1. La storia come progresso
Come altri modelli di pensiero nati nell’epoca moderna, anche la psicologia del profondo eredita (qualche volta in modo cosciente, qualche volta no) la visione della storia tradizionale. Con una specificità: in Sigmund Freud, infatti, si trova un atteggiamento escatologico che assume la forma di un percorso di crescita esponenziale verso una maturità psichica collettiva. Come il singolo procede al pieno sviluppo delle sue facoltà, così anche la civiltà concorre alla realizzazione integrale del suo potenziale, liberandosi dei soffocanti retaggi del passato e procedendo a conseguire l’emancipazione dell’età adulta. È un aspetto che si rinviene anche in Jung (Dell’Amico 2020, pp. 54-75).
Questo parallelismo fra ontogenesi e filogenesi conduce a parlare della storia come di una psicogenesi e del genere umano come se fosse un singolo individuo inserito in un iter di crescita. Nata nel rapporto clinico con il paziente malato e dal desiderio di regalargli un futuro di salvezza e di salute, la psicoanalisi freudiana osserva l’avvenire della civiltà prospettando una redenzione dagli attuali sistemi psichici di oppressione e dipendenza. Guarda all’orizzonte degli eventi storici e pone, al di là del presente, l’interezza psicologica di un’umanità affrancata. Sembra quasi di riconoscervi la chiusa del De civitate Dei di Agostino sul sabato perpetuo: «Dies septimus nos ipsi erimus» (XXII, 30).
2. Il passaggio all’età adulta e l’abbandono della religione
L’idea che la storia corrisponda a un graduale processo di maturazione etica è esposta piuttosto esplicitamente da Freud, dal momento che vi ha dedicato un’opera, L’avvenire di un’illusione (Die Zukunft einer Illusion, 1927). Qui emerge – con tutta la franchezza di cui è capace una fede positivista – la natura della sua “filosofia della storia”:
«Sappiamo che l’essere umano non può portare a termine il suo sviluppo verso la civiltà senza attraversare una fase di nevrosi più o meno palese. Ciò viene dal fatto che il bambino non può reprimere col lavoro razionale tante delle esigenze pulsionali inservibili per il futuro, ma deve domarle con atti di rimozione, dietro i quali di solito si nasconde un motivo di angoscia. La maggior parte di queste nevrosi infantili vengono spontaneamente superate durante la crescita […]. Le restanti devono essere eliminate, anche in seguito, col trattamento psicoanalitico» (Freud 2018, p. 71).
Come l’ontogenesi, anche la filogenesi deve attraversare una fase nevrotica che per Freud è rappresentata proprio dalla religione. Ora la religione è espressione di un modello infantile: è sintomo di un desiderio di protezione che la mente adulta compie creando delle figure parentali a cui chiedere difesa dallo strapotere della natura e dei bisogni pulsionali. La civiltà, proprio come il singolo nel suo processo di crescita, è spaventata dai pericoli del mondo esterno e del mondo interno, ed evoca allora delle proiezioni ad uso e consumo dei bisogni infantili della psiche. Non solo: la religione è anche la manifestazione di un rinnovarsi di un passato rimosso che ora, con la pratica psicoanalitica, è possibile far tornare in luce. In maniera del tutto analoga alla crescita del bambino, per Freud infatti,
«bisognerebbe supporre che l’umanità come un tutto abbia attraversato, nel suo sviluppo secolare, stati che sono analoghi alle nevrosi, e per le stesse ragioni, cioè perché nelle epoche della sua ignoranza e debolezza intellettuale ha compiuto le sue rinunce pulsionali indispensabili alla convivenza umana con forze puramente affettive. I sedimenti dei processi analoghi alla rimozione svoltisi nei tempi più remoti sono poi rimasti ancora per molto tempo attaccati alla civiltà. La religione sarebbe la nevrosi ossessiva universale dell’umanità; come quella del bambino, essa derivò dal complesso di Edipo, dalla relazione con il padre» (Ibidem).
Si tratta dei contenuti affettivi rimossi che avrebbero condotto al parricidio trattato nel 1913 in Totem e tabù. Per Freud, l’emersione della “verità storica” della religione può garantire l’accettazione degli eventi dimenticati nella storia primordiale e dunque, conseguentemente, l’estinguersi progressivo della religione come nevrosi ossessiva.Sottratta al credo quia absurdum della fede, la civiltà può così guarire dalla sua nevrosi recuperando coscienza dei traumi del passato:
«In altre parole la religione è un’ossessione infantile che auspicabilmente la maturità vorrà abbandonare. […] Sotto questo aspetto il libro [Totem e tabù] appare quasi come un atto terapeutico. È come se Freud, smascherando l’origine della religione, seguisse deliberatamente un procedimento psicoanalitico, cercando di realizzare una cura attraverso la soluzione del trauma originario. Nella sua storia psicogenetica della religione gli eventi dell’orda primordiale, insieme con le loro repliche individuali nell’esperienza del complesso di Edipo, sarebbero la causa traumatica scatenante, che ora è stata rintracciata nella memoria e riportata alla coscienza. Ciò posto è possibile che scompaiano anche i loro effetti – vale a dire le colpe da essi generate e tutti gli impulsi ossessivi ad essi associati e ideati apposta per affrontarli. […] La ricerca storica e psicoanalitica coincidono con l’intento terapeutico» (Palmer 2000, pp. 40-41).
