> di Pietro Piro*
«In hoc signo vinces» è forse la più bella espressione che l’uomo abbia potuto coniare.
Con questo segno vinco, con un segno pieno, visibile e tangibile,
un segno di riconoscimento da tutti testimoniato.
Il commiato della parola dal segno, fa sorgere l’uomo moderno
lasciandolo solo nella sua parola,
che ora non ritrova più il perché di quella cosa.
Il segno è rimasto come scrittura, segno amorfo di dubbia esistenza,
lontano dalla contiguità che lo legava come la sella al cavallo.
Memoria di parole e non più di cose è il vano tentativo
dei poeti di colmare quel vuoto.
[Michele Iacono, Il silenzio, il segno e la parola]
I.
Il pedagogista Michele Iacono con il suo recente libro: Il silenzio, il segno e la parola [1] con una prosa densa e diretta, cerca di affrontare temi complessi e spinosi, che egli stesso definisce arcani indecifrabili: la nascita dell’uomo, della parola e della mente [2]. Consapevole della difficoltà e della sedimentazione quasi infinita su questi temi, Iacono sceglie un metodo che procede per:
«Linee d’articolazione o di segmentalità, strati, territorialità; ma anche linee di fuga, movimenti di deterritorializzazione e di destratificazione» [3].
Quello di Iacono è un libro che procede per scosse e per tagli, introducendo elementi di critica e di autocritica e poi articolando ipotesi di rottura che successivamente si ricompongono in un’argomentazione serrata e lucida. Argomentazione di cui l’autore si fa carico evitando la nevrosi della continua citazione e regalandoci un testo integro e corposo.