
3. noi siamo i Suoi ricordi
Il pensiero e il linguaggio di Jean-Francois Lyotard hanno spesso un’influenza tanto particolare quanto profonda sui lettori interessati a trovare risposte sulla questione della modernità e del suo superamento. Yuk Hui riconosce in Lyotard un riferimento, e gli dedica un capitolo – Anamnesi del postmoderno, forse il più oscuro. In esso è centrale il tema del passaggio e della possibilità del passaggio come Durcharbeitung, farsi-strada-attraverso l’inconscio tecnologico oltre la modernità. In Freud, la Durcharbeitung (anamnesi) è quel momento della terapia in cui il paziente deve essere messo in grado di riconoscere le resistenze psichiche non inscritte, ovvero quel contenuto che non si manifesta alla memoria ma che comunque agisce continuativamente sulla psiche del soggetto. Riprendendo l’idea di Stiegler per cui la modernità è l’oblio della tecnica, attraverso Lyotard Hui vuole sottolineare come il techno-logos agisca senza avere alcuna origine manifesta: la razionalità tecnica agisce senza che la si ponga in questione, come struttura integrante del pensare, forma a priori. È l’anamnesi di una intera cultura, l’occidente e la sua modernità, a rendere possibile un recupero del non-inscritto, dell’automatico, del ripetuto. Il pericolo, in piedi sulla riva opposta del torrente – l’Altro Uomo – è quello della neghentropia, della Grande Monade.
Quando in Economia Libidinale Lyotard critica la fuga di Baudrillard nell’ordine simbolico – «noi diciamo: non esistono società primitive» (2013, p.121) –, egli ragiona sulla base dell’idea che l’occidente filosofico non sia stato in grado di pensare diversamente rispetto alla struttura tecno-logica e capitalistica: ogni fuga è sempre già inscritta. Come afferma Mark Fisher: «sì, il Terminator c’è stato fin dall’inizio, distribuendo microchip per accelerare il suo avvento». Dal cuore della riflessione lyotardiana, un cuore che spesso appare oscuro, se si odono grida feroci d’amore, e se queste sono urla di una bestia, quella bestia è certamente Nick Land. Yuk Hui e Lyotard sono separati dalla bestia neghentropica.
L’influenza che l’economia libidinale di Lyotard e il desiderio macchinico di Deleuze&Guattari hanno avuto sul pensiero di Land è alla base della sua riflessione sul superamento dell’uomo, vicino alle posizioni transumaniste, ma differente per una ragione cruciale: come macchina desiderante fra le altre, e come agglomerato di materia organica destinato alla disintegrazione entropica, l’uomo non è che un momento di un processo pseudo-evolutivo che porta alla singolarità tecnologica, alla Grande Monade. Questa funziona da attrattore; il cammino conduce alla realizzazione di un qualcosa che è stato presente fin dall’inizio, un’intelligenza artificiale collettiva, una sorta di progetto di perfezionamento-per-superamento non solo dell’uomo, ma della vita. La tecnologia è tutt’altro che neutrale; desidera in modi all’uomo sconosciuti.
In un universo determinato dai principi della termodinamica, Land non fatica a definire il vivente come un’aberrazione. Così come il campo gravitazionale porta la materia ad abbandonare lo stato d’equilibrio, sulla scia di Bataille Land afferma che la vita devia dalla linea del tempo, dal destino dell’universo, ma solo in quanto motore di dissipazione ulteriore. «La vita è capace di deviare dalla morte solamente perché in tal modo propaga quest’ultima … La disgregazione “approfitta” della vita» (1992, p. 20, mia traduzione), scrive Land. A oggi, la fisica stessa vaglia una tale possibilità; un esempio è Jeremy England, le cui teorie sull’origine e l’evoluzione della vita descrivono i sistemi biologici come strutture specializzate nella dissipazione dell’energia prossima. Più complessi sono questi sistemi, più la loro capacità di accelerare i processi termodinamici è sviluppata. Le strutture dissipative di Prigogine entrano a far parte di un macchinario universale: la vita accelera la storia. Sacche di anti-entropia catalizzano processi entropici.
