Abstract: We calculate the principle of non contradiction (p.d.n.c.) and subsequently we demonstrate it. We map his theory and shift the attention of all the logics to the p.d.n.c. Exactly, with this proof, we want to contain in a single rigor, within the p.d.n.c., all the classic and non classical logics, to conclude that all the logics are given by the p.d.n.c.
Keywords: Principle of non contradiction; Mathematics; Logic; Philosophy.

Simboli speciali:
> Sfumatura (Uso questo simbolo non solo per identificare l’ambiguità della Fuzzy, ma anche uniformemente le altre sfumature che incontriamo o che potremmo incontrare e che forse non si costruiscono come la Fuzzy);
u Ogni numero;
* Relazione;
d Determinazione o Dimostrazione.
- Introduzione
Col presente saggio contiamo dentro il principio di non contraddizione (p.d.n.c.) le logiche classiche e non classiche; per concludere che tutte le logiche si danno dal p.d.n.c. Questa è una divergenza nel modo di intendere il p.d.n.c., in confronto alla storia.
Storicamente il p.d.n.c. ha incominciato ad agire nascostamente nella filosofia fin dai suoi albori, ma fu Aristotele il primo a formularlo; anche se mai lo chiamò p.d.n.c. bensì «il principio più saldo di tutti»1.
Per il p.d.n.c. «è impossibile che la stessa cosa inerisca e assieme non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto»2. La notazione simbolica di tale concetto è «p è q o ¬q», la quale, in termini quantitativi, la traduciamo così:
A 1∨¬1
Il soggetto A ha il valore 1 o non 1.
Es. La torta è gialla o non gialla.
Il nostro conteggio del p.d.n.c. parte rispondendo a questa domanda: Cosa è ¬1 per essere diverso da 1?
L’inusuale risposta trascina con sé la riformulazione di alcuni presupposti del sapere. Per distinguere i saperi trattati, i capitoli che iniziano nel titolo con “Introduzione” sono filosofici: in particolare affrontano ontologie e teoretiche. I capitoli inizianti con “p.d.n.c.” sono formalità: in particolare affrontano Aristotele e commentatori. I capitoli che finiscono con “p.d.n.c.”, assieme al capitolo 4, contengono la matematica del p.d.n.c. Mentre la totalità del saggio mira a modulare la teoria scevra dalle interferenze critiche affrontate invece nelle note: note fungenti anche come traduzione delle suddette riformulazioni del sapere.
- Introduzione all’identità
Prima di partire il conteggio del p.d.n.c. evidenziamo che il presente saggio ha forme matematiche e come tale, per la nostra possibilità, presupponiamo anche noi l’identità dei numeri distinguendo ogni A in maniera univoca:
Principio di Identità
A=A≠¬A
A è A e non è diverso da sé.
Principio di Determinazione
Se A è A e non è non A, allora l’identità ha un duplice vincolo:
- Intrinsecamente è determinata da ciò che è e dalla mancanza di ciò che non è. Ossia rimanda costitutivamente a sé A e alle proprie mancanze ¬¬A. La mancanza di ¬A entra così nella costituzione dell’identità di A, che si determina in sé come “A ∧ ¬¬A”;
- Estrinsecamente è determinata da ciò che non è. Ossia rimanda oltre sé al proprio mancato ¬A. Il mancato ¬A emerge fuori dall’identità di A, determinandosi da essa “Ad¬A” e determinandola a sua volta “¬AdA”.
Abbiamo appena distinto fra presenza A, mancanza ¬¬A, mancato ¬A. La mancanza di qualcosa ha effetti sulla cosa ben distinguibili dagli effetti che avrebbe se non le mancasse, fintantoché non se ne voglia cancellare le differenze. Psichicamente la presenza è “sono A”, la mancanza è “non sono non A”, il mancato è “non A”. Fisicamente la presenza A è oggetto, la mancanza ¬¬A è la sua intrinseca dinamicità, il mancato ¬A è il suo attrattore esterno.
