Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

L’IDENTITÀ NEL CINEMA

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>di Giovanni Mazzallo*

La narrazione cinematografica si esplica a partire da un nucleo essenziale che racchiude lo sviluppo della storia mostrata e dei personaggi che la caratterizzano. Il dispiegamento della trama non comprende unicamente l’intreccio nella sua linearità (composta dai fatti salienti che costituiscono l’azione, in termini di commedia o di dramma), ma implica (alla base di quello stesso intreccio) diramazioni non lineari che concorrono alla formazione dell’identità sia della storia sia dei suoi protagonisti. L’identità dei protagonisti forgia l’identità della storia che, a sua volta, plasma l’identità dei personaggi: il carattere dei personaggi fonda la trama, la trama (originata dagli atti dei protagonisti) si riflette (per via della concatenazione degli eventi) sui personaggi che in tali eventi si trovano dovendo agire di conseguenza.

La storia (la sua identità) non può esistere senza i personaggi così come i personaggi (la loro identità) non possono esistere senza la storia; la storia e i personaggi sono la stessa identica entità concepita nel suo essere bifronte (da un lato come intreccio e dall’altro lato come agenti della narrazione), i protagonisti compongono la storia, la storia definisce i personaggi rivelandoli progressivamente nella loro realtà interiore. L’oggettività di quanto narrato è imprescindibilmente vincolata alla soggettività che ha prodotto l’instaurarsi della trama, la realtà esteriore (propria della storia) sorge dalla realtà interiore (propria dei personaggi) e la determina; la realtà interiore interagisce continuamente con quella esteriore conseguendo esiti differenti. L’identità di un personaggio è data da molteplici fattori caratteristici del tempo da lui vissuto, è un sentiero che va ricostruito in riferimento al passato e che (in relazione al presente, dunque anche al futuro) non può mai cessare di accrescersi assumendo sfumature e connotati che possono ampliarne l’orizzonte. L’identità (desumibile esclusivamente per il passato) rimane comunque un mistero nella sua universalità temporale poiché sono imprevedibili le sue trasformazioni: la natura dell’identità non è la fissità, ma il suo stesso trasmutare che la rende possibile (Cfr. Berys Gaut, A philosophy of cinematic art, Cambridge University Press, 2010, pp. 197-202) . Il trasformarsi dell’identità è dovuto al suo necessario relazionarsi con la realtà esteriore che fa emergere le proprietà essenziali dell’identità che (dai fondamenti delle sue proprietà intrinseche) si crea e si ricrea in conformità alle esperienze (alla storia) che hanno costituito il suo tempo (la sua esistenza). Le trasformazioni dell’identità sono date dal e nel tempo (il tempo è l’essenza dell’identità).

La dispersione ottica comporta la separazione della luce nelle sue varie componenti cromatiche spettrali. Il cinema compie la medesima operazione nei confronti dell’identità

Le azioni (che intessono la storia) sono elaborate dai pensieri del protagonista (dalla sua mente), la mente si forma e trasforma perennemente in seguito all’interazione delle sue proprietà essenziali con l’esterno: l’interno (la soggettività) è condizionato dall’esterno (l’oggettività) che è poi determinato dall’interno in continua ripercussione vicendevole. Nel cinema l’identità attuale del protagonista è presentata nella scomponibilità delle direttrici che l’hanno elaborata tramite sia sequenze di flashback e tratte dal tempo presente (che mostrano ciò che nessun altro ha potuto vedere e conoscere del protagonista) sia le prospettive fornite da altri personaggi che concepiscono e interpretano l’interiorità del protagonista e le sue azioni dalla loro angolazione personale. L’io del protagonista risulta essere un intreccio di molteplici vettori di significato che tendono ad esaurire tutte le prospettive che è possibile assumere in merito alla scoperta della reale identità del personaggio esaminato; il cinema consente di prendere visione della fenomenologia di un personaggio non considerando l’agente in sé, ma esponendolo sulla base della sua storia individuale. È la storia, il passato che determina il protagonista, il suo agire, la sua realtà interiore (Cfr. André Bazin, Theater and cinema in Film theory and criticism a cura di Leo Braudy e Marshall Cohen, Oxford University Press, 2009, pp. 353-355). Ogni personaggio (ogni soggetto conoscente) è necessariamente (per poter essere tale) la sua storia (in caso contrario non esisterebbe), tale storia può essere compresa sulla base sia della visione posseduta dal personaggio (dall’interno) sia della visione fornita da chi vede il personaggio (dall’esterno). In entrambi i casi si adotta l’ottica temporalizzata della soggettività, nel primo caso rivolta verso l’interno e nel secondo caso rivolta verso l’esterno. L’ottica temporalizzata dell’oggettività può essere data dalla sommatoria delle due visioni, pur restando che la pura oggettività è raggiunta essenzialmente senza l’assunzione dell’ottica soggettiva. L’occhio del cinema è al contempo sia soggettivo sia oggettivo. La complementarità di oggettività e soggettività esistenti simultaneamente nel cinema comprende l’intero spettro di interpretazione di quanto diventa oggetto di visione: l’allestimento cinematografico può fondarsi esclusivamente sull’ottica oggettiva (o su quella soggettiva) oppure includere entrambe condizionando l’interpretazione che il soggetto elabora di ciò che ha visto (Cfr. Dominique Chateau, Philosophies du cinéma, Armand Colin, 2010, pp. 30-39).

