Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Ultima chiamata

Lascia un commento

Svegliamoci! È l’appassionata sollecitazione che Edgar Morin rivolge all’umanità intera affinché prenda coscienza della situazione critica nella quale si trova e si adoperi per realizzare una società in pace con sé stessa e con la Terra che la sostiene.

Il soggetto di questa grandiosa azione deve essere un noi così generale da non lasciar fuori nessuno, la condizione culturale e sociale ed anche l’età non devono costituire elementi di preclusione. Come per la felicità epicurea non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per poterla conseguire, così anche per quest’impresa non ci sono limiti d’età. Con i suoi 101 anni Morin si sente ancora chiamato in causa in prima persona, al plurale naturalmente.

La citazione iniziale di José Ortega y Gasset: “Non sappiamo cosa ci sta accadendo ed è precisamente quello che ci sta accadendo” porta Morin ad interrogarsi se questa ignoranza non sia una miopia verso tutto ciò che va oltre l’immediato. Il sociologo e filosofo del pensiero complesso è portato a ritenere che nella società attuale la settorialità del sapere, che pure ha contribuito a far avanzare l’umanità nei rispettivi campi, renda comunque assai difficile una visione globale.

Non sapere cosa ci sta accadendo indica una situazione generale di attesa passiva di chi si lascia a cogliere da qualche evento di cui non è in alcun modo soggetto attivo. Non era così nel passato; prima dell’era post-moderna, alcune idee guida erano capaci di affascinare a dare speranza a porzioni più o meno grandi di umanità. Lasciando da parte le visioni religiose trascendenti, possiamo ricordare il lume della ragione, il progresso tecnico ed economico che avrebbe dovuto allargare il benessere, potenzialmente a tutti, o un nuovo ordine sociale basato sull’uguaglianza. Ora a queste narrazioni nessuno pare più credere.

Ma come si può spiegare in pochi tratti la situazione attuale del globo terrestre sulla cui superficie vivono circa otto miliardi di esseri umani? Morin lo fa partendo dalle vicende della Francia, che viene considerata una sorta di paradigma dell’intera umanità nella contrapposizione tra pensiero identitario e pensiero universalistico.

Già l’età moderna ha visto una prima globalizzazione con la conquista delle Americhe, accompagnata da guerre distruzioni e sottomissioni. Nei tempi a noi  più prossimi abbiamo assistito all’uso distruttivo degli ordigni atomici e qualche decennio dopo, nel 1972, è apparso il primo annuncio, inascoltato, sui limiti dello sviluppo globale in uno studio elaborato dal professor Dennis Meadows assieme alla moglie Donella e ad altri ricercatori. Leggiamo a pag. 34: «Il rapporto del professor Meadows, intitolato I limiti dello sviluppo, rivela il deterioramento continuo che affligge tutto il mondo vivente, esseri umani compresi. L’inquinamento di fiumi e oceani, quello delle città, il degrado del suolo per effetto dell’agricoltura industriale, il deterioramento dell’alimentazione, la deforestazione, la costante diminuzione della biodiversità, il riscaldamento climatico: tutto ciò colpisce in maniera sempre più grave le regolazioni proprie degli ecosistemi e della biosfera». Nella pagina seguente sembra parlare come i profeti di sventura affermando che la frenesia del capitale e la volontà di potenza degli Stati, scatenando l’apparato tecnico-industriale in vista del profitto senza limiti, trasforma l’antropocene in thanatocene.

Un sistema vivente entra in crisi quando vi sono degli elementi perturbatori ai quali il sistema stesso non riesce a reagire adeguatamente, il perseverare di tale situazione provoca il dissolvimento della precedente e la formazione di una nuova. Non si tratta della scomparsa di ogni forma di vita: si può ipotizzare una situazione nella quale l’uomo, da protagonista che era stato, sarà costretto a lasciare il campo a virus, batteri e altri organismi vegetali e animali, che probabilmente non avranno rimpianti per assenza degli umani, testimoniati ormai solo da resti fossili.