Principio di Mancanza
¬¬A=(A≠¬A)
La mancanza di qualcosa ¬¬A si riduce a quella cosa A a cui manca quel qualcosa ¬A.
Es. “Non essere non A” significa essere A ed essere diverso da non A. La sintesi di qualcosa si riduce alla differenza fra la sua tesi e la sua antitesi.
Se ne conclude che l’identità si costituisce in sé come A∧¬¬A determinandosi reciprocamente oltre sé con ¬A: tutte le cose sono in se stesse incontraddittorie e legate oltre se stesse a ciò che non sono.3
- Introduzione alla dialettica
Dai sopra principi si muove una dialettica siffatta, evolvendo Hegel fra tesi A, antitesi ¬A, sintesi ¬¬A:
Principio di Dialettica universale
Determinata la tesi A essa determina immediatamente e negativamente ciò che non è, Ad¬A, trapassando oltre sé in antitesi ¬A. L’antitesi a sua volta determina immediatamente e negativamente ciò che non è, ¬AdA, trapassando oltre sé in antitesi dell’antitesi ¬¬A. Quivi si riafferma A assieme a ciò da cui era scisso ¬A, in una unità detta sintesi ¬¬A delle differenze (mancanze) e delle uguaglianze (presenze) che caratterizzano il mondo.
Il negativo ¬A è quindi l’immediata determinazione estrinseca di A, e viceversa, affermandosi reciprocamente interno uno ed esterno l’altro: il negativo si fonda su ciò di cui è il negativo, affermandone il fondamento.
In quanto due – nota Stella – essi «devono esibire identità autonome, indipendenti, essenziali al loro mantenersi in relazione»4. Così, benché non li si possa realmente separare, tuttavia essi sono discernibili: i negativi, inseparabili ma discernibili.
Principio di Riferimento
A=A → A≠¬A
L’auto-riferirsi di A ad A, formalizza A come se stesso (tesi A) e come diverso da ciò che non è (antitesi ¬A).
Il carattere della determinazione A è dunque la sua capacità di auto-riferirsi A=A. Solo se si auto-riferisce può formalmente determinarsi come se stesso e diverso da altro: la nozione di identità è la determinazione formale di sé per autoriflessione a sé, intrinsecamente ed estrinsecamente. Tantoché la verità sintetica di ogni identità è la sua unità in guisa inscindibile ma discernibile a ciò che non è: ¬¬A=(A≠¬A).
D’altro canto, ogni determinazione, lasciando fuori di sé ciò che non determina (esclusione estensionale) ma portando dentro di sé tale mancanza (inclusione intensionale), è relativamente isolata dal resto. Parafrasiamo la Spinoza Omnis determinatio est [negativus]5: “ogni determinazione è immediatamente il negativo di ciò che non determina”. Berti illustrerebbe così: «significare qualcosa è significare qualcosa di determinato, e determinato è ciò che si distingue da tutto il resto, ossia ciò che non è [il suo negativo]. Dire qualcosa di determinato equivale dunque ad ammettere che una cosa non è [il suo negativo]»6.
Principio di Negativo logico
Ciò che A non afferma s’afferma come suo negativo ¬A. Il negativo logico di A è la sua totale affermazione indiretta ¬A, sono ognuno l’affermazione dell’altro negativamente a quello che ognuno è, posti assieme in unità ¬¬A.
In matematica, è solo per l’affermazione reciproca dei diversi n che si danno coerentemente le operazioni sulla retta dei numeri, impedendole di collassare per inconsistenza.
Fra A e il suo negativo logico ¬A (es. giallo non giallo) si istaura una reciproca determinazione dialettica; nel senso che il determinato A supera i propri limiti, relazionandosi li trascende, esce da sé per trasformarsi nel determinato ¬A e non essere più A, viceversa. La dialettica è divenire, motore del movimento che porta le singole determinazioni a relazionarsi l’un l’altra. E in divenire, le mancanze ¬¬A di A muovono A al mancato ¬A.
