
In un frammento sistematico scritto tra la Primavera del 1871 e gli inizi del 1872, dunque in corrispondenza della preparazione delle conferenze Sull’avvenire delle nostre scuole, Nietzsche annota a proposito della situazione della cultura: «è necessaria una restrizione che si opponga alla tendenza all’estensione»1. È proprio in questo frammento che vengono analizzate le spinte che sono alla base di quegli impulsi del tempo ad ampliare e diffondere la cultura da un lato, e dall’altro a restringerla e indebolirla, esposti poi nella prima delle conferenze2.
Nella prima delle conferenze tenute dal Nietzsche ventisettenne, professore a Basilea, venivano presi in considerazione quegli elementi che caratterizzano la cultura e la battaglia intrapresa per la sua diffusione nell’epoca moderna, per essere poi analizzati alla luce degli scopi perseguiti dai fautori di tale diffusione. Rompendo con la concezione classica ed universalmente accettata secondo la quale ad un allargamento della diffusione della cultura debba corrispondere un innalzamento del suo livello, Nietzsche aveva spinto la sua analisi tanto in profondità da mostrare come istituzioni che si ergono a baluardi e protettori della cultura e della sua conservazione, quali lo Stato con le rispettive istituzioni, tendono a lavorare in un senso opposto alla cultura intesa come crescita dell’individuo e realizzazione del potenziale culturale umano. In particolar modo e con un rigore che caratterizza la burocrazia razionalizzata dei moderni stati-nazione, proprio le istituzioni scolastiche, guidate dai disegni della macchina statale volti alla cementazione degli individui intorno ai medesimi ideali sociali, lungi dal favorire la crescita e la fioritura culturale dello studente, lo indirizzano verso un modo di ragionare, sperimentare e sentire univoco e quanto più possibile innocuo e conforme. Con questa analisi viene smascherata l’intenzione, più o meno cosciente, di uno Stato che «vuole una misura uniforme di formazione per i suoi funzionari»3, e che deriva da un’esigenza di avere materiale umano formato e disponibile a perpetrare e rinvigorire il lavoro da mistagogo della cultura che svolge lo Stato e che innerva tutto il sistema scolastico dal liceo all’università. In uno Stato che si presenta come guida della cultura finiscono per generarsi «forze contrarie alla vera cultura»4.
Ma, usando un sorta di rigore filologico nella lettura della situazione scolastica della sua epoca, quasi essa fosse un libro da sottoporre all’analisi dell’esperto filologo per riannodare i fili delle varie fonti presenti nel testo e farle parlare a viva voce, Nietzsche si addentra ancora oltre nella sua analisi fino a cercare dietro gli impulsi dell’epoca le varie spinte che derivano da elementi culturali, storici e materiali e che contribuiscono a diffondere, o addirittura generano, un determinato modo di relazionarsi e di sfruttare a proprio vantaggio la cultura.
Alla base della diffusione e dell’ampliamento della cultura starebbero:
1) la paura dell’oppressione religiosa da combattere con l’accesso a quanti più possibile di una cultura diversa da quella religiosa;
2) la fede che si ripone nella massa, accompagnata dalla diffidenza del genio, vista come presupposto per l’ampliamento e come risultato di una tendenza tutta moderna data da
3) l’ottimismo degli economisti politici che basano il loro operato sull’estensione di conoscenze, produzione e felicità della massima quantità possibile»5.
Allo stesso tempo, però, l’allargamento della cultura non comporta un suo innalzamento dal punto di vista qualitativo e la conseguente diminuzione della cultura è alimentata non solo da fattori esterni quali la Chiesa o la paura del socialismo come frutto dell’ottimismo, ma anche dalla «divisione del lavoro, anche per la scienza»6 che mina la produzione di cultura elevata a causa di un cieco specialismo ottenendo come risultato «che essa abbandoni le sue più alte, più nobili e più sublimi pretese, e si ponga al servizio di una qualche altra forma di vita, per esempio dello Stato»7.
