Irriducibile – La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura.

Leggere quest’opera di Federico Faggin è una sfida che, almeno personalmente, mi trova disarmato e impacciato.
Cercare di interloquire con un pensatore scientifico che si avventura nel campo della filosofia e della religione risulta quasi sempre molto difficile, d’altra parte quando non si avverte tale difficoltà è spesso perché siamo caduti in un malinteso. Forse per questo l’autore si premura di chiarire il significato specifico che intende dare a certi termini con il glossario che ha posto in fondo al testo. Nelle numerose conferenze che ha tenuto per illustrare la sua teoria, ha cercato di adeguare il registro linguistico ai vari tipi di uditorio. Saldo sul fondamento, che egli racconta come una esperienza straordinaria, si dimostra aperto e possibilista fino alla visionarietà su varie questioni particolari, con l’atteggiamento di chi ha ancora tanta voglia di conoscere.
Irriducibile è la coscienza, quella umana che più ci interessa ma anche la coscienza in generale di ogni vivente. La materia, anche quella cerebrale, non produce coscienza ma è da questa prodotta. I computer, sempre più efficienti, sempre più versatili rimarranno sempre altro da ciò che è la coscienza. Dei robot che ricalcassero le caratteristiche umane nei tessuti e negli apparati, che fossero capaci non solo di risolvere problemi ma pure di manifestare gioia, benevolenza, impazienza o rabbia, resterebbero sempre altro rispetto all’uomo. I primi agiscono in base ad un programma che li determina, nell’uomo invece i condizionamenti per quanto siano forti non annullano la libera coscienza.
Leggiamo nella sovraccoperta: «Irriducibile è un saggio entusiasmante, capace di tenere assieme rigore scientifico, visionarietà tecnologica e afflato spirituale, che suggerisce una irrinunciabile e inedita fisica del mondo interiore».
Perché è tanto importante distinguere questi due piani per Federico Faggin (nato nel 1941), padre del microprocessore e di altre tecnologie che caratterizzano la nostra esistenza? La risposta viene dalle sue interviste e relazioni con le quali si rivolge al grande pubblico. Egli dice che molti, troppi, nel mondo della ricerca scientifico-tecnologica, non ritengono sostanziale la differenza tra il pensare e l’agire intelligente dell’uomo rispetto quello dei sistemi tecnici. Questi non negano l’attuale distanza ma confidano che un giorno potrà essere colmata. Considerato che tante operazioni un tempo compiute dall’uomo vengono ora eseguite dalle macchine, si può essere indotti a credere che tra uomo e macchina non ci sia sostanziale differenza e che anzi i sistemi tecnologici, già ora più efficienti in ambiti ben delimitati, potranno in futuro acquisire caratteristiche tipicamente umane.
Si tratta di una situazione potenzialmente pericolosa perché «Se noi crediamo di essere macchine saremo controllati da chi controlla le macchine», come ha detto in un‘intervista nell’ottobre dello scorso anno.
Il suo discorso non si ferma qui; dopo tanti studi e applicazioni negli Stati Uniti alla Silicon Valley, ha sentito il bisogno di uscire dal solco segnato dall’ortodossia che la ricerca richiedeva. Ha cominciato a cercare quelle cose invisibili alla scienza di cui certamente aveva sentito parlare nell’ambiente cattolico nel quale ha vissuto la sua infanzia e adolescenza.
Da scienziato, studioso della fisica classica e quantistica, ha indagato sul rapporto che intercorre tra il mondo che normalmente definiamo materiale e che cogliamo macroscopicamente, quello della rappresentazione quantistica e quello della vita cosciente come la intendiamo con il senso comune. Ne scaturisce una visione del mondo chiara nel suo fondamento ma fluida e indeterminata nella sua espansione. L’autore si esprime in prima persona in termini probabilistici lasciando aperte molteplici vie di ricerca.
Le religioni e le filosofie orientali e occidentali sono chiamate in causa con brevi citazioni a conforto delle relative argomentazioni. Per rimanere nel solco del pensiero occidentale, ci sono frequenti riferimenti all’Uno, che richiama chiaramente a Plotino; a Sant’Agostino si riferisce invece per quanto riguarda l’interiorità della coscienza nella quale abita la verità. Vi sono riferimenti espliciti anche a Giordano Bruno, Leibniz, Kant, e Schelling, ma il suo discorso si regge pressoché totalmente sull’argomentazione scientifica, questi tutt’al più fungono da corollario. È lui stesso a far chiarezza e distinguere la teoria scientifica dalle numerose congetture che riguardano un discorso più vario e lontano dall’essere definito con quella certezza, sempre umana comunque, che caratterizza la formulazione teorica scientifica.