La dialettica muore onde non ha luogo dove andare né altro da dire, come in ciò a cui manca nulla, in immobilità.
- Principio di non contraddizione
Le sopra introduzioni all’identità e alla dialettica, ci permettono rispettivamente di riconoscere e di contare le identità in stile matematico: con ogni n univoco e diverso da ogni altro. Con tale stile partiamo il nostro conteggio del p.d.n.c.:
p.d.n.c. lineare
A 1∨¬1
A è 1 o non 1;
Cos’è ¬1 per essere diverso da 1?
¬1 = 0 ∨ (1>0) ∨ (1∧0) ∨ (¬1∧¬0) ∨ (1∧0>¬1∧¬0) ∨ … ≠ 1
Non 1 può essere 0 oppure una via di mezzo fra 1 e 0 oppure 1 e 0 assieme oppure né 1 né 0 assieme oppure… qualunque cosa diversa da 1;
¬1 = {0, (1>0), (1∧0), (¬1∧¬0), (1∧0>¬1∧¬0), …, u≠1}
Non 1 è l’insieme di tutto ciò che non è uno;
¬1 = u–1
Non 1 è l’intero numero matematico di ciò che non è 1, incomputabile per u asintotico;
1
∑ n =
0+1>0+1∧0+¬1∧¬0+1∧0>¬1∧¬0+…+1 = u
n=¬1
La sommatoria per n che va da non 1 a 1, è ogni numero;
f(n) = [(u≠1) + 1]
La funzione f della sommatoria n fra 1 e non 1 è, la somma di ogni numero diverso da 1 sommato a 1;
[(u≠1) + 1] = u
Somma loop di ogni numero, con u incomputabile perché cresce asintoticamente.
In questa matematica, ¬1 è l’insieme numerico che limita e determina il numero 1 per quello che non è e gli manca. È un insieme negativo perché determina tutto ciò che non è 1, la generica totalità di non 1, incomputabile perché denota asintotico qualsiasi numero diverso da 1, senza però specificarlo, cosicché, aristotelicamente, qualunque cosa non sia 1 cade sotto il concetto ¬1.
Da tale matematica, il p.d.n.c. è un operatore binario 1∨¬1 in cui ¬1 è un insieme con sottinsiemi; in cui se A può essere 1 o ¬1 allora A può essere 1 o qualcosa di diverso da 1 come 0 o 1>0 o 1∧0 o ¬1∧¬0 o qualche combinazione di questi.
- p.d.n.c. Quadrato aristotelico
La sopra matematica apre a una doppia lettura del p.d.n.c., ricalcante il noto quadrato delle opposizioni di Aristotele:
- Il piano universale A dei negativi 1, ¬1, riguarda ogni cosa, l’affermato A e tutto il resto ¬A, nel quale sempre uno è vero e l’altro non vero, per cui non è possibile A∧¬A;
- Il piano naturale B delle opposizioni 0, 1, (1>0), (1∧0), (¬1∧¬0), (1∧0>¬1∧¬0)… riguarda qualcosa, qualche affermato A e qualche altro affermato B, nel quale non sempre uno è vero e l’altro falso, ma forse una via di mezzo fra vero e falso o… per cui è possibile A∧B.
Si noti A∧¬A ≠ A∧B perché B è un elemento di ¬A. Per esempio: l’ippocentauro è possibile perché è a un tempo uomo e cavallo A∧B e il cavallo è solo un elemento di non uomo ¬A non l’intero insieme. Per esempio: fra i negativi A e ¬A non può frapporsi alcuna distanza, assolutamente inseparabili; mentre fra i non negativi A e B possono frapporsi relative distanze fino a segnarli relativamente separati. Per esempio: potremmo prevedere 1∧0 senza che ciò violi 1∨¬1, poiché 1∧0 ha un’identità diversa da ¬1 il quale può essere cose anche diverse da 1∧0.