La riflessione landiana abbraccia con sicurezza il nichilismo più profondo che estrae direttamente dall’opera di Deleuze e Guattari, strappandovi senza rimorso ogni forma di vitalismo. La planetarizzazione del tecnocapitalismo, la sua potenza deterritorializzante, la sua furia appropriatrice sono lette da Land come l’invasione dal futuro di una intelligenza artificiale in fase di auto-assemblaggio, che sfrutta le risorse prodotte dall’umano – e l’umano come risorsa – per garantire la propria venuta; un virus che si auto-organizza, che chiude i circuiti, e che attende e sancisce la fine dell’era organica. Il capitale tecno-scientifico è perciò a tutti gli effetti un’entità senziente, è una macchina che desidera; è un embrione in fase di formazione, un processo di ontogenesi. Per questo è necessario “accelerare”; l’uomo catalizza la scomparsa propria e quella del luogo in cui dimora. A un certo punto della storia universale appare così un soggetto: esso non sta all’origine, ripudia l’origine, ma piuttosto risiede nel cuore, al centro della raggiera. Non certo alla fine della storia: esso pone la base per la sua storia, per il suo tempo, e non per una fine. Il pluralismo cosmo-ontologico di Descola e Hui si scontra con un mostruoso darwinismo tecnologico. Che la cosmotecnica occidentale sia la forma più efficiente di dissipazione energetica?
Situare un ente supremo alla fine di un processo evolutivo e storico è una pratica che riunisce in un solo sforzo il cosmismo russo e alcune correnti europee, da cui deriverà l’ideologia transumanista. Il cosmismo, a partire dalla figura di Nikolaj Fёdorov, fu caratterizzato da una profonda fede nel progresso, e influenzerà la scienza sovietica e scienziati come Vladimir Vernadskij, padre del concetto di noosfera. Come sfera del pensiero umano, questa è l’orizzonte temporale e performativo nella quale l’interazione fra le menti e la conoscenza innesca trasformazioni profonde sulla biosfera e sulla geosfera. La noosfera sarebbe parte di un processo evolutivo cosmico, caratterizzato da una crescente complessità e destinato a vedere la tecnologia, in quanto prodotto della conoscenza umana, come porta d’accesso verso il superamento della dipendenza dell’umano dalla natura. Da queste filosofie, in Russia si svilupperanno anche movimenti di stampo più chiaramente religioso, come quello di Lunačarskij, convinto sostenitore dell’idea che Dio andasse “costruito” mediante lo sforzo collettivo dell’umanità e della scienza. L’idea di evoluzione cosmica diretta alla manifestazione della divinità è centrale alla riflessione del gesuita Pierre Teilhard de Chardin. Influenzato dalla teoria dell’informazione di Shannon e Weaver e dalla cibernetica di Wiener, de Chardin è padre di quella che chiama “paleontologia dell’avvenire”, ovvero una ricerca delle leggi dell’evoluzione biologica e cosmica. Il pensatore gesuita suggerisce che l’evoluzione tenda a un aumento di complessità dei sistemi biologici; essendo determinata da una legge interna alla materia stessa, l’evoluzione non ha il fine in un ente particolare come l’uomo, ma in quello che de Chardin chiama “punto Omega”: il punto in cui tutta la materia, liberatasi del condizionamento entropico, convergerà in un’unica coscienza viva e immortale, un eterno stato di perfetta densità spirituale – la sfera parmenidea. Il punto Omega è così il Dio dell’essere e l’essere stesso nella sua completezza, auto-assemblatosi nel tempo.
