduttiva, per un trattamento più agevolato dei fenomeni, sebbene su basi che poi si riveleranno essere in fisica probabilistiche e non deterministiche. Si crea una convenzione interponendo un termine medio fra due fenomeni reali, che esprime per ambedue lo stesso valore contenutivo delle leggi scientifiche. «Come può una legge divenire principio? Essa esprimeva un rapporto fra due termini reali, A e B. Ma non era rigorosamente vera, e non era che approssimativa. Noi introduciamo, arbitrariamente, un termine intermedio C più o meno fittizio e C ha con A, per definizione, esattamente la relazione espressa dalla legge. La nostra legge si è scomposta in un principio assoluto e rigoroso, che esprime il rapporto di A con C, ed in una legge sperimentale approssimativa rivedibile che esprime il rapporto di C con B. È evidente che, per quanto si proceda nel senso della scomposizione, esisteranno sempre delle leggi (Ivi, p. 147).»

fisica5. La natura

Le leggi della natura in Poincaré nascono dal bisogno dell’uomo di erigere un quadro essenziale di riferimento nel quale inglobare le spiegazioni dei fenomeni fisici osservati, che permette di osservare l’unità ipostatica della natura nelle sue diverse forme di manifestazione. I modi di apparire della natura rappresentano per la scienza quello che sono i mattoni per la casa, ossia i fatti irrinunciabili su cui si basa la meccanica, indi la fisica, del tutto sperimentali che consolidano l’autenticità della conoscenza e la sua validità fintantoché non sarà apportato un appropriato experimentum crucis che proverà un’ipotesi scientifica contraria a quella che si credeva vera precedentemente, contribuendo a rinnovare continuamente il catalogo delle conoscenze acquisibili da parte dell’uomo. «La fisica sperimentale ha l’incarico degli acquisti, ed essa sola può arricchire la biblioteca. Quanto alla fisica matematica, avrà come compito quello di ordinare il catalogo. Se il catalogo è ben fatto, la biblioteca non sarà per questo più ricca, ma aiuterà il lettore a servirsi delle ricchezze esistenti (Ivi, p. 154).»

L’induttività fisica, rispetto all’induttività matematica che è necessaria per il suo essere connaturata all’intelletto umano stesso, ha carattere probabilistico, ma è essenzialmente questo suo tratto saliente di probabilità che le consente di effettuare generalizzazioni conoscitive concretizzantesi in reali previsioni senza certezze che, per Poincaré, sono preferibili al non effettuare affatto alcuna previsione, dato che «grazie alla generalizzazione, ogni fatto osservato ce ne fa prevedere un gran numero. Ma non dobbiamo dimenticare che solo il primo è certo, e che tutti gli altri sono solo probabili. Per quanto una previsione ci possa apparire come solidamente fondata, non siamo mai assolutamente sicuri che l’esperimento non la smentirà, una volta intrapresa la verifica. È preferibile prevedere senza alcuna certezza, che non prevedere affatto (Ivi, pp. 153-154).» È il procedimento della generalizzazione, tipico dell’induzione fisica, a generare la fiducia nell’unità e nella semplicità della natura. Se la fiducia nella prima è dimostrata attraverso l’induzione generalizzante, lo stesso non può dimostrarsi in modo assoluto nel caso della seconda, visto che, benché si cerchi di optare quanto più possibile per le soluzioni, le leggi, più semplici per la descrizione dei fenomeni naturali, ogni legge è considerata semplice fino a prova contraria. «Se studiamo la storia della scienza, ci accorgiamo che si producono fenomeni, per così dire, inversi: da un lato, la semplicità si nasconde sotto apparenze complesse, dall’altro, al contrario, è la semplicità a dissimulare realtà estremamente complesse (Ivi, p. 156).»

Poincaré ribadisce che, laddove si incontri la semplicità, lì si deve innalzare l’edificio delle generalizzazioni, che, in ogni caso, pur facendo leva sulla semplificazione apparente anche dei problemi più complessi, non potrà mai impedire alle leggi fisiche di non essere rigorosamente esatte. L’unico modo che l’uomo ha per garantire un minimo di validità semantica alle sue generalizzazioni consiste nel sottoporle, in quanto ipotesi, a verifica. La verifica è l’unico strumento certificativo delle sue conoscenze di cui può disporre per dare un saldo fondamento alle sue ipotesi. A tal scopo, è fondamentale il ricorso alla branca della fisica matematica. «Il fermo proposito di sottoporsi all’esperienza non basta. Ci sono ipotesi pericolose, e sono soprattutto quelle tacite ed inconsapevoli. Essendo tali, siamo incapaci di abbandonarle. Ecco un caso in cui la fisica matematica può esserci d’aiuto. Grazie alla precisione che le è propria, ci obbliga a formulare tutte le ipotesi che formuleremmo senza di essa, ma senza dubitarne (Ivi, p. 159).» Con la fisica matematica, come avrebbe detto Guglielmo di Ockham, entia non multiplicanda sunt praeter necessitatem.