Con questa parafrasi del quadrato aristotelico anticipo il mondo matematico che andiamo a leggere: iniziamo coi negativi universali, gli angoli in alto del quadrato aristotelico; successivamente le opposizioni naturali, gli angoli in basso del quadrato aristotelico. Esattamente, ciò che andiamo a dispiegare, corrisponde alla seguente parafrasi aristotelica:
p.d.n.c. quadrato
1 | ↔ | ¬1 | Negativi universali (A) |
↕ | ↕ | ||
1 | ↔ | 1–1 | Opposizioni naturali (B) |
- p.d.n.c. Bivalenza e Coppia
Dalla matematica p.d.n.c. raccogliamo e sistemiamo il seguente corollario:
Principio di Bivalenza (di Łukasiewicz7 1921)
L’affermazione essenziale del p.d.n.c. è di essere sempre o vero 1 o non vero ¬1;
Principio delle Coppie Negative (su Whitaker8 1996)
Di una coppia di negativi, necessariamente uno è A e l’altro ¬A.
La Bivalenza è un principio epistemologico9, riguarda la conoscenza del mondo, i suoi enunciati e attribuzioni, le dimostrazioni:
- Non è possibile affermare 1 di A e insieme non affermare 1 di A;
- Non è possibile affermare 1 di A e insieme affermare non 1 di A.
La Coppia Negativa è un principio ontologico, riguarda lo stato del mondo, i suoi oggetti e attributi, il dimostrato:
- Non è possibile che A sia 1 e insieme A non sia 1;
- Non è possibile che 1 appartenga ad A e sotto il medesimo rapporto non appartenga ad A.
Essi non sono sinonimi: uno parla di enunciati e attribuzioni, l’altro di oggetti e attributi. Però sono equivalenti. La loro interderivabilità è fondata da Łukasiewicz su Aristotele10:
- Se è vero che A è 1 allora A è 1;
- Se A è 1 allora è vero che A è 1;
- Se non è vero che A è 1 allora A non è 1;
- Se A non è 1 allora non è vero che A è 1.
Per cui se è vera la Bivalenza allora non è possibile alcuna Coppia negativa contraddittoria. E se non è possibile alcuna Coppia negativa contraddittoria allora è vera la Bivalenza.
- p.d.n.c. Proposizioni
Abbiamo appena detto di una equivalenza fra le forme della conoscenza (l’epistemologia degli enunciati e attribuzioni) e gli stati del mondo (l’ontologia degli oggetti e attributi).
A livello proposizionale, ogni enunciato dichiarativo è un enunciato vero (1) o non vero (¬1), ed è enunciato vero (1) o non vero (¬1) ogni enunciato dichiarativo. Ossia: tutto ciò che si afferma di A è necessariamente 1 o ¬1, così affermare 1 o ¬1 in merito ad A è condizione sufficiente per essere un enunciato dichiarativo.11
Dice Aristotele: è un enunciato dichiarativo quello che «manifesta o dichiara la propria opinione su qualcosa», dimodoché, slittando l’affermazione epistemica a credenza psicologica, ciò che si afferma o si crede 1, possa essere, in verità, ¬1.
Il non vero ¬1 è il negativo logico del vero 1. Ho usato questa coppia negativa a esemplificazione di ogni altra coppia negativa (es. giallo non giallo) che altrettanto bene avrebbe trattato il sopra concetto proposizionale: donde 1∨¬1 è qualunque coppia distinta di negativi.