Alla base, dunque, della costruzione di una cultura odierna starebbe un desiderio di allargamento della cultura al fine di prevenire forme di oppressione che produrrebbe, paradossalmente, le condizioni di possibilità perché questa venga soggiogata da un’altra forma di vita, ovvero dallo Stato, che sfrutti la sua degenerazione per i propri fini. Tale degenerazione, data dallo specialismo e dall’allargarsi del quantitativo di nozioni in modo incontrollato e deviante, vede, in ultima analisi, la sua rovina nella diffidenza nei confronti del genio come guida. Ma se si cercano le cause di questo desiderio di allargamento della cultura esse possono essere individuate non solo nelle condizioni fattuali del tempo, in cui il maggior benessere ha portato un numero maggiore di individui ad affacciarsi all’istruzione e alla cultura, ma anche in elementi puramente culturali, ovvero nel modo, nelle prospettive in cui si leggono i dati della realtà rappresentato da quell’ottimismo degli economisti politici8 che giustificano e santificano la «massima quantità possibile»9. La produzione da parte dalla modernità di una massa rumorosa di richiedenti accesso ad un tipo di istruzione «suscita senza dubbio l’impressione che oggi uno smisurato bisogno di cultura cerchi affannosamente di venir soddisfatto»10. Il soddisfacimento di un desiderio così massivo, però, non può essere compiuto con una certa urgenza se non portando alla tavola di tali affamati una cultura grossolana, di facile e veloce preparazione, capace di soddisfare immediatamente i bisogni urgenti di chi necessita, più che di una cultura, di semplice erudizione. Ancora una volta ritorna il Nietzsche polemico nei confronti di un liceo che pretenda di fornire una «cultura classica», che è «qualcosa di incredibilmente difficile e raro»11, ma che non fa altro che fornire una «cultura formale» che «fa parte di quella rozza fraseologia non filosofica, onde occorre liberarsi quanto più è possibile»12. Oltre a questi due tipi di cultura ne viene individuato un terzo, la «cultura per la scienza», di cui Nietzsche si affretta a precisare il carattere effettivamente non culturale poiché l’uomo scientifico e l’uomo di cultura rappresentano due opposti inconciliabili. Il motivo di tale inconciliabilità è spiegato in un appunto del 1871: «la divisione del lavoro nelle scienze e le scuole specializzate conducono oggi verso una restrizione della cultura. Ma sinora senza dubbio la cultura è soltanto peggiorata. L’uomo compiuto è qualcosa di assolutamente eccezionale. La fabbrica regna. L’uomo diventa una vite»13. La differenza tra l’uomo di cultura e quello di scienza sta in una completezza che non è raggiungibile attraverso quella specializzazione che fa assumere alla cultura il carattere di fabbrica, di settorialità, a tal punto che l’uomo perde i suoi caratteri di detentore della cultura per diventare una vite, un ingranaggio, una parte che opera solo in funzione di un meccanismo più grande. A queste condizioni gli stessi istituti di cultura perdono il loro valore e si riducono a «luoghi ove si semina l’erudizione, non però quell‘erudizione che è unicamente l’effetto collaterale – naturale e involontario – di una cultura rivolta ai più nobili fini, ma piuttosto quella condizione che si potrebbe paragonare all’ingrossamento ipertrofico di un corpo non sano. I licei sono i luoghi ove si trapianta questa pinguedine erudita»14. In questo panorama di generale indebolimento si inserisce lo Stato: la restrizione della cultura è da intendersi come la frammentazione nella specializzazione e il suo progressivo indebolimento che la porta alla riduzione intesa come il «servizio di una qualche altra forma di vita»15. Nella riduzione della cultura a strumento di erudizione si riscontra l’appropriazione della cultura da parte dello Stato e la sua conseguente utilizzazione per la riproduzione di bisogni primari, impedendone la fioritura e lo sviluppo giacché «questa al contrario comincia soltanto a un livello, che è situato ben più in alto di quel mondo dei bisogni, della lotta per l’esistenza, della miseria»16.
La considerazione generale che sembra venir fuori a proposito della cultura nelle conferenze del 1872 è di un’attività che può cominciare solo ai più alti livelli, solo quando si è superato il soddisfacimento di bisogni immediati, si è usciti dalla lotta dell’esistenza e si sia liberi dalla costruzione di forme di vita esterne che possono imporsi sulla cultura solo attraverso meccaniche violente di coercizione e dominio. Questa è una visione destinata a modificarsi nella Genealogia della morale in quanto lo scavo storico e genealogico che ne guida le analisi porta a leggere il fenomeno che va sotto il nome di cultura in termini di selezione.