La fisica matematica agisce da vero e proprio rasoio di Ockham che recide le ipotesi false o quelle fantasiose dando unicamente importanza alle ipotesi naturali (o principi) tipiche dell’aritmetica trasposte nell’ambito della meccanica razionale (si pensi alla simmetria e alla causalità) e alle ipotesi veramente fisiche che si formano a partire da tali principi in base a constatazioni empiriche che rimangono comunque di carattere probabilistico in quanto la loro verità è valida localmente (e non è provabile universalmente per ovvie ragioni logistiche) finché (come avrebbe detto qualche tempo dopo Popper) non verrà “falsificata” da un successivo esperimento che la pone a verifica ultima. Le ipotesi geometriche sono sostanzialmente indifferenti, dal momento che non si distinguono fra loro se non per il tipo di forma di geometria che originano del tutto arbitrariamente a prescindere dallo sperimentalismo empirico della realtà dell’universo. Pertanto, la natura probabilistica dell’induzione fisica, delle generalizzazioni, delle ipotesi che altro non sono se non le leggi fisiche fondate sui principi convenzionali non arbitrari della meccanica presuppone di conseguenza un’omogeneità di fondo della natura, una sua continuità fisica in cui la fisica matematica torna indispensabile per la comprensione del mondo.

L’introduzione della matematica nella fisica diviene di vitale importanza in virtù del fatto che molte volte l’intelletto precede l’esperienza nella formulazione dei suoi giudizi per la comprensione, così che la base sperimentale della fisica non può che essere sostenuta interamente dalla potenza matematica dell’intelletto che agisce per mezzo della necessaria induzione matematica la cui applicazione, in fisica, è di natura probabilistica in base alla limitatezza delle verifiche effettuabili per provare a certificare la verità assoluta di un’ipotesi fisica fondata sui principi della dinamica, benché la supposizione a-priori di una continuità matematica (su cui si fonda naturalmente quella fisica), che prevede l’unità delle dinamiche dominanti di manifestazione delle forme della natura, lasci presagire una sostanziale omogeneità di fondo non solo fra i fenomeni, ma anche all’interno della natura stessa delle cose, per cui le ipotesi, se non assolutamente vere, saranno sempre approssimativamente vere anche nel caso delle scienze naturali che, differenza della matematica, usano altri metodi di ricerca riguardanti comunque il procedimento della generalizzazione. «È dunque grazie all’omogeneità approssimativa della materia studiata dai fisici che la fisica matematica ha potuto nascere.

Nelle scienze naturali, queste condizioni, omogeneità, indipendenza relativa delle parti lontane, semplicità del fatto elementare, non si ritrovano più, ed è per questa ragione che i naturalisti sono obbligati a ricorrere ad altri metodi di generalizzazione (Ivi, p. 165).» La scienza odierna (coeva a Poincaré) vira decisamente verso l’ideale dell’unità con cui tenta di rispecchiare la medesima unità che vede e si sforza continuamente di vedere nelle forze che muovono la natura sulla base dell’osservazione di quelle costanti energetiche che risultano essere uno dei pochi fattori veramente capaci di rendere conto quanto più possibile di tutte le aporie sollevate dalla teoria meccanica classica (nonostante anche in termodinamica permangano problemi piuttosto controversi non ancora completamente risolti). Se la scienza, come nota Poincaré, mira verso un’unità, allora si potrebbe porre il problema di giustificare a-priori tale unità, poiché altrimenti la scienza stessa si ridurrebbe ad una mera collezione di formule sprovvista di una sua coesione e coerenza interna. Poincaré, in ogni caso, afferma che tale problema ancora non attanaglia da vicino la discussione epistemologica in merito ai fondamenti della scienza, in particolar modo dopo le varie scoperte compiute in ambito elettrodinamico da parte di diversi studiosi (Fizeau, Lorentz, Larmor) che hanno saputo collegare i risultati sull’ottica dei corpi in movimento, le leggi della dispersione normale ed anormale e dell’assorbimento fra loro e con le proprietà dell’etere, sulla cui esistenza la discussione non si era mai placata e, come mostrato da Lorentz, avrebbe portato ad affermare che il terzo principio della dinamica di Newton non era da applicare soltanto alla materia rispettando le leggi di Helmholtz e di Hamilton su cui improntare le leggi della meccanica generale di Lagrange (in questo modo si sarebbe ottenuta una conciliazione dei fenomeni ottici e dei fenomeni elettrici, che, usando Newton contro Newton, avrebbe sancito una volta per tutte la fine dello spazio assoluto, poiché si sarebbe dimostrato riempito in ogni dove dall’etere  fungente da supporto materiale di trasporto della luce, che non avrebbe più avuto natura corpuscolare come nella teoria di Newton).