- p.d.n.c. Equivalenze e Corrispondenze
Nello studio di W. Cavini, la sopra equivalenza di Łukasiewicz corrisponde a ciò che i medievali, G. Buridano, chiamano regula Aristetelis, e che i moderni, M. Dummett, chiamano Tesi di Equivalenza. Parafrasiamone lo studio.12
La regola o tesi di equivalenza, riguarda i rapporti fra l’epistemologia dei soggetti conoscenti, essere vero, e l’ontologia degli oggetti conosciuti, essere:
Principio di Ascesa ontologica
Da essere a essere vero, se A è 1 allora è vero che A è 1;
Principio di Discesa epistemologica
Da essere vero a essere, se è vero che A è 1 allora A è 1;
Principio di Ascesa ontologica negativa
Da non essere a non essere vero, se A non è 1 allora non è vero che A è 1;
Principio di Discesa epistemologica negativa
Da non essere vero a non essere, se non è vero che A è 1 allora A non è 1.
Si segna una corrispondenza fra l’essere dell’oggetto e l’essere vero del soggetto. Tale corrispondenza ha una simmetria matematica con risultati secondo gli ordini di conteggio:13
- Per l’ascesa ontologica da essere a essere vero, se un oggetto A ha attributo 1 allora è vero affermare 1 di A. Tale per cui la verità, essere vero, corrisponde a come stanno le cose, essere. Quivi l’oggetto (essere) è causa in sé di astratte e stabili verità di ragione;
- Per la discesa epistemologica da esser vero a essere, se l’affermazione 1 di A è vera allora si attribuisce 1 all’oggetto A. Tale per cui le cose, essere, corrispondono alla verità del soggetto, essere vero. Quivi il soggetto (essere vero) è causa di per sé di concrete e instabili verità sensibili.
Rispettivamente un ordine che si fa discorso e un discorso che si fa ordine.
Con questa dialettica, l’oggetto di conoscenza e la verità del soggetto conoscente, si intrecciano e corrispondono reciprocamente, in corrispondenza simmetrica, con una causa bidirezionale che può andare da uno (essere) verso l’altro (essere vero) e viceversa. Almeno matematicamente dove la bidirezionalità fra essere ed essere vero è cristallizzata su piani diversi: quello dell’oggetto in sé, ascesa ontologica dell’essere, e quello del soggetto per sé, discesa epistemologica dell’essere vero.
Il risultato scientifico di tale corrispondenza è un osservato essere e un osservatore essere vero che contribuiscono vicendevolmente a costruire la realtà, quindi a renderla vera in questa o quella maniera: fra verità di ragione e verità sensibili.
Filosoficamente parlo codesto pensiero: una ragione in sé (oggetto, noumeno) causa sovrasensibile (ratio efficiens) di come le cose appaiono; e un soggetto per sé (fenomeno) causa sensibile di come si costruisce il mondo. Parlo: ciò che appare necessita di ciò da cui apparire il quale conseguentemente non può apparire ma dal quale conseguentemente si dà quell’apparire. Indi: l’evidenza empirica si fonda sul mandala di sovrasensibili ragioni in sé (leggi, regole etc) che sincronizza e interconnette il mondo in tutte le sue parti. Una ragione in sé (noumeno) sovrasensibile, analiticamente dimostrabile per via mediata tramite le sue conseguenze fisiche e psichiche (fenomeni). Parlo: una ragione in sé (noumeno) accessibile per via esclusivamente intelligibile, immediatamente in puro intelletto, l’intuito; e un apparire (fenomeno) accessibile mediatamente per via di sensibilità e misure. Parlo: non vi è sottodeterminazione teorica in questa filosofia, nessuna alternativa a tutti i dati osservabili, dacché o vi è un ordine sovrasensibile a causa dell’apparire o il mondo è privo di senso. In quest’ultimo caso la realtà è relativa solo all’osservatore, mentre nel nostro caso parliamo di una reciprocità fra osservato e osservatore.
Fisicamente: stante la sovrasensibile ragione in sé, non tutto è energia, benché ogni manifestazione sia energetica. La ragione in sé, noumeno, è fisicamente il tempo, sovrasensibile causa del configurarsi spaziale.
