Quando ricevetti questo libro, Ignac Semmelweis eroe romantico. Il medico ungherese che salvò madri e figli (ed. Scienza Express, ottobre 2019) di Piero Borzini, conoscevo solo superficialmente la scoperta di Semmelweis, senza però avere una serie di strumenti tecnici per definirne il valore specialistico, a parte qualche generale concetto storico di igiene. Sapevo che il bisogno di riforme in senso igienistico si configurava all’epoca come una risposta ai cambiamenti nei modi di produzione suscitati dalla rivoluzione industriale (industrializzazione) in senso capitalistico, che avevano modificato a loro volta in maniera radicale lo stesso sviluppo delle città (urbanizzazione). Igiene, industrializzazione e urbanizzazione erano quindi fenomeni strettamente interconnessi in termini di storia dei servizi sanitari:
L’igiene è quella parte della medicina che ha come oggetto l’uomo sano e come scopo principale la profilassi (letteralmente ‘difesa anteriore’) piuttosto che la cura della malattia. […] Nel secolo scorso è apparso chiaro agli occhi di tutti che lasciare la totale libertà all’iniziativa privata e non imporre, attraverso il settore pubblico, investimenti in opere igienistiche avrebbero distrutto l’umanità, tanto l’ambiente era stato deteriorato dai cicli produttivi industriali e dai processi edilizi sviluppatisi in rapporto all’urbanizzazione. Questi problemi vennero a maturazione più rapidamente in quelle nazioni in cui il modo di produzione capitalistico era più sviluppato: in particolare in Inghilterra.[1]
Man mano che mi addentravo nella lettura, ho integrato “dall’interno” la mia personale raffigurazione dei sistemi sanitari ottocenteschi: non pensavo assolutamente che il tema della lotta alla “febbre puerperale” potesse essere tanto intrigante e stratificato.
Vorrei proporre qui una strana recensione, per far reagire queste suggestioni derivanti dal libro di Borzini con una serie di riflessioni e collegamenti inaspettati, che risuonarono in me durante il processo di scoperta, provenienti da altri libri e autori anche lontani dalla medicina. Mi sembra che questo approccio permetta di delineare il lato più vicino alla parte storica emersa dal libro di Borzini, quella più “umanistica” (mi si permetta di usare un termine che non amo molto) per semplificare, sviluppando al contempo alcuni spunti di carattere sociale, che ho trovato nella sua opera e che mi piacerebbe sottolineare.[2]
Il libro di Borzini è importante in tal senso, proprio perché si snoda lungo queste due cornici di riferimento: un’adeguata contestualizzazione del libro nella storia della medicina a lui contemporanea e al tempo stesso nelle vicende storiche proprie dell’impero austroungarico.
Le domande con cui si apre il libro sono infatti complesse, proprio per rendere conto di questo groviglio referenziale, al cui centro ci stava la figura di Ignac Semmelweis:
Si, perché in quegli anni, partorire e nascere in un ospedale di Vienna era più rischioso che partorire e nascere per strada.
Si, perché le statistiche che riportano le morti di puerpere e neonati descrivono un flagello.
Perché?
E perché proprio nel cuore dell’Europa positivista?[3]
Borzini ci chiede fin dall’inizio uno sforzo per tornare con la mente indietro fino alla Vienna imperiale di metà Ottocento. Quella Vienna rappresentava in Europa l’eccellenza in campo medico, grazie alla cosiddetta Nuova Scuola di Medicina Viennese, in cui spiccavano tre figure straordinarie – Carl von Rokitansky, Josef Škoda e Ferdinand von Hebra. Nel libro queste tre figure, operanti in senso innovatore all’interno della loro disciplina scientifica, ricorreranno spesso, incrociando la carriera medica del protagonista, anche egli sicuramente rivoluzionario, ma non così riconosciuto all’epoca dalla comunità scientifica.[4]
Non si tratta quindi solo di una biografia, anche se descrive in maniera accurata la figura del medico ungherese Ignac Semmelweis come suo tema principale. La sua vicenda, sia umana che professionale, è stata caotica, altalenante, disordinata sin dagli inizi, in quell’Ungheria che ribolliva di sentimenti patriottici e al tempo stesso era vincolata da strettissimi legami con l’Austria e con la capitale Vienna. Vi erano segnali simili anche in ambiti disparati quali la politica, la psicologia e l’arte, che perdureranno fino a Novecento inoltrato:
