
Šestov, con una sorta di distillazione frazionata, pone la sua attenzione su quell’aspetto di Pascal che più lo coinvolge e nel quale pare talvolta identificarsi. In entrambi possiamo cogliere il sacrificio della ragione per una fede che non sente ragione, la rinuncia alla stabilità terrestre per affrontare il pauroso abisso e condividere da svegli quell’angoscia che Cristo ha vissuto da solo, mentre i suoi discepoli dormivano.
Nel quarto centenario della nascita di Pascal, a cent’anni dalla prima edizione de La notte di Getsemani di Lev Šestov, ci viene proposta una rilettura di questo genio tormentato, di colui che si impone di cercare gemendo, accomunato in ciò a Cristo che continua la sua passione fino alla fine del mondo. Si può dire che Blaise Pascal abbia trascorso la sua esistenza terrena incarnando il paradosso. Visse il suo tempo, il periodo del nascente razionalismo, standosene al di fuori; perfino nei manuali di storia della filosofia la sua posizione non è ben determinata. Pur rimanendo nel cattolicesimo in comunione con Roma, il suo pensiero venne a trovarsi in posizione bordeline.
Precocissimo nella matematica e nella fisica, non tarderà a capire che per questa via non troverà mai risposta ai suoi interrogativi sul destino dell’uomo. Rinnegherà la razionalità scientifica anche se non mancherà di usarla, lo stesso vale per la filosofia e per la teologia. Ma al di là dei dilemmi e dei paradossi ai quali un lettore qualsiasi può dare il suo apprezzamento senza esserne coinvolto fino in fondo, quel che si propone il presente scritto di Šestov è la visione radicale e abissale di Pascal nella sua condanna della ragione; estremo paradosso di chi usa il pensiero razionale per dimostrarne l’insensatezza, quando questo pretende di spiegare il destino dell’uomo. Per far ciò l’autore del saggio, nel puntare la sua attenzione su quelli aspetti che ritiene essenziali, è costretto a sorvolare su altri. Si nota anche che l’interpretazione viene ad essere decisamente soggettiva, peraltro in linea con l’insieme della sua visione del mondo, forse più unidirezionale ed estremista di quella di Pascal stesso.
Ci pare di cogliere il punto cruciale, da cui si irradia tutto il discorso, nel frammento dello scritto che Pascal aveva steso dopo la conversione del 1654 e che secondo la tradizione avrebbe tenuto cucito nel suo gilet fino alla sua morte avvenuta nel 1662, a trentanove anni. Leggiamo in proposito nel testo di Šestov a p.75: «Qui si distacca definitivamente dalla verità greca: “Dio d’Abramo, Dio d’Isacco, Dio di Giacobbe – non dei filosofi e dei sapienti”; in questo modo formula il risultato al quale è giunto».
Dunque Pascal ha compiuto un percorso, ha colto e apprezzato la potenza della ragione ma poi ne ha capito l’inconsistenza o quel che è peggio: il suo potere soporifero. A p. 18 a proposito dell’apostolo Pietro così si esprime: «… colui che può dormire così profondamente, colui che a tal punto si è affidato alla ragione da non svegliarsi neppure quando – in un incubo – rinnega il proprio Dio».
Risulta difficile seguire Šestov nel suo modo di interpretare i Pensieri di Pascal quando insinua che quello che si legge nel testo possa essere frutto di interventi di altri. Leggiamo nella stessa pagina: «Per questo – crediamo – Arnauld, Nicole e gli altri solitari di Port-Royal suoi amici, pubblicandoli dopo la sua morte, dovettero sunteggiare, cambiare, emendare molte cose. Quel pensiero, mostruoso secondo l’intendimento umano, si manifestava in maniera troppo sconvolgente […]».
Lettere provinciali e Pensieri secondo Šestov ci fanno vedere due Pascal decisamente diversi, nelle prime la controversia con i Gesuiti si svolge ancora a colpi di logica e di morale, domina la saldezza della ragione; «non si trova nemmeno una parola che riguardi “l’abisso”. Pascal ha soltanto un intento: fare in modo che la ragione e la morale siano dalla sua parte, e da quella dei suoi amici di Port-Royal» p. 39. Cercava l’approvazione: «Qui tutto è chiaro e incontestabile: se l’uomo parla, scrive, pensa, non è per scoprire la verità. Nessuno si interessa al vero; si vogliono giudizi accondiscendenti, utili o convenienti al maggior numero di uomini» p. 38.
Il Pascal autentico è quello dei Pensieri, appunti frammentari che avrebbero dovuto servire per una Apologia della religione cristiana, ma che proprio per il fatto che non hanno raggiunto lo scopo sono ancor più significativi, infatti, «l’intento di una apologia è di ottenere un’adesione “universale”, se non reale almeno immaginaria, se non dell’”universo intero” almeno – come Pascal ebbe a dire – di un pugno d’intimi. E in verità la maggior parte dei suoi Pensieri non poteva fare assegnamento neppure su una così limitata adesione. Sappiamo infatti che Port-Royal li censurò severamente» pp. 39-40.