Una via per cercare di sfuggire dalla distruzione e dalla morte parrebbe essere quella della produzione di uomini trasformati grazie ad interventi bio-ingegneristici, questi certamente non sarebbero immortali ma comunque più longevi e più funzionali al mondo che si sta prospettando. Leggiamo a pag. 36: «Il transumanesimo porta ad una metamorfosi antropologica nella quale l’umano diventa allo stesso tempo metaumano, sovrumano e postumano. Fondato sulle nuove possibilità di intervento biologico (cellule staminali, modifiche del DNA e dei telomeri, organi artificiali), il transumanesimo prevede il prolungamento della vita umana senza invecchiamento». C’è pure chi su quest’onda transumanista ipotizza una società guidata da un’intelligenza artificiale capace di creare una completa armonia.

Non è certamente attraverso queste vie che Morin intravede una qualche possibilità di redenzione salvatrice per l’umanità; questa semmai potrà avvenire per opera di un nuovo umanesimo, non quello antropocentrico che vuol fare dell’uomo il dominatore assoluto né quello integrale caro a Jacques Maritain che ha per riferimento il Dio creatore. Ciò che propone Morin è più modesto e lo spiega nel paragrafo intitolato tornare alla nostra terra.

Ma prima di arrivare a questo bisogna andare al cuore del problema che è dato dalla crisi del pensiero umano stesso, incapace di cogliere la complessità nelle sue contraddizioni e al tempo stesso non cosciente della propria inefficienza.

«La cecità nei confronti della crisi in corso è dovuta a una concezione lineare e quasi meccanicistica del divenire, alla convinzione che il futuro sia prevedibile, all’ignoranza del lavoro sommerso in atto sotto la superfice del presente» p. 47. Bisogna capire – afferma Morin nella pagina seguente – che la nostra conoscenza è paragonabile «alla navigazione in un oceano di incertezze, durante la quale ci si rifornisce su isole e arcipelaghi di certezze». La razionalità che pretende l’assoluto adeguamento dell’intelletto alla cosa deve lasciare il passo ad un modo di conoscere che sappia distinguere e riunire antagonismi complementari. «Perché l’universo, la vita, l’umano non obbediscono a un determinismo meccanicista ma a una dialettica di ordine e disordine, organizzazione e disorganizzazione, che comporta alee e biforcazioni, creazioni e distruzioni» p. 61.

La mutazione antropologica, di cui l’autore accenna a pag. 52, richiama per chi ha una certa età e ha seguito le vicende culturali degli anni Settanta del Novecento il discorso di Pasolini  sul consumismo e l’omologazione. Mutare è inevitabile, ma in quale direzione? Morin scarta la metamorfosi del transumanesimo che crea mostruosità e oppressioni e propende per quella umanista, «iniziata con l’abolizione della schiavitù e proseguita con la decolonizzazione, che, malgrado abietti razzismi e suprematismi, malgrado il settarismo in seno agli stessi movimenti di emancipazione, tende a riconoscere la piena umanità di ogni persona» pag.53.

La politica pienamente umanistica deve saper coniugare l’ecologia con l’economia e la socialità, ma le scelte di un governo illuminato, quando comportano dei sacrifici, è assai improbabile possano essere accettate da un’opinione pubblica appiattita sulla fruizione nel presente; innalzare il livello di coscienza sui problemi globali è un compito lungo e difficile. Morin non si nasconde che i processi regressivi che avviano l’umanità verso l’abisso hanno più probabilità di verificarsi rispetto la prospettiva di un’umanità capace di trovare la sua giusta collocazione sulla Terra. Non mancano però, nella situazione attuale come anche nella storia, segni che inducono a sperare.

La risorsa principale è nella mente dell’uomo; nelle ultime pagine di questo breve saggio Morin esprime ancora la sua speranza e fiducia nell’uomo, inteso come un noi universale ricco di intelligenza e di creatività, doti che si confida possano essere messe in atto per superare la pesante situazione in cui ci troviamo. «Le capacità cerebrali dell’essere umano sono in grandissima parte non sfruttate. Siamo ancora nella preistoria della mente umana. Le sue possibilità sono incommensurabili, non solo per il peggio ma anche per il meglio. Se sappiamo come distruggere il pianeta, abbiamo anche la possibilità di sistemarlo».

EDGAR MORIN, SVEGLIAMOCI, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2022

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...