Linguisticamente: la ragione in sé è il senso delle cose, quel riferimento che rimane lo stesso pur davanti ai diversi linguaggi, ciò che permette a ogni concetto di essere espresso tramite tutte le lingue (es. sia che lo chiami casa oppure home, il riferimento resta lo stesso).
- p.d.n.c. Principium negativus
La storia della filosofia segna Alessandro di Afrodisia fra i primi commentatori della bivalenza del p.d.n.c. aristotelico: «è un assioma […] quello per cui i [negativi] non possono essere veri e [non veri] assieme».14 A rigor di un principium negativus 1∨¬1 per il quale due negativi sono diversi, denotando la differenza di questo da quello.
Il principium negativus 1∨¬1 è una Coppia di negativi disgiunti, definente immediatamente tutti i suoi termini di non contraddizione: in positivo ¬(1∧¬1) et in negativo ¬(¬1∧¬¬1). Il principium negativus non è sinonimo semantico dei suoi termini di non contraddizione, poiché esso 1∨¬1 è un ontologico axioma negativus che parla di come stanno le cose, mentre gli altri ¬(1∧¬1) et ¬(¬1∧¬¬1) sono il suo epistemologico axioma contradictionis che parla di come le cose non possono stare.
Non sono sinonimi, sono però logicamente equivalenti, tanto da definirli in uno e come un solo (Jungius15 1638) «Axioma contradictionis completum»: capace di formulare completamente i principia contradictionis (i termini di non contraddizione) del p.d.n.c.
- p.d.n.c. Principia contradictionis
I principia contradictionis del p.d.n.c. definiscono i termini di non contraddizione fra negativi. Essi sono immediatamente derivabili dal p.d.n.c. A 1∨¬1:16
Principio del Secondo Incluso
¬(1A ∧ 1¬A)
Non è vero che, A e ¬A hanno lo stesso valore 1. Ossia è contraddizione l’affermazione assieme vera di una Coppia di negativi, contraddizione l’affermazione in uno di una coppia di negativi, la negazione di un negativo;
Principio del Terzo Escluso17
¬(¬1A ∧ ¬1¬A)
Non è vero che, A non è 1 e ¬A non è 1. Ossia è contraddizione l’affermazione assieme non vera di una coppia di negativi, contraddizione la negazione dell’affermato e del suo negativo per un terzo, la negazione di entrambi i negativi.
In sintesi questa disgiunzione prevede: una Coppia di negativi non possono essere veri insieme (secondo incluso) e non possono essere non veri insieme (terzo escluso), «cosicché in nessun caso entrambe le proposizioni falliscano il bersaglio, ma l’una delle due sia vera».18
I principia contradictionis (secondo incluso e terzo escluso) si distinguono per ordini di conteggio differenti, ma hanno forme equivalenti fra loro. Assieme si risolvono nel p.d.n.c., cioè sono entrambi formulazioni diverse (ordini di conteggio diversi) dello stesso principio. Riadattiamo Suber19 (2002):
p.d.n.c. triangolare
p.d.n.c.
A 1∨¬1
Esattamente uno è vero. Esattamente uno è non vero.
Secondo incluso |
Terzo escluso |
Note:
1 Aristotele, Metafisica IV, 1005 b 11-18.
2 Ivi, 1005 b 19-20.
3 G.W.F. Hegel, Scienza della logica, Roma, Laterza, 2008, 490: «tutte le cose sono in se stesse contraddittorie». Ho appena segnalato che la dialettica di Hegel cancella le differenze fra mancanza ¬¬A e mancato ¬A, così definendo la costituzione contraddittoria dell’identità: A∧¬A. Noi invece distinguiamo fra mancanza e mancato, e ciò ci restituisce una costituzione dell’identità coerente A∧¬¬A. E certo la differenza non è poca, tanto da dover quietar tosti gli spiriti che qui si soffermano: questa è una evoluzione della dialettica, non la sua cancellazione; teniamo a cuore gli occhi dialettici di Hegel ma ne acuiamo la vista. Chiarisco: stante quanto sviluppato qui, chi volesse mantenere la posizione di Hegel dovrebbe anzitutto chiarire come cancellare le differenze fra mancanza e mancato, o come la loro differenza porti comunque al risultato hegelliano.