Il valore trasformativo dell’esperienza artistica che unisce genio e follia si accompagna al processo di riforma della politica che l’Ungheria vive in quegli anni. […] L’Ungheria è patria in quegli anni di personalità geniali la cui creatività si innesta su un fondo di grave psicosi…[5]
Ignac Semmelweis sarebbe ascrivibile sicuramente in questa categoria, per come viene raffigurato nel libro di Borzini. Si tratta di una ricerca sofferta di identità, tanto dal punto di vista individuale quanto collettivo, che coinvolgeva tutte le nazioni del XIX secolo, in cui un fortissimo interesse per la costruzione individuale del carattere era parallelo a un movimento di fiducia nel futuro. Questo movimento era rappresentato nell’ambito scientifico e filosofico dalla fiducia del progresso propria del Positivismo, nella cui visione tanti dei medici sopra citati si riconoscevano:
Nell’Ottocento comparvero, in rapida successione, numerosi libri sulla costruzione del carattere, che continuarono ad avere successo anche in tempi bui, perché il miglioramento di sé prometteva un cambiamento dei comportamenti della collettività. […] Fu come se, dalla metà del XVIII secolo e fino agli inizi del XX secolo, si fosse data preminenza a un movimento di fiducia nel futuro. Un’aura di luce splendeva sulle privilegiate popolazioni d’ Occidente, i cui successi sembravano essere prova di una qualche infusione divina, che nelle società sosteneva l’euforia nelle ideologie e i successi materiali che potevano essere soltanto espressione di un “destino manifesto”.[6]
Sappiamo poi quanto erano complicate le relazioni culturali in un impero multietnico e riccamente differenziato al suo interno come quello asburgico, in cui erano fortissime le pulsioni autonomiste dei diversi popoli che lo componevano, a dispetto dei tentativi di riaffermare lo stato assolutistico da parte dei sovrani. Queste relazioni venivano inasprite in quegli anni dal problema del centralismo amministrativo/burocratico e della conseguente imposizione della lingua tedesca come “lingua ufficiale” in uno stato plurinazionale, anche se non si trattava di una potenza coloniale e con un grado di industrializzazione relativamente basso rispetto ad altri paesi:
Il centralismo burocratico contribuiva però ad esasperare il problema fondamentale della monarchia asburgica: la coesistenza all’interno dell’Impero di diverse nazionalità, ciascuna con la propria lingua, le proprie tradizioni e le proprie aspirazioni all’autonomia. Anche l’aristocrazia, tradizionale puntello dell’Impero, era divisa fra i diversi gruppi nazionali e, soprattutto nelle province orientali, era stata danneggiata dall’abolizione della servitù della gleba.[7]
Interessi politici ed “etno-nazionalistici” non erano estranei nemmeno al mondo della medicina, che risulta in questo libro di Borzini tutt’altro che asettico ed avulso dal mondo ad esso circostante, quella Vienna che fu al tempo stesso un cuore pulsante di spiriti geniali e fucina di grandi contrasti fino allo scoppio delle due guerre mondiali, rappresentante di un universo di valori che non sarebbe più stato lo stesso. Dal libro emerge un ritratto di Semmelweis simile a quello della “Grande Vienna”[8] appena esposto, apparendone quasi una sintesi, una versione individuale: una persona di grande cuore e ingegno scientifico, ma al tempo stesso testarda, cocciuta, narcisista e che non sa coltivare le relazioni umane, nemmeno con i colleghi. E sappiamo quanto questo sia importante, soprattutto nelle professioni di cura, quando si ha a che fare con la vita umana e con persone che manifestano problemi e sofferenze, con un portato non solo biologico, ma anche psicologico, emotivo ed esistenziale. Soprattutto l’antropologia medica ha criticato questo aspetto della cosiddetta “biomedicina”[9], perché, come descrive Claudio Rugarli nell’ottima postfazione alla fine del libro (di cui parlerò in maniera più approfondita in seguito): “…il metodo scientifico non deve essere rifiutato per la clinica, bensì completato con quegli aspetti relazionali che la scienza da sola non può suggerire.”[10]
E il libro racconta una storia fatta di molte sofferenze, di tante morti, di acume osservativo e rigore procedurale nelle indagini, ma anche di ottusità, tracotanza, ottusità persino in chi invece dovrebbe essere illuminato dal lume della ragione e procedere secondo il metodo scientifico.