Alle spalle della revisione del giudizio sulla cultura e sul suo modo di generarsi, farsi, prodursi, trasmettersi e modificarsi, vi è un percorso di avvicinamento, durato alcuni anni, alle teorie scientifiche moderne in relazione sopratutto allo studio della morale. A partire dal maggio del 1878, infatti, Nietzsche intraprende un viaggio speculativo tra le nuove teorie scientifiche e i nuovi orizzonti aperti dallo studio dei fenomeni morali condotti con metodo naturalistico e genealogico che lo porta a consumare ciò ce da egli stesso venne avvertita come una grande separazione17 dovuta ad una diversità di sguardo18. Le conoscenze fatte in nuovi ambienti, come quella di Paul Rée, autore delle Osservazioni psicologiche e interlocutore costante degli anni 1875-187819, lo portano a modificare alcune posizioni di partenza legate all’ambiente wagneriano, eccessivamente imbevuto del mito romantico e successivamente bollato come decadente, ovvero come fautore di valori che non riescono a confrontarsi con i cambiamenti indotti dalla modernità, con le sue spinte disgregatrici e dissacranti, con il suo portato di decadenza, e che si relaziona a tali cambiamenti con la contrapposizione di ideali privi di vita poiché fantasmi del passato che finiscono per fare parte del clima decadente generale che la modernità porta con sé. Questo periodo, che getta nuova forza e nuova vita nelle analisi nietzscheane, è accompagnato all’interesse sempre maggiore verso gli autori inglesi, i moralisti francesi, le pubblicazioni scientifiche e le nuove scoperte nei campi della psicologia e del comportamento sociale e porta alla creazione di opere dal forte carattere demistificatorio e dissacratorio dei valori tradizionali e dei vecchi schemi d’interpretazione dei comportamenti morali. In questo periodo, che in molti casi è stato definito ‘critico’ oppure ‘illuminista’ nascono Umano, troppo umano, Aurora, La gaia scienza. Umano, troppo umano verrà celebrato successivamente come «il monumento di una crisi. Si definisce libro per spiriti liberi: quasi ogni proposizione vi esprime una vittoria – per mezzo suo mi sono liberato da ciò che non apparteneva alla mia natura. Ciò che non mi appartiene è l’idealismo […]»20. Questa diversità di sguardo porta Nietzsche a non opporsi rigidamente alla decadenza nel tentativo di superarla con elementi esterni come l’arte e la religione, cadendo così in un superamento estrinseco che riproduce il panorama decadente a causa della provvisorietà delle soluzioni proposte troppo simili alla gioia dello schiavo nei Saturnali21, ma ad accostarsi ad essa, penetrarla e attingere alle sue forze per prospettarne l’effettivo superamento. Ciò che deve essere messo in evidenza è una visione della scienza che si discosta da quella avuta negli scritti giovanili e assume sempre una maggiore importanza per le analisi degli scritti del periodo critico; bisogna, però chiarire che questo cambio di prospettiva, questa rivalutazione della scienza, non porta Nietzsche a ribaltare semplicisticamente il giudizio già formulato precedentemente, ma a inserire nel panorama delle mutate condizioni nel mondo della modernità un elemento, ovvero la scienza, che, se da un lato è stato fondamentale al mutare di tali condizioni, dall’altro esso vi sottostà totalmente e conserva le ambiguità e i rischi di un uso decadente e totalizzante. La scienza dunque, non è apprezzata perché capace di fornire una conoscenza obiettiva del reale, ma perché base di una civiltà più matura capace di istruire a un modello di pensiero non fanatico, bensì critico.
Questa visione della scienza Nietzsche la porterà con sé fino agli scritti della maturità a tal punto che la Genealogia della morale prende il suo titolo proprio dall’applicazione di quel metodo che gli era stato tanto caro nel ‘periodo critico’. Ma i temi di questo scritto più maturo, sebbene prendano le mosse dalle tesi sviluppate in Umano, troppo umano, Aurora e La gaia scienza, indagano relazioni più profonde dei vari atteggiamenti morali, cercandone la radice e identificando questa radice in una pratica relativa alla vita e al suo organizzarla e gestirla che è in larga misura culturale, di una cultura che si crea e si impone con mezzi e pratiche che vengono prima dei concetti e dell’istruzione.