I domini spazio-temporali descritti nella relatività generale einsteiniana rappresentano nel cinema trame spazio-temporali in cui sono legate le prospettive sull’identità dei personaggi

Nell’esistenza fisica ogni evento ed ente è oggetto di interpretazione con cui si dà un senso ad ogni fenomeno, senza interpretazione l’esistenza sarebbe priva di significato perché la realtà perderebbe ogni possibilità di comprensione; il cinema (estendendo l’interpretazione anche alla regione dell’oggettività desoggettivata) fornisce al soggetto conoscente la prospettiva di una terzietà di percezione (e comprensione) che può far sorgere in lui altre interpretazioni (altre concezioni) che rendono più vasta la sua comprensione non solo dei personaggi (dell’opera filmica), ma anche della realtà circostante (il cinema può svelare altri punti di vista da cui concepire la realtà). Il ridimensionamento della percezione della realtà significa l’immaginazione (intesa come ricostruzione oggettiva su base soggettiva) dei tempi (dell’identità) altrui (degli altri soggetti, della realtà in sé), il soggetto (nella sua identità) che prefigura (nella sua soggettività) l’alterità (l’identità degli altri) in modo oggettivo. Il cinema dimostra che il soggetto può conseguire l’oggettività su basi soggettive (Cfr. Gregg Lambert, Cinema and the outside in The brain is the screen: Deleuze and the philosophy of cinema a cura di Gregory Flaxman, University of Minnesota Press, 2000, pp. 253-259). In Chi giace nella culla della zia Ruth? (1971) la protagonista è vista come una strega divoratrice di bambini dal fratello maggiore della bambina che zia Ruth vorrebbe adottare (il fratello è suggestionato dalla favola di Hansel e Gretel), mentre in realtà zia Ruth è soltanto una donna dilaniata dal dolore (per la perdita prematura della figlioletta) che ha visto nella bambina la reincarnazione della figlia. Sulle reali intenzioni e sulla reale identità della protagonista permane l’interrogativo finché non viene fatta luce sul passato (e sul presente ignoto a tutti) di zia Ruth vittima (al termine della storia) della pericolosa fantasia del fratello della bambina. Il cinema ha lo stesso effetto di un prisma: scompone l’identità (il singolo raggio di luce) nelle parti che restituiscono la sua unità (le varie bande cromatiche nel caso della luce) come previsto nel fenomeno di dispersione ottica. Il cinema offre ciò che l’occhio umano non può vedere: l’intera temporalità (passato e presente sconosciuto) di una persona, la sua completa identità oggettivamente e soggettivamente.

Chi giace nella culla della zia Ruth (1971) è un esempio del potere dispersivo (nel metaforico senso ottico-geometrico) del cinema che pone sullo stesso piano di comunicazione la realtà oggettiva dell’identità di un protagonista e la sua interpretazione in accordo ad angolazioni soggettive

BIBLIOGRAFIA

The brain is the screen: Deleuze and the philosophy of cinema a cura di Gregory Flaxman, University of Minnesota Press, 2000

Film theory and criticism a cura di Leo Braudy e Marshall Cohen, Oxford University Press, 2009

Berys Gaut, A philosophy of cinematic art, Cambridge University Press, 2010

Dominique Chateau, Philosophies du cinéma, Armand Colin, 2010

ABSTRACT

Nel presente saggio (scritto nel gennaio 2019) espongo una riflessione sulla genesi dell’identità nel cinema realizzata dalla temporalità e dalla dinamica soggetto-oggetto.

BIOGRAFIA

Dottorando di ricerca presso la Scuola di Alta Formazione Dottorale dell’Università degli Studi di Bergamo in Filosofia e storia della scienza. Laureato magistrale all’Università di Catania in Filosofia della scienza (Filosofia della matematica) e laureato magistrale alla Scuola Superiore di Catania in Filosofia della fisica. Scrive soggetti, trattamenti e sceneggiature per lungometraggi ed opere seriali destinati al cinema ed alla tv. Si occupa di filosofia della scienza, logica, filosofia della fisica e storia-critica-filosofia del cinema.

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