Agli uomini del 2019, quando è uscito il libro, poteva sembrare un qualcosa di così scontato il lavarsi e disinfettarsi le mani prima di un’operazione chirurgica così delicata come il parto, ma ci si sorprenderà di quante opposizioni questa pratica suscitò nei medici dell’epoca, contrastando persino con le abitudini tipiche degli studenti di Medicina dell’epoca. Forse nel 2020, in epoca di pandemia e Coronavirus non sembreranno invece così aliene, tali procedure, vista l’importanza data in ogni parte delle società umane al tema della “sanificazione” delle mani, nella lotta contro un “nemico invisibile”, anche se non così tanto come nell’Ottocento, visto che da allora la Medicina ha compiuto tanti progressi, anche grazie a pionieri incompresi come Semmelweis. Si continua tuttavia a parlare di questioni come “il metodo scientifico”, “la comunicazione della scienza”, “il complesso intersecarsi di autorità politica e medica”, o si sentono riportate le tante narrazioni quotidiane che raccontano purtroppo di morti e sofferenze dei singoli.
Borzini mostra tutte le complesse fasi che portarono a questo straordinario risultato nella storia della medicina, con tanto di statistiche prese dagli ospedali dell’epoca e confronti con la letteratura medica a lui contemporanea. Emerge anche con quanta forza d’animo si batté Semmelweis contro la “febbre puerperale” per dimostrare la veridicità della sua ipotesi, falsificando tutte quelle supposizioni a lui coeve che parlavano di miasmi, entità non riconosciute, influssi ambientali e persino morali. Non si era ancora sviluppata l’epidemiologia medica per come la conosciamo oggi, ancora non si possedevano nemmeno gli strumenti per poter rilevare queste “particelle cadaveriche” (questa è l’espressione che usava Ignac all’epoca).
Fu una grande battaglia, come spesso succede nella storia della scienza, dove le nuove idee devono lottare con quelle vecchie e consolidate per potersi affermare anche a distanza di anni, ma chi subì maggiormente in se stesso gli effetti traumatici di questo aspro contrasto fu Semmelweis stesso, uscendone distrutto, disilluso, perdendo il ruolo che ricopriva e non raggiungendo la fama a cui intensamente aspirava e facendo emergere infine uno stato mentale di tipo patologico, che lo portò al ricovero nell’asilo degli insani nel 1865.
Tanti fattori, tra cui sicuramente il suo carattere e il non aver frequentato la letteratura specifica a lui coeva, furono le complesse concause di questa sua disfatta, di questa caduta nell’abisso. Il tempo e le scienze a lui postume gli daranno ragione, conferendogli quella gloria eterna a cui tanto aspirava in vita.
Chiude il libro un’interessante postfazione di Claudio Rugarli intitolata “La scienza e il ritardo della clinica”, in cui l’autore si interroga sul valore epistemologico dei temi affrontati da Borzini, situando la vicenda particolare di Semmelweis all’interno delle grandi controversie della medicina e concependola alla stregua di “un nodo cruciale dei rapporti tra medicina e scienza”.[11] Si è trattato in generale di un rapporto traumatico, in cui non sono mancati gravi ritardi, soprattutto nell’applicazione clinica dei progressi nelle scienze mediche. Criteri estetici si sono affiancati a quelli più propriamente scientifici nel delineare questo rapporto, dove a lungo è perdurata l’idea che la clinica avesse uno statuto epistemologico particolare rispetto a quello delle scienze naturali. Rugarli affronta poi, con un sapore esplicitamente popperiano che non sarebbe guastato nemmeno ad Antiseri (altro divulgatore dell’opera di Semmelweis come di Sir Karl, soprattutto nel campo delle scienze sociali), tematiche classiche della filosofia della scienza come il rapporto della medicina con l’induzione, l’abduzione o il valore del ragionamento logico di tipo probabilistico operato da Semmelweiss, anticipando in quest’ultimo aspetto gli sviluppi dei modelli matematici nell’analisi medica, che nasceranno in maniera teoreticamente fondata solo agli inizi del Novecento.
Borzini ci racconta nel dettaglio, con il grande pregio di tenere uniti tutti i fili di questi legami in un ordito coerente e chiaro, le tumultuose vicende di questo “scienziato dimezzato”[12] per liberare la maternità dall’orrore della morte delle puerpere. L’unica critica che gli si potrebbe fare all’autore è quella di ostentare una certa ripetitività di alcune conclusioni o espressioni dal punto di vista letterario, tuttavia questo appunto non pregiudica affatto la scorrevolezza della narrazione biografica o la correttezza della raffigurazione scientifica proposta. Consiglio questo libro a chiunque veda questi due aspetti (biografia e teoria scientifica) come un unicuum non separabile – perché la storia della scienza è stata costruita da uomini con personalità e vicende esistenziali originali – come a chiunque accusi la scienza di fredda disumanizzazione per eccesso tecnologico, aspetto questo sottolineato anche da Rugarli.