4 A. Stella, «Incontraddittorio e principio di non contraddizione», in Giornale di Metafisica, 1 (2016), 318-339: 337.
5 B. Spinoza, nel motto ripreso dall’olandese, il termine originale “negativo” significa “negazione”. L’ho sostituito con “negativus” dal tardo latino che significa “negativo”. Ho scelto di iniziare questa critica da un principio così noto in modo da rendere evidente la faglia: non si tratta che ¬A è la negazione di A, non il togliere, bensì ne è l’affermazione inversa, il porre. Cfr. cap. 12.
6 E. Berti, Contraddizione e dialettica negli antichi e nei moderni, Palermo, L’Epos, 2015, 113. Il termine originale “negazione” è sostituito con “negativo”.
7 J. Łukasiewicz, nel suo Logika dwuwartościowa (1921 / tr. Two–valued Logic 1970), chiama «Principio di Bivalenza» la proprietà essenziale degli enunciati di essere sempre o veri o falsi. Qua invece la detta proprietà è di essere sempre o veri o non veri. Questa è una distanza che si staglia da quanti confondono 1∨¬1 come una coppia di opposti vero falso e non come una coppia di negativi vero non vero. Il negativo logico infatti non indica immediatamente ciò che è opposto all’affermato, bensì indica immediatamente tutto ciò che l’affermato non è (compreso il suo opposto). Per questo saggio, ogni volta che si parla di 1∨¬1, la coppia di opposti vero falso viene sostituita dalla coppia di negativi vero non vero.
8 C.W.A. Whitaker, nel suo Aristotele’s De Interpretatione: Contradiction and Dialectic (1996), chiama la sua formulazione Regola delle Coppie Contraddittorie. Noi invece la chiamiamo Coppie negative. Staglio questa distanza per evitare di accogliere gli elementi 1 e ¬1 solo in senso congiuntivo contraddittorio 1∧¬1 e non anche disgiuntivo coerente 1∨¬1. Cfr. cap. 11.
9 J. Łukasiewicz, nel suo O zasadzie sprzeczności u Arystotelesa (1910 / tr. Sul principio di contraddizione in Aristotele 2000), chiama principio logico, con riguardo ai valori di verità dei giudizi, ciò che qua chiamo principio epistemologico. W. Cavini, in Principia Contradictionis (2007), gli ribatte che dal suo principio restano fuori quegli enunciati «in cui non si parla né di giudizi e non di oggetti e attributi, ma di ciò che si predica o è vero di qualcosa». Tale per cui preferisco apostrofare questo principio come “epistemologico” per due motivi: Anzitutto perché la scienza della conoscenza tratta una gamma di valori più ampia del mero giudizio, e in questa ampiezza la usiamo; Secondariamente perché, collegando la forma degli oggetti alla forma della conoscenza, uso la logica come tramite formale con cui trapassare da ontologia a epistemologia e viceversa. Cioè intendo la logica come forma propria sia degli oggetti che della conoscenza, a ognuno a proprio modo.
10 Aristotele, De interpretatione, 9, 18 a39-b3, tr.it W. Cavini: «Se infatti è vero dire che è bianco o non è bianco, allora necessariamente è bianco o non è bianco, e se è bianco o non bianco, allora era vero affermare o negare; e se non sussiste, allora si dice il falso, e se si dice il falso, allora non sussiste».