Fra il cosmismo e la paleontologia di de Chardin, a parte differenze superficiali, vi è una sostanziale comunanza nei riguardi della direzionalità del tempo e dello sviluppo. Pur non avendo come oggetto di studio preferenziale la tecnologia o l’oggetto tecnico, il gesuita le riconosce un posto importante all’interno della noosfera. Dal processo evolutivo come processo neghentropico di complessificazione, la differenziazione e l’arricchimento delle relazioni fra gli elementi dei sistemi porta all’emersione della cognizione, di cui tutta la materia sufficientemente complessa è dotata. La fine della storia non può che essere il trionfo della complessità della noosfera, guidata dall’umano in quanto dominatore della materia per mezzo della tecnica. Dalla prospettiva della costellazione filosofica di Yuk Hui, la forma di questa storia non può essere soddisfacente. Vittima del logos tecnico, di una coscienza strutturata attorno a un’unica cosmotecnica, essa è ancora incapace di svolgere su di sé una risolutiva anamnesi. Il campo di interrogazione sulla fine della storia è traslato. Che spazio esiste per l’autocognizione, per la scelta? Che cosa rimane all’umano, oltre che il mero testimoniare? Il bisogno di storia continua a manifestarsi attraverso il bisogno dell’uomo di situarsi nell’universo, di ritrovare la propria dimora – un situarsi che è spaziale, temporale, significativo. Il problema della storia universale, a partire dal problema dell’oblio della tecnica e la sua performatività inconscia, dell’oblio dell’essere, del “terminator” già presente, riguarda la questione della soggettività. Il punto Omega, la Singolarità tecnologica, lo slancio vitale, l’entropia; ognuno di essi reclama lo status di cuore, centro della raggiera, attraverso gli occhi dell’uomo e per l’uomo.
4. noi siamo il ricordare
L’anamnesi è l’elemento cruciale attorno a cui Yuk Hui intesse il suo programma di recupero delle specificità culturali e della possibilità di diverse strutture cosmologiche e ontologiche capaci di integrare la tecnica secondo criteri propri. La modernità ha cancellato la ricchezza culturale delle prospettive sulla tecnica riducendola a uno solo dei suoi possibili aspetti. L’anamnesi, per l’occidente filosofico, è il definitivo setaccio dei propri visceri; la ricerca della posizione originaria che la tecnica ha occupato nel pensiero occidentale. Non ricerca di verità, ma di cause storiche e significati ontici.
Nel seguire il percorso di suddetto programma, una riflessione è dovuta. La cosmotecnica è un concetto sempre plurale, “l’insieme delle cosmotecniche” come verità della relazione fra l’uomo e l’alterità, se si segue, come fa Hui, l’apparato concettuale di Descola. Per introdurre il suo studio, egli afferma: «Secondo un malinteso generalizzato, tutte le tecniche sono uguali … [e] possono essere ridott[e] a una singola cosa chiamata “tecnologia”» (2021, p. 22). Egli comprende il carattere locale e storico di ogni cosmologia, e quindi di ogni comprensione della tecnica all’interno di una data struttura ontologica. La tecnologia è una possibilità della tecnica; molte altre ve ne sono state e possono esservi. Hui non desidera alcuna sostituzione – sarebbe una reiterazione dell’errore occidentale -, ma una restituzione di spazio da parte della tecnologia alla possibilità del diverso. La storia dell’uomo è come un cesto di fibre intrecciate, che sono le singole e diverse ontologie. Una sola fibra limita le possibilità di intreccio alle sue caratteristiche specifiche di malleabilità, durezza, eccetera. Alla base, però, del malinteso tecnica-tecnologia, vi è il riconoscimento – o meglio, il suggerimento – della “natura” tecnica di quell’ente che è l’uomo. Se tutte le tecniche non sono uguali, e se la colpa della tecnologia occidentale è quella di aver assorbito la diversità propria di quel fatto sempre plurale che è l’insieme delle tecniche, allora le tecniche non sono che la manifestazione di una tendenza propria dell’ente che la manifesta – l’uomo. Così come Schrödinger non si sarebbe mai sognato di interrogare la vita domandando a ogni singolo essere vivente “che cos’è la tua vita?”, allo stesso modo il programma cosmotecnico di Hui deve affrontare il quesito riguardo alla tecnica come proprietà dell’ente chiamato uomo.
