Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

La conoscenza tra ragione e esperienza

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Abstract: questo breve articolo indaga sulla concezione filosofica della conoscenza occupandosi nello specifico di Cartesio e Kant.

Ci capita spesso di dire “La vista mi ha ingannato” ebbene, credo che fosse proprio questo che Cartesio intendesse con la proposizione “I sensi ci ingannano”. Questa frase, apparentemente molto semplice e comune racchiude in realtà un significato filosofico molto profondo, legato alla percezione e all’intelletto. Un’affermazione, dunque, che apre alle porte della riflessione poiché connette la filosofia alla psicologia. In questo breve scritto vorrei esporre l’elucubrazione cartesiana inerente alla questione della sensibilità umana applicata alla realtà. Nel testo “Meditazioni di Filosofia Prima”, il filosofo francese, espone alcune regole che dovrebbero fungere da guida per raggiungere una conoscenza certa del reale. Ciò che più colpisce della strada che Cartesio decide di intraprendere è un gradino fondamentale nell’escalation della  conoscenza, ovvero “il dubbio”.
Egli decide di dubitare di ogni cosa, persino dell’esistenza del suo stesso corpo, il dubbio detto “iperbolico”, ipotizzando che un genio maligno lo stia ingannando. Questo procedimento lo conduce alla sua affermazione più celebre “Cogito ergo sum”. Il filosofo infatti sostiene che si può dubitare di qualunque cosa, ma non del fatto che si sta dubitando e quindi pensando; l’atto stesso del pensare, a questo punto, testimonia l’esistenza del pensante e da qui la proposizione cartesiana “Penso dunque esisto”.
La sua illuminazione filosofica collegata ad una mera concezione razionale, Cartesio fu il padre del Razionalismo, ha destato diverse critiche nel contesto intellettuale del tempo, ciò non toglie che abbia smosso le acque del sapere, centrando l’attenzione della conoscenza non più sull’oggetto, esterno all’uomo, bensì sul soggetto, l’uomo stesso. Egli dunque sostiene che i sensi ci ingannano e che la ragione giunge in nostro soccorso contro l’errore del sensibile. Quando l’individuo percepisce l’oggetto non lo percepisce come è realmente, bensì falsato da altri fattori come, per esempio la lontananza. Tuttavia, un secolo più tardi, il grande Kant, smentirà questa teoria. Nel testo “Antropologia culturale” egli afferma esattamente il contrario: non sono i sensi ad ingannare la mente umana, ma il contrario. È l’intelletto che percepisce l’oggetto rimandatogli dai sensi in modo sbagliato ed occorre, pertanto, uno sguardo più approfondito per individuare la verità. Se ci soffermiamo sulla nozione di percezione in psicologia essa è intesa come “il processo mentale volto a convertire i dati sensoriali in concetti dotati di significato” (cit. Wikipedia).

A questo punto chi dei due ha ragione?
La questione è una e una soltanto.
Entrambi possono ingannare la mente, sia il senso, che la mente stessa.
Solo un approfondimento accurato del dato sensibile, percepito e memorizzato dell’intelletto, può produrre una verità universale e certa. Lo stesso Kant ci parla di categorie dell’intelletto, dimostrando che la mente umana agisce secondo schemi pianificati, e stabilisce anche delle categorie della sensibilità (spazio e tempo) catalogando la conoscenza a mero studio gnosologico.
Il nodo centrale della questione si sposta dunque sul piano della conoscenza per secoli considerata trascendente. Tutto ebbe inizio con la concezione greca di stampo platonico che sosteneva la teoria secondo cui la verità delle cose si trovasse al di fuori dell’uomo, anzi, addirittura al di fuori dal mondo e risiedesse altrove. Platone ci parla di Iperuranio, sede della vera conoscenza, questo mondo altro e superiore in cui risiede la verità. Con Cartesio, nell’epoca antecedente all’ Illuminismo, tutto muta. Non ci troviamo più fuori dalla mente, ma dentro la mente. I sensi ci ingannano, ma la conoscenza si snocciola sulla scia della ragione, unica fiaccola ad illuminare il buio dell’ignoranza, che in epoche differenti ha trainato il carro del sapere. Con Kant la conoscenza muta definitivamente da trascendente a trascendentale, due termini simili ma con significati opposti. Con il termine trascendentale, infatti, Kant intende un nuovo tipo di conoscenza secondo cui è il soggetto che conosce l’oggetto attraverso un’interazione attiva dell’intelletto, non più passivo dinanzi all’esperibile. L’oggetto non colpisce la mente, bensì è la mente che carpisce l’oggetto mettendo in atto il processo che conduce alla conoscenza.
Ecco, dunque, che tutto si snoda nelle sinapsi umane e non più nelle trame del sensibile.
Una conoscenza quasi intelligibile, dunque, come quella ragione che ad esso aspira e a cui giungerà solo in forma di postulato.

Bibliografia:

Meditazioni sulla Filosofia Prima di Renè Descartes,

Antropologia Filosofica di Immanuel Kant.

Autore: Storietralepagine

Scrittrice, laureata in Scienze Filosofiche.

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