11 Ivi, 4, 17 a2-3: «non ogni enunciato è dichiarativo, se non quello cui appartiene l’essere vero o falso». Da tale concezione aristotelica di opposti vero-falso (1∨0) sorgono enunciati non dichiarativi, poiché o paradossalmente né veri né falsi, o di cui ancora non si sa se sono veri o falsi in futuri contingenti. «Di conseguenza è chiaro che non necessariamente di ogni affermazione e negazione opposte l’una è vera e l’altra falsa» (Ivi, 9, 19 a39-b2). Con questa matematica invece, ponendo la contraddizione non più fra opposti 1∧0 ma fra negativi 1∧¬1 (vero o non vero), anche le dette eccezioni aristoteliche sono enunciati dichiarativi poiché cadono nelle possibilità di ¬1. Così, mentre l’interpretazione aristotelica vero falso del p.d.n.c. enuncia alcuni enunciati come non dichiarativi, la nostra matematica vero non vero del p.d.n.c. invece attribuisce anche a tali enunciati carattere dichiarativo.
12 W. Cavini, Principia Contradictionis. Sui principi aristotelici della contraddizione, Roma, Fabrizio Serra, 2007, 143-147.
13 Aristotele, Categorie, 12, 14 b14-22: «l’enunciato vero non è in alcun modo causa del fatto che la cosa sia così». Si noti che matematicamente non si trova questa asimmetria aristotelica nel p.d.n.c. E non trovandola matematicamente, l’ivi citazione aristotelica, mi pare il tipico pregiudizio per cui il soggetto non ha margine di possibilità nel posizionare le cose secondo proprio riguardo, benché costruisca verità e mondi contingenti che di fatto accadono e sono misurabili, mettendo in crisi fisicamente e non solo matematicamente quel tipico pregiudizio. Un pregiudizio qui accantonato a favore di una simmetria matematica e fisica fra essere ed essere vero. Tale simmetria non significa affatto la loro uguaglianza, con tutte le differenze fra conteggio negativo-regressivo e conteggio positivo-progressivo.
14 M. Bonelli, Alessandro di Afrodisia e la metafisica come scienza dimostrativa, Napoli, Bibliopolis, 2001, 62. Nel commento di Afrodisa a Metaph. B 1, 995 b6, il termine originale “contraddittori” è sostituito da “negativi”. Il termine originale “falso” è sostituito da “non vero”.
15 J. Jungius, Logica Hamburgensis, Hamburgi, Literis Rebenlinianis, M. DC. XXXVIII., 324-325.
16 Aristotele “chiama” p.d.n.c. il principio in cui i negativi non possono essere veri assieme, e chiama Terzo escluso il principio in cui i negativi non possono essere falsi assieme. I moderni invece chiamano principio di contraddizione il principio capace di riassumere i due detti principi aristotelici. Per mio conto ho scelto di chiamare p.d.n.c. ciò che riassume entrambi i principi, e anche di cercare di mostrare il perché della mia scelta.
17 Si devono a C. Wolf, nel suo Philosophia Prima, sive, Ontologia (1729), i nomi divenuti canonici per il p.d.n.c. e il terzo escluso. Egli chiama «principiu contradictionis» la formulazione negativa diretta del p.d.n.c.: Fieri non potest, ut idem simul sit & non sit. Invece chiama «principium exclusi medii inter duo contradictoria» la formulazione affermativa diretta del p.d.n.c.: Quodlibet est vel non est. Ho già detto della mia diversa impostazione con al vertice il p.d.n.c.
18 A. Longo, «Siriano e i precedenti pre-aristotelici del principio della contraddizione», in Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale, XV (2004), 81-97: 85-86.
19 P. Suber, Non-Contradiction and Excluded Middle, https://legacy.earlham.edu/~peters/courses/logsys/pnc-pem.htm, 1: «– PNC at most one is true; both can be false – PEM at last one is true; both can be true – PEDC exactly one is true; exactly one is false».