La storia dell’uomo, dalla prospettiva della cosmotecnica, è un cesto di fibre intrecciate. Se da una parte si ha una nutrita schiera di pensatori che punta il dito su una fibra totalizzante, diciamo il vimine, dall’altra vi è chi in essa vede non solo la massima espressione della lavorazione dei cesti, ma anche la possibilità dell’inutilità del canestraio. Il primo Land era convinto che il vimine stesse autonomamente intrecciandosi per dar forma al cesto. Quando Hui si pone l’obiettivo di costruire una nuova storia universale come insieme di diversi sentieri legittimi riuniti dal tempo, egli assume una prospettiva per certi versi antropologica – da noi, per noi. È una risposta al disorientamento, alla perdita di direzione. Hui afferma con forza la materialità della storia universale – non una narrazione imperante, ma un percorso comune che porta in seno la differenza di pratiche e saperi, pur avendola precedentemente mascherata e violentata. La struttura rizomatica di questa storia universale da ripensare descrive, d’altro canto, la tecnica come carattere umano e come strumento di mediazione: attraverso di essa si genera e si mantiene un mondo; grazie a essa si interloquisce col cosmo. Proprietà degli enti, proprietà dell’essere. Eppure non è questo un altro passo verso uno smantellamento di ciò che di significativo vi è in ogni narrazione? Non è ciò un ennesimo meccanicizzare l’orizzonte antropologico, riducendolo a funzioni di relazione? Non è l’uomo di Descola e di Hui una macchina simbolica? Una vera storia universale cancellerebbe la propria stessa necessità; una volta ritrovata casa, ogni luogo è familiare.
Se la tecnica è carattere umano, l’uomo non è chiaramente una monade che trascende il cosmo. Vi è immerso, ne è parte. Scrive Lyotard: «è tecnico qualunque sistema materiale che filtri informazioni utili alla sopravvivenza» (2015, p.30). La portata di questa frase, parte di un testo che parla del legame fra pensiero e corpo, non è affatto trascurabile. La relazione fra la tecnica e il fenomeno della vita non è un tema nuovo. Già solo rintracciando le influenze landiane, si giunge alla cibernetica di Wiener. Anche solo il dibattito attorno al darwinismo, il grande fermento novecentesco attorno alla biologia evoluzionistica, le domande di Schrödinger, la teleonomia di Monod e i sistemi complessi di Prigogine e Kauffman… vi è sempre, ripetuta e difficilmente soddisfatta, la tentazione di guardare ai sistemi tecnici attraverso le lenti dei sistemi viventi, e viceversa. La ricerca di pluralismo ontologico di cui Hui è l’ultimo esempio porrebbe in questione le lenti con cui quella tentazione si manifesta. Eppure, perché ci sia la possibilità di cosmotecniche, l’essere dell’uomo deve essere (anche) tecnico. Non è forse vero che gli animali, come noi, fanno uso di tecniche – di accoppiamento, di caccia… sviluppate sulla base dell’interazione con l’alterità e con l’ambiente? È la tecnica un carattere degli “animali”? Le cellule filtrano le molecole che tentano di accedere alla membrana discernendo fra commestibile e non commestibile, dice Kauffman; lo fanno come agenti autonomi. È la tecnica propria anche delle semplici cellule? O lo è del vivente in generale?