Ad un mondo deterministico materiale nel quale in linea di principio tutto può essere previsto, Faggin e Giacomo Mauro D’Ariano, prof. di fisica all’Università di Pavia, oppongono con le loro teorie una forma moderna di panpsichismo fondato su fenomeni che la scienza ufficiale considera ininfluenti: la coscienza e il libero arbitrio. Leggiamo p. 264: «Teoria QIP (Quantum Information-based Panpsychism). È una teoria panpsichistica quantistica che definisce la coscienza come la capacità che ha un sistema quantistico che si trova allo stato puro di provare l’esperienza cosciente del suo stato sotto forma di qualia. Parte della teoria stabilisce anche che un sistema cosciente possa trasformare con libero arbitrio informazione quantistica in informazione classica e viceversa, e quindi comunicare con il mondo classico. Nella teoria QIP, un sistema che si trova in uno stato puro ha l’esperienza del suo stato. Tale postulato è plausibile, in quanto uno stato puro è uno stato ben definito e non clonabile. Quindi esso può rappresentare propriamente uno stato privato conoscibile soltanto dal sistema che si trova in tale stato (stato ontico)».
D’altra parte lo stato quantistico «è l’ente matematico più adatto a rappresentare un’esperienza ma non può sostituirla» p.158. La rappresentazione di una realtà non è la realtà stessa, ovvio, verrebbe da dire, anche se poi è facile cadere in errore.
La visione che ne deriva, cosmica piuttosto che storica, postula l’Uno, vale a dire: il Tutto universale dinamico; le seity sono unità di coscienza che scaturiscono dell’Uno. Per quanto nel testo si sovrappongano i termini: emanazione e creazione, quest’ultima risulta assai diversa sia dalla concezione cristiana sia da quella dalle altre religioni creazionistiche. Anche l’Uno sembra avere più differenze che analogie con quello plotiniano. Quello che viene proposto non è l’ineffabile ma è il Tutto proteso verso una continua autoconoscenza, che è al tempo stesso autoproduzione. Potremmo chiamarla Fenomenologia della Seity, nella quale le unità di coscienza comunicano e accrescono il loro stato senza bisogno di sottomettere o di servire e senza ombra d’infelicità.
Il mondo materiale, sia quello inorganico sia quello vivente, non può generare la coscienza ma è da questa generato e perfezionato secondo un disegno intelligente, uno e molteplice al tempo stesso. Il progresso è infinito, l’idea di eternità che il prof. Faggin propone pare coincidere con un perdurare infinito del tempo. Se è così ci si potrebbe chiedere cosa faceva l’Uno prima di creare o comunque emanare le seity.
L’uomo è «una combinazione misteriosa di seity e di corpo, il che complica la comprensione dei nostri aspetti sia algoritmici sia non-algoritmici»
p. 237. Questo significa che a volte ci comportiamo meccanicamente altre volte con la coscienza di agire e perlopiù con le due modalità combinate. La seity incarnata nella carne umana «non si avvale soltanto dell’informazione fatta dalla “testa”, ma fa uso anche della creatività, della motivazione e dell’azione coraggiosa, che provengono metaforicamente dal “cuore” e dalla “pancia, che collaborano con la testa, perché l’intelligenza umana è insieme di testa, cuore e pancia”» p. 237. Nella “combinazione misteriosa” poco sopra richiamata potrebbero forse trovar posto anche l’inconscio e le sue manifestazioni o anche l’alienazione mentale.
Scopo della vita, in generale e nell’aspetto umano che più ci riguarda, pare essere il cammino verso una conoscenza sempre più ampia capace di eliminare le zone d’ombra dell’odio del razzismo, della violenza, e soprattutto del bisogno di essere superiori agli altri. Le zone d’ombra sono date dall’ignoranza, che porta inevitabilmente all’errore. Leggiamo: «In altre parole, il male non esiste come una realtà fondamentale, ma solo come distorsione della realtà, un’incomprensione della realtà che non è realtà. Eliminata l’incomprensione, rimane la realtà che non contiene il male»
p. 238.
La presente posizione lascia aperti molti interrogativi, quello che la filosofia tradizionale chiama il male metafisico o carenza di essere, qui sembrerebbe solo un malinteso. Quanto al male morale, l’azione malvagia come l’odio e il razzismo richiamati dall’autore sarebbero altri malintesi dovuti all’ignoranza. Qui sembra che il libero arbitrio delle Seity, punto nodale della teoria di Faggin non trovi adeguato sviluppo.
Può un ente cosciente scegliere il male pur conoscendo il bene?
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
FEDERICO FAGGIN, IRRIDUCIBILE – La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori, Milano 2022.
FEDERICO FAGGIN, SILICIO: Dall’invenzione del micro processore alla nuova scienza della consapevolezza, Mondadori, Milano 2019.