Non si tratta comunque di compiacersi per il fatto che si hanno tanti oppositori quanto piuttosto di pensare ed agire con quella radicalità che né l’opinione del mondo e nemmeno quella del gruppo di amici può scalfire.
Quando nei primi secoli del cristianesimo si è posto il problema di conciliare ragione e fede, secondo Šestov sarebbe prevalsa la concezione di Pelagio e lo stesso Agostino che tanto l’ha combattuta in realtà l’avrebbe recuperata. Leggiamo: «L’ha detto Pelagio: “quod ratio arguit non potest auctoritas vindicare” e, ricordiamolo, sant’Agostino ripete Pelagio» p. 45. Ma è tutto il pensiero filosofico, il riferimento è a quello occidentale, a porre la ragione umana a fondamento assoluto; l’insegnamento di Socrate viene nel saggio così riassunto: «Non ci si può fidare di nulla e di nessuno; tutto ci può ingannare; soltanto la ragione non ci ingannerà mai, soltanto lei può porre limite alla nostra inquietudine, può procurarci una stabile base, può darci sicurezza» p. 42. Le domande alle quali la ragione non può rispondere sono quelle prive di senso.
Il dilemma che si pose Pascal ad un certo momento della vita, e che troverà soluzione non attraverso ragionamenti ma nel momento illuminante della sua conversione, è richiamato nel saggio alla stessa pagina, «Che cosa deve fare l’uomo? Aver fiducia nell’immutabile ragione, che gli è immanente e che in sé stessa trova i principi eterni, oppure riconoscere, al di sopra di lei, il potere di un Ente vivo e, di conseguenza, “contingente” e “capriccioso”? (dal momento che tutto quel che vive è “contingente” e “capriccioso”)». Un’altra fondamentale domanda che si pone Pascal riflettendo su Lutero e risalendo a San Paolo ed ancor più in dietro fino al profeta Isaia: «La salvezza dell’uomo da dove proviene? Dalle sue opere, ossia dalla sua sottomissione alle leggi eterne, oppure da una forza misteriosa che si chiama – nel non meno misterioso linguaggio dei teologi – la grazia di Dio?» pp. 55-56.
Queste domande messe in bocca a Pascal paiono essere una riflessione su una risposta che era già stata data nel momento della conversione. Ora vuole dirlo agli altri affinché siano vigili; è pur vero che, citando Isaia 65.1: «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano. Chiaramente mi sono manifestato a coloro che non chiedevano di me» p. 61, la verità irrompe senza che l’uomo prenda l’iniziativa ma bisogna avere l’animo aperto ad accoglierla.
Il racconto biblico della caduta originale, assurdo per la ragione, sarebbe invece per Pascal chiave di lettura della condizione umana; Adamo, cogliendo il frutto dell’albero della conoscenza ha disubbidito al divieto divino, ed è qui che sta la colpa. «Il peccato del primo uomo non è stato quello d’aver assaggiato dall’albero della conoscenza del bene e del male; anzi, al contrario, sarebbe stato un bene, perché il sapere è il Summum bonum al di sopra del quale non vi è nulla al mondo. La sciagura avvenne soltanto perché Dio volle proibire all’uomo di toccare quell’albero» p.66. Questa disobbedienza persiste nel presente e l’uomo con la ragione snatura la Rivelazione, magari la esalta, ma lo scopo è di renderla funzionale al proprio discorso. La vera Rivelazione, quella che illumina e spezza le catene, trova l’avversione degli uomini abituati ad un tranquillo pensiero condiviso che ha per oggetto le verità universali astratte.
La teoria della conoscenza, che Pascal ricava dal messaggio biblico, si oppone nettamente alla concezione generale e consolidata sulla verità e sulla capacità degli uomini di conseguirla.
Cartesio è certo che la verità è accessibile ad ogni uomo e che Dio non può essere ingannatore, anzi nel Discorso su metodo dopo averne dimostrato l’esistenza afferma, che Dio è il garante delle verità che il nostro intelletto ha colto. Al contrario «Pascal afferma che Dio può e vuole essere ingannatore. Ad alcuni rivela la verità, e deliberatamente acceca la maggior parte degli altri, affinché la verità non giunga loro» p.71.
A questa visione di Dio così difficile da accettare non può seguire alcuna teodicea: Dio non ha bisogno di giustificazione. È invece la ragione umana che deve sapersi umiliare.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Pascal B. Pensieri, Einaudi, traduzione, introduzione e note di Paolo Serini, Torino 1992
Pascal B. Le Provinciali, a cura di Carlo Carena, Einaudi, Milano 2008
Šestov L. La notte di Getsemani, traduzione di Enrico Emanuelli, SE SRL, Milano 2023.
8 marzo 2023 alle 10:33
Ringrazio per la pubblicazione del presente articolo.
Chiedo, se è possibile intervenire, di sostituire al terzo capoverso, settima riga
“su quelli aspetti” con “su quegli aspetti”
Saluti.
R.Pisani >