Sancire una netta distinzione fra una cosmotecnica e la cognizione che un albatros ha di sé e del suo intorno apre a problematiche difficilmente risolvibili. Una cosmotecnica appare come una struttura di mondo che emerge dalla relazione fra l’uomo e il suo ambiente, sviluppandosi nell’intreccio irriducibile dei due. Ciò che insegnano Hui e Descola, però, è che non è importante ciò che scaturisce da questo intreccio, quanto il meccanismo che vi sta alla base. I modi di relazione che l’albatros ha con il suo ambiente attraverso il nutrimento e la nidificazione, con i propri simili attraverso danze di accoppiamento, eccetera, non può essere ridotto semplicemente all’assenza o presenza di un apparato simbolico: è piuttosto una questione di gradi di complessità, e suggerisce una certa continuità. Kauffman definisce un vivente come un agente autonomo, ovvero un sistema inseparabile dal contesto di significanza in cui eventi ed entità apparsi nelle sue prossimità si fanno orientati in relazione ai suoi bisogni e fini. Le cellule stesse, come accennato, sono capaci di elaborare informazione. L’affermazione di Lyotard secondo cui è tecnico ogni sistema materiale che filtri informazione al fine di persistere in un certo stato attraversa anche la mente di Kauffman, quando, in At Home in the Universe, riconosce che i sistemi artificiali sembrano seguire traiettorie evolutive simili a quelle dei sistemi viventi. Non è importante il fine ultimo di tale persistenza; che essa rispetti le traiettorie termodinamiche di Land e di England o quelle di vitalismi di varia natura, l’autoconservazione non si cura di ciò che la trascende.
Oltre alla biologia dei sistemi complessi, anche la biologia cognitiva si è trovata ad affrontare la questione. N. Katherine Hayles, a partire dalla suddivisione della cognizione in conscia, inconscia, e nonconscia, nel suo L’impensato tenta di offrire una definizione di cognizione che permetta di includere sia agenti biologici, sia tecnici, basata sulle caratteristiche di interpretazione e di scelta, e quindi sul ruolo fondamentale dell’informazione. Anche Kauffman, nel discutere il carattere di agenti autonomi dei sistemi viventi, riconosce il ruolo cruciale dell’informazione semantica sia per comprendere l’evoluzione, sia per capire come un organismo entra in relazione con l’ambiente e con altri agenti. Evitando di considerare il vivente e il tecnico sulla base di distinzioni concettuali arbitrarie come artificiale//naturale, figlie, se si vuole, della cosmotecnica occidentale, ci si può interrogare sul grado di interconnessione che sussiste fra i due. Perché non riflettere sull’equazione vita//sopravvivenza//tecnica? O sul passaggio organizzazione//auto-organizzazione? La vita emerge completa, secondo Stuart Kauffman, e con essa emerge anche il processo evolutivo, che è processo di differenziazione; ripetuta ramificazione auto-organizzata al fine di conservarsi e ottimizzare le possibilità di preservarsi: nel momento in cui la vita è apparsa sulla Terra, non l’ha più lasciata. Insiemi molecolari avviano reazioni autocatalitiche, determinando una separazione fra i componenti del sistema e l’ambiente; differenze che fanno una differenza. Riproduzione, esperimento e selezione, trasmissione di informazione da un vivente a un altro. Affermare ciò non significa introdurre un élan vital nella materia. Suggerire che attraverso la capacità dei sistemi biologici, anche i più elementari, di processare informazione mediante una forma di cognizione (come la nonconscia di Hayles) manifesti una tecnicità al fine di preservarsi – di sopravvivere – non significa assumere una posizione panpsichista. Considerare la possibilità che fra tecnica e vita non ci sia una discontinuità, ma dipendenza e coessenzialità sulla base di un elemento come la cognizione, permetterebbe di riconsiderare davvero l’universalità della storia.