Nota Deleuze discutendo della questione in riferimento alla Genealogia della morale: «la cultura è, secondo Nietzsche, essenzialmente addestramento e selezione. Essa esprime la violenza delle forze che si impadroniscono del pensiero per renderlo attivo, affermativo»22. Il carattere peculiare della cultura letta sotto la luce della selezione è costituito dalla sua capacità, appunto, di selezionare modelli, paradigmi, atteggiamenti, usi e costumi e trasferirli in una serie di istruzioni primarie che vanno a costruire, in quegli anni che precedono la storia universale, l’eticità dei costumi sulla base della quale non solo viene ad essere fondata la moralità, ma la possibilità stessa di un determinato modo del pensiero. Con la selezione ciò che si tratta di ottenere è un uomo capace di pensare, ovvero codificare attraverso il comune codificare, e lo si fa con un’azione violenta che lo costringe a quel pensare: «una tale costrizione, un tale addestramento è ciò che Nietzsche chiama “Cultura”»23. Con questa interpretazione della cultura si dà lo scacco matto a quelle posizioni sostenute nelle conferenze e che vedevano la cultura come qualcosa capace di agire a livelli elevati del pensiero umano, ma soprattutto di agire contro la violenza. Quella violenza che veniva ascritta allo Stato è rimandata intimamente alla cultura, poiché peculiare del suo movimento e del suo costituirsi, per cui possono essere interpretate in questo senso anche le successive affermazioni del Nietzsche della Genealogia della morale : «che qualcosa di esistente, di venuto in qualche modo ad essere, è sempre di nuovo interpretato da una potenza ad esso superiore secondo nuove prospettive, di nuovo sequestrato, trasformato e convertito a una nuova utilità; che ogni accadere del mondo organico è un sopraffare, insignorirsi, e che a sua volta ogni sopraffare e insignorirsi è un reinterpretare, un riaccomodare, in cui il “senso” e il “fine” di prima vengono necessariamente oscurati o del tutto cancellati»24. Può accadere, secondo questa prospettiva, che la Chiesa o lo Stato o qualsiasi altra sorta di potenza, fosse anche il genio, assumano questa violenza della cultura per realizzare i propri scopi: utilizzando una materia che si presta a prendere forma e ad essere piegata al proprio utile, allo scopo del momento storico, per cui si può imbastire un teatrino delle volontà, una storia delle volontà che le faccia protagoniste di una continua lotta per l’affermazione. Ma, come nota Deleuze, «accade che confondano la violenza della cultura con la propria violenza, con la propria forza»25. Se si accetta che «tutta la storia di una “cosa”, di un organo, di un uso, può in tal modo essere una continua catena di segni di sempre nuove interpretazioni e accomodamenti»26 risulterebbe legittimo il sospetto che non siano le forze esterne ad interpretare ed accomodare ogni volta la violenza della cultura, ma che sia tale violenza ad accomodare, insignorirsi, sopraffare, reinterpretare? Risulterebbe legittimo sospettare che in tale confusione di forze e violenze la storia di tali volontà le renda protagoniste non di una continua lotta per l’affermazione, ma per la conservazione di qualcosa che sussiste grazie a loro, in loro e malgrado loro? Risulterebbe legittimo, infine, sospettare che tale sospetto sia esso stesso una violenza al fine della conservazione della cultura?
Le analisi del Nietzsche maturo sembrano volerci suggerire che qualcosa è avvenuto e avviene ad un livello che l’uomo come animale culturale non è capace di avvertire poiché subisce quel « movimento generale della cultura: lo scomparire dello strumento nel prodotto»27, ovvero che la cultura, in questo gioco storico-genealogico di incanalamento di forze primitive, impulsi ciechi e spinte difficilmente controllabili, sembra cambiare il suo volto: da elemento che l’uomo coltiva per perpetrare se stesso diventa elemento che coltiva l’uomo per generare nuovamente se stessa; da coltivata dall’uomo diventa coltivatrice dell’uomo, malgrado l’uomo, nonostante l’uomo. La cultura, a dispetto di ogni concezione invalsa finora, non è capace di porre freno alla violenza, ma la utilizza per generarsi e crescere, ne fa una parte nascosta del suo operato, si identifica con essa. La cultura mostra la sua radice: la violenza.