I fenomeni irreversibili si dimostrano spiegabili attraverso il principio di Carnot che include la trattazione dell’entropia e l’invasione da parte della fisica nei territori della chimica (fisica chimica) sembra preludere ad una futura totale unificazione delle varie branche delle scienza della natura sotto l’egida della fisica utilizzante metodi matematici, che consacra l’unità complementare della scienza e della natura integrativa, per Poincaré, delle sue varietà e complessità articolari. Per avviare tale unificazione, è necessario il ricorso alla teoria delle probabilità, il cui calcolo consente di determinare la capacità di estensione di una data ipotesi fisica a molti altri casi attraverso la transizione dalla considerazione di una probabilità soggettiva alla considerazione di una probabilità oggettiva, configurata a partire dalla probabilità a-priori di trovare dei valori della quantità da misurare e comprovata dalla probabilità a-posteriori di aver effettivamente reperito quella determinata scala di valori nel corso di una misurazione stechiometrica.

In tal modo, sulla base dell’accuratezza degli strumenti utilizzati, è possibile anche impostare una statistica degli errori, che possono essere o di tipo sistematico (lo strumento di misurazione è inidoneo) o di tipo accidentale (l’errore, con l’avanzare delle misurazioni, si attenuerà sempre più progressivamente fino ad ottenere una misurazione quanto più approssimativa possibile). «Per avviare un qualsiasi calcolo delle probabilità, e perché tale calcolo abbia senso, occorre ammettere, come punto d’avvio, un’ipotesi o una convinzione che comporti sempre un certo grado di arbitrarietà. Nella scelta di questa convenzione, possiamo essere guidati solo dal principio di ragione sufficiente. Purtroppo, questo principio è molto vago e molto elastico. L’aspetto sotto cui l’abbiamo incontrato più spesso è quello della convinzione della continuità, convinzione che sarebbe difficile giustificare con un ragionamento apodittico, ma senza della quale ogni scienza sarebbe impossibile.

Infine, i problemi in cui il calcolo delle probabilità può essere applicato vantaggiosamente sono quelli in cui il risultato è indipendente dall’ipotesi avanzata in partenza, a condizione però che tale ipotesi soddisfi la condizione di continuità (Ivi, p. 206).» I fenomeni fisici descritti da Maxwell nel suo elettromagnetismo sono passibili di interpretazione in termini di spiegazione puramente meccanica che evidenzia come il metodo delle scienze fisiche si sostenga del tutto su metodologie di rappresentazione matematica per ottenere giudizi non più di sole relazioni fra fenomeni, ma anche di predicazione in merito alla realtà. Poincaré, che con la sua discussione epistemologica ha inteso analizzare con acuto occhio critico l’intero corpus delle scienze con una certa vena filosofica mirante alla definizione di un nuovo tipo di a-priori (rappresentato dall’induzione matematica necessaria quale potenza dell’intelletto e dall’idea primigenia di una continuità matematica che si accosta all’idea kantiana dell’infinito come idea trascendentale della ragione), lascia aperta tale possibilità, benché essa preveda il confronto con concezioni scientifiche microscopiche sempre più radicali intorno all’universo, che tendono a determinare la materia nei suoi costituenti più profondi fino quasi a specificare la sua stessa ipotetica inconsistenza ed evanescenza (data dalla considerazione del rapporto dell’inerzia meccanica ed elettromagnetica dei corpuscoli, degli elettroni, con la velocità, per cui la massa reale sorprendentemente apparirebbe nulla), lasciando gli scienziati eventualmente ad interrogarsi perennemente sul vuoto. Poincaré, che intende combattere ogni forma di scetticismo, ripone la massima fiducia nel principio di induzione completa della matematica per fronteggiare ogni forma di Ignorabimus (Emil Du Bois-Reymond), lasciando il lettore infine con un grande enigma: che non sia l’anima, con la potenza del suo intelletto di indole matematica, ad essere la vera fonte della conoscenza?

(Leggi la Prima parte)

BIBLIOGRAFIA

Jules-Henri Poincaré, La scienza e l’ipotesi, Edizioni Dedalo, Bari, 1989

Adolf Grunbaum, Philosophical problems of space and time, Alfred A. Knopf, New York, 1963

Hans Reichenbach, The philosophy of space and time, Dover Publications Inc., New York, 1958

Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Adelphi Edizioni, Milano, 1999

Bertrand Russell, Review of Poincaré’s Science and Hypothesis in The Collected Papers of Bertrand Russell Volume 4: Foundations of Logic 1903-05, London and New York: Routledge, 1994

* Giovanni Mazzallo, nato il 28/06/1992 a Noto (SR), è attualmente studente al II anno della laurea magistrale in Scienze Filosofiche all’Università di Catania e allievo ordinario al V anno della Scuola Superiore di Catania. Si occupa di logica, filosofia della scienza, cinema e filosofia del cinema.

AFFILIAZIONI

Scuola Superiore di Catania (studio compiuto nel merito delle ricerche finalizzate alla stesura della tesi per il diploma di licenza magistrale della Scuola sulla filosofia dello spazio-tempo di Hans Reichenbach).

[Clicca QUI per il pdf]

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