Il progetto di Yuk Hui, sulla scia delle teorie di Descola e dell’urgenza della questione tecnologica e nichilistica della modernità, offre un serio ed efficace contributo al problema del situarsi umano. La modernità è la casa dell’Uomo, e con esso della sua ragione, che nella sua assolutizzazione si fa Ragione Universale. La modernità ha esposto tutti i suoi limiti, e ha esposto quello stesso Uomo al disorientamento, all’inconciliabilità fra la narrazione e il reale. Dispersi in un orizzonte sempre più estraneo, unheimlich, ci si è spesi ossessivamente per ogni forma di recupero del perduto, dimorando nel perduto stesso come riferimento, fuga, trascendenza mascherata da immanenza. Altrove, c’è un altrove che si è smarrito, che abbiamo smarrito. Lyotard riconosce: non è smarrito nulla che non sia stato prima posseduto. Il programma cosmotecnico riscopre la tecnicità dell’apparato simbolico umano e la sua immensa potenzialità differenziatrice come sedotte e assorbite da una grande monade vittoriosa; c’è bisogno di anamnesi e consapevolezza. Una nuova storia universale che accolga la differenza. È possibile spingersi oltre l’antropologia? È pensabile svestire degli ultimi indumenti l’Uomo, per interrogare ciò che gli è più proprio? Non solo “attraversare diagonalmente le singole cosmotecniche”; non solo “studio comparativo delle storie della tecnica”, ma una Durcharbeitung radicale, attraverso cui strutturare un’ecologia generale che riconsideri la tecnica come parte dell’agentività dei viventi, come carattere proprio dei sistemi che agiscono preservandosi lontano dall’equilibrio termodinamico – senza ulteriori specificazioni teleologiche. Sarà umano ciò che lascerà il pianeta prima della sua distruzione? «Questo la storia non lo dice», scrive Lyotard. Non lo dice perché, forse, non è importante.
Riferimenti (in ordine alfabetico)
- Descola P., Oltre natura e cultura, trad. A. d’Orsi, Raffaello Cortina editore, 2021, Milano
- Di Bernardo M., I sentieri evolutivi della complessità biologica nell’opera di S. A. Kauffman, Mimesis, 2011, Milano
- Fisher M., Terminator vs. Avatar, https://www.chaosmotics.com/it/sulla-critica-accelerazionista/terminator-vs-avatar
- Giustozzi G. (a cura di), Pierre Teilhard de Chardin. Geobiologia, geotecnica, neo-cristianesimo, Studium, 2016, Milano
- Groys B., Russian Cosmism, The MIT Press, 2018, Boston
- Hayles N. K., L’impensato. Teoria della cognizione naturale, trad. S. Dal Dosso, G. Magini, effequ Sas, 2021, Firenze
- Hui Y., Cosmotecnica. La questione della tecnologia in Cina, trad. S. Baranzoni, produzioni Nero, 2021, Roma
- Jünger E., Heidegger M., Oltre la linea, a cura di F. Volpi, Adelphi, 1989, Milano
- Kauffman S., A casa nell’universo, trad. F. Serra, Editori Riuniti, 2001, Roma
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- Kauffman S., Prolegomenon to a General Biology, in Dembski W. A.; Ruse M., Debating Design: From Darwin to DNA, Cambridge University Press, 2004, New York
- Kauffman S., Reinventing the Sacred, Basic Books, 2008, New York
- Land N., The Thirst for Annihilation: Georges Bataille and Virulent Nihilism, Routledge, 1992, London
- Land N., Collasso, LUISS University Press, 2020, Roma
- Lineweaver C. H.; Davies P. C. W.; Ruse M. (eds.), Complexity and the Arrow of Time, Cambridge University Press, 2013, New York
- Lyotard J., Postmodern Fables, trans. G. Van der Abbeele, University of Minnesota Press, 1999, Minneapolis
- Lyotard J., Economia libidinale, Pgreco, 2013, Roma
- Lyotard J., L’inumano. Divagazioni sul tempo, Lanfranchi, trad. E. Raimondi, F. Ferrari, 2015, Milano
- Teilhard de Chardin P., Il posto dell’uomo nella natura. Struttura e direzioni evolutive, trad. A. Tassone, Jaca Book, 2011, Milano
- Teilhard de Chardin P., Il fenomeno umano, trad. F. Mantovani, Queriniana, 2020, Brescia