1 Frammenti postumi, inverno 1870-1871, Primavera 1872, 14[11] Adelphi, Milano 2004 p. 214
2 Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano 2012 p. 31
3 Frammenti postumi, inverno 1870-1871, Primavera 1872, 8[65] Adelphi, Milano 2004 p. 44
4Ivi p. 45
5 Frammenti postumi, inverno 1870-1871, Primavera 1872, 14[11] Adelphi, Milano 2004 p. 215
6 Ibidem
7Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano 2012 p. 31
8 Frammenti postumi, inverno 1870-1871, Primavera 1872, 14[11] Adelphi, Milano 2004 p. 215
9Ibidem
10Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano 2012 p. 66
11Ivi p .49
12 Ibidem
13 Frammenti postumi, inverno 1870-1871, Primavera 1872, 9[64] Adelphi, Milano 2004 p. 108
14 Sull’avvenire delle nostre scuole, Adelphi, Milano 2012 p. 74
15 Ivi p. 31
16 Ivi p. 84
17 Umano, troppo umano, Adelphi, Milano 2013, p. 5.
18Ibidem p. 3
19 Rée e Nietzsche si incontrano a Basilea nel 1873 e, a seguito di uno scambio epistolare, avviano un’amicizia destinata a durare sette anni. Insieme trascorrono, ospitati a Sorrento dalla contessa Malwida von Meysenbug, il periodo che va dall’ottobre del 1876 al maggio del 1877; qui si dilettano in una comunità ideale di spiriti liberi in cui dispiegare le proprie idee e potenzialità. Dallo scambio epistolare tra i due si evince che «questa amicizia fu tra le migliori cose che siano mai accadute a Nietzsche» poiché «Rée aveva un tocco illuminante e nutriva interesse per alcune identiche problematiche che occupavano Nietzsche.» ( Kaufmann. Nietzsche. Philosopher, psycologist, antichrist (Princeton university press, Princeton 1974 p.48). Il risultato di questo connubio sarà la pubblicazione de L’origine dei sentimenti morali da parte di Rée e di Umano, troppo umano. Ma il rapporto tra i due fu anche problematico, in particolare dopo la pubblicazione di Umano, troppo umano, poiché esso fu visto dagli amici come il frutto di cattive frequentazioni e Nietzsche si sentì costretto, pur elogiando l’amico, a difendere la paternità delle proprie conclusioni e la propria autonomia intellettuale nella scelta di una via che non abbandonerà più. Le ragioni di un progressivo distaccarsi da Rée non devono essere ricercate solo nella biografia di Nietzsche, ma anche nell’evoluzione del suo pensiero che, sviluppando e problematizzando progressivamente le ipotesi iniziali condivise con Rée, giungerà ad una critica delle stesse, e anche ad una autocritica, che si esprime nei frammenti postumi del 1881 e successivamente, nella Genealogia della morale (BUR, Milano 2005. Prefazione, 4-5 p.48), dove si mette in luce il tratto caratteristico degli ”inglesi”: l’essere ingenui storici e cattivi genealogisti della morale. Si veda anche P.Janz, Vita di Nietzsche, Editori Laterza, Roma-Bari 1980
20Il termine idealismo qui non si riferisce alla corrente filosofica sviluppatasi tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, bensì a quella cerchia di persone che si stringeva attorno a Wagner, della quale anche egli aveva fatto parte, e che si definivano portatori di un ideale, sostenitori della ”missione tedesca”, attribuendo all’arte un valore metafisico di liberazione e salvezza dalla moderna società borghese decadente. Ecce Homo, Newton Compton, Roma 1993, p.871
21Vattimo, nel suo Il soggetto e la maschera (Bompiani, Milano, 1983, p. 134) fa notare come la figura dello schiavo nei Saturnali, che ricorre sia nel saggio Sulla verità e la menzogna in senso extramorale, sia in Umano, troppo umano ( 213), è il chiaro segno del sussistere di un problema legato al mutare della prospettiva sull’arte e della sua funzione nei due scritti. L’arte, che assume un valore positivo nel saggio Sulla verità e la menzogna, viene considerata in una prospettiva del tutto nuova nello scritto successivo, acquisendo una ambiguità possibile solo a partire dal venire in chiaro che essa, lungi dall’essere una forza sanante, appartiene a pieno alla decadenza. Lo stesso mutare del concetto di decadenza, non visto più come un elemento completamente negativo bensì come un momento fondamentale per il progredire e lo svilupparsi del pensiero dell’occidente, della scienza e della modernità, ci regala un senso del tutto nuovo della figura dello schiavo dei Saturnali: il capovolgimento non è più considerato come un atto momentaneo, ma come un atto necessario di ribaltamento delle concezioni finora invalse di verità e menzogna.
22Deleuze G. Nietzsche e la filosofia, Colportage 1978 p. 158
23 Ibidem
24Genealogia della morale II, 12. BUR, Milano 2005 p. 117
25Deleuze G. Nietzsche e la filosofia, Colportage 1978 p. 159
26Genealogia della morale II, 12. BUR, Milano 2005 p. 118
27Deleuze G. Nietzsche e la filosofia, Colportage 1978 p. 195