Segnalo infine che vi è una affascinante colonna sonora che segue ogni capitolo, connettendovi ad ognuno un brano per immergersi nell’atmosfera dell’epoca, con autori quali Dvořàk, Haydn, Offenbach, Mahler, Bartòk e Wagner solo per citare alcuni giganti tra i più significativi. Ne risulta una straordinaria esperienza multisensoriale che consiglio caldamente di gustare al lettore, in cui la potenza evocativa della musica si fonde con il procedere di questa singolare avventura scientifica.[13] Roboante del medesimo clima positivista di un Jules Verne, l’opera di Borzini ci permette di viaggiare in maniera rigorosamente attendibile nell’esperienza esistenziale di un uomo che affascinò anche il medico-scrittore Ferdinand Celine, catapultandoci all’interno degli ospedali viennesi dell’Ottocento, con tutte le loro palpitanti e quotidiane preoccupazioni.
BIBLIOGRAFIA:
C. Bollas, L’età dello smarrimento. Senso e malinconia, trad. di P. Merlin Baretter, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018.
P. Borzini, Ignac Semmelweis eroe romantico. Il medico ungherese che salvò madri e figli, ed. Scienza Express, ottobre 2019.
P. Ferrario, Politica dei servizi sociali. Strutture, trasformazioni, legislazione., Carocci Editore S.p.A, 12° edizione, Roma 2015.
A. Janik-D.Toulman, La grande Vienna. La formazione di Wittgenstein nella Vienna di Schomberg, di Musil, di Kokoschka, del dott. Freud e di Francesco Giuseppe, trad. di U. Giacomini, ed. Garzanti, Milano 1984.
I. Quaranta, Corpo, potere e malattia. Antropologia e AIDS nei Grassfields del Camerun, Meltemi Editore, Roma 2006.
G. Sabbatucci- V.Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 ad oggi., ed. Laterza, Roma-Bari 2008.
S. Ulivieri-Stiozzi, Sandor Ferenczi “educatore“. Eredità pedagogica e sensibilità clinica, ed. Franco Angeli, Milano 2013.
[1] P. Ferrario, Politica dei servizi sociali. Strutture, trasformazioni, legislazione., Carocci Editore S.p.A, 12° edizione, Roma 2015, pp. 71-73.
[2] Spero che questa analisi, derivante dalla mia personale formazione, sia in qualche modo convergente con le intenzioni dell’autore e, se divergerà da queste, non posso saperlo attualmente.
[3] P. Borzini, Ignac Semmelweis eroe romantico. Il medico ungherese che salvò madri e figli, ed. Scienza Express, ottobre 2019, p.7.
[4] Ivi, p. 37.
[5] S. Ulivieri-Stiozzi, Sandor Ferenczi “educatore“. Eredità pedagogica e sensibilità clinica, ed. Franco Angeli, Milano 2013, pp. 45-46.
[6] C. Bollas, L’età dello smarrimento. Senso e malinconia, trad. di P. Merlin Baretter, Raffaello Cortina Editore, Milano 2018, pp. 47-48.
[7] G. Sabbatucci- V.Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 ad oggi., ed. Laterza, Roma-Bari 2008, p. 70.
[8] Prendo in prestito il termine da: A. Janik-D.Toulman, La grande Vienna. La formazione di Wittgenstein nella Vienna di Schomberg, di Musil, di Kokoschka, del dott. Freud e di Francesco Giuseppe, trad. di U. Giacomini, ed. Garzanti, Milano 1984.
[9] L‘antropologia medica si pone l’obiettivo di indagare la malattia e il corpo come processi storico-sociali, prodotti umani da analizzare nei termini dei loro molteplici processi di produzione. La sofferenza del corpo risulta essere per essa una chiave per illuminare i corrispettivi mondi sociali. Si veda ad esempio, soffermandosi in particolare sull’Introduzione: I. Quaranta, Corpo, potere e malattia. Antropologia e AIDS nei Grassfields del Camerun, Meltemi Editore, Roma 2006, p. 19.
[10] P. Borzini, Ignac Semmelweis eroe romantico. Il medico ungherese che salvò madri e figli, op. cit., p. 197.
[11] Ivi, p. 192.
[12] Ivi,p. 190.
[13] La playlist è liberamente consultabile sul sito della casa editrice Scienze Express, assieme alla scheda del libro: Ignác Semmelweis, eroe romantico | Scienza Express edizioni.
20 gennaio 2021 alle 17:12
Ringrazio Davide Russo per le articolate riflessioni che ha tratto dal mio Semmelweis, esplorando aspetti che pur essendo nel mio testo di contorno e di contesto alla storia del medico ungherese, rappresentano la trama e l’ordito di un importante fatto scientifico e di un momento cruciale della storia europea.