L’uomo, grazie alla forza della terapia psicoanalitica, può finalmente divenire adulto, ossia emanciparsi dal complesso parentale che lo conduce a cercare consolazione alle fatiche della vita in un padre immaginario1. Come il bambino cresce quando al principio di piacere sostituisce il principio di realtà, così la civiltà realizzerà la sua maturità quando abbandonerà le facili consolazioni della fede dei padri per accettare il mondo per quello che è, nella sua durezza. Scrive Freud:
«Il riconoscimento del valore storico di talune dottrine religiose accresce il nostro rispetto per esse, ma non toglie valore alla nostra proposta di ritirarle dalla motivazione dei precetti della civiltà. Al contrario! Con l’aiuto di questi residui storici, siamo arrivati a concepire gli assiomi religiosi alla stregua per così dire di relitti nevrotici, e ora possiamo affermare che è probabilmente giunto il momento, come nel trattamento analitico del nevrotico, di sostituire le conseguenze della rimozione con i risultati del lavoro razionale» (Freud 2018, p. 72).
L’abbandono della religione coincide dunque con lo sviluppo mentale della civiltà. Nel sostenere la necessità di questo “passaggio all’età adulta” della cultura, Freud accoglie, nella psicoanalisi, la prospettiva culturale del positivismo e la speranza di una comprensione interamente scientifica del mondo umano.
3. Educare l’uomo alla realtà
Bisogna essere franchi in materia di religione, dice infatti Freud. Essa sostiene che dobbiamo credere perché hanno creduto i nostri antenati, i quali però «erano di gran lunga più ignoranti di noi, hanno creduto a cose che per noi oggi sono assolutamente impossibili da accettare» (ivi, p. 54). La prova della veracità delle dottrine religiose è depositata «in scritti i quali recano essi stessi in sé tutti i caratteri dell’inattendibilità. Sono pieni di contraddizioni, passati per più mani, falsificati; dove parlano di effettive prove, ne sono essi stessi privi» (ibidem). La religione è un concentrato di verità non suffragate da alcuna verifica, un nucleo di assurdità che, «sottratte alle pretese della ragione, stanno al di sopra della ragione» (ivi, p. 55). Eppure – afferma inaspettatamente Freud – «al di sopra della ragione non c’è nessuna istanza» (ibidem).
Ciò può stupire, essendo stato Freud il protagonista di una rivalutazione delle parti alogiche e pulsionali della mente2. Eppure questa centralità della ragione, nella forma del principio di realtà, è in effetti un elemento imprescindibile nella prospettiva freudiana. È l’accettazione serena del valore della vita nella sua realtà, e non in base a quanto soddisfa delle aspettative di piacere, a fare la guarigione. L’abbandono delle illusioni (e non a caso le nevrosi ossessive, a cui apparterrebbe la religione, hanno un valore di difesa) e la conoscenza dello stato obiettivo dei fatti, è ciò che distingue l’atteggiamento infantile dalla maturità o la malattia dalla salute.
L’educazione religiosa va perciò eliminata: essa contribuisce alla “debolezza mentale” dell’adulto e all’atrofizzazione delle sue facoltà, rende l’uomo schiavo di un cronico atteggiamento infantile e soggetto ad una nevrosi collettiva che gli impedisce un corretto sviluppo psichico (cfr. ivi, p. 75). Non bisogna certamente liquidarla in un sol colpo, dal momento che «chi per decenni ha preso sonniferi, non riesce naturalmente più a dormire se gli si toglie il sonnifero» (ivi, p. 77). La religione è infatti un narcotico e crea dipendenza. Senza dubbio, scrive Freud, non può farne a meno l’uomo al quale è stato instillato
«fin dalla più tenera infanzia il dolce – o dolceamaro – veleno. Ma l’altro, che è stato allevato sobriamente? Forse chi non soffre di nevrosi non ha neanche bisogno di intossicarsi per metterla a tacere. Certo l’uomo verrà allora a trovarsi in una situazione difficile, dovrà confessare a se stesso tutta la sua impotenza, la sua insignificanza nell’ingranaggio dell’universo, non sarà più al centro della creazione, non sarà più oggetto di tenere cure da parte di una Provvidenza amorevole. Sarà nella stessa situazione di un bambino che ha lasciato la casa paterna, dove trovava tanto calore e tanto conforto. Ma l’infantilismo è destinato ad essere superato, non è vero? L’uomo non può rimanere eternamente bambino, alla fine deve lanciarsi nella “vita nemica”. Si può chiamare ciò “l’educazione alla realtà”. […] Lo scopo essenziale di questo mio scritto è di attirare l’attenzione sulla necessità di compiere questo progresso» (ivi, pp. 77-78).
4. Verso l’oltre-uomo
Si nota così la straordinaria assonanza fra l’indirizzo del pensiero di Freud e quello di Nietzsche. La predicazione di Zarathustra è uno slancio verso il futuro, verso un uomo che deve ancora nascere, capace di cogliere nell’eclissi di Dio il segno della fine di ogni superstizione e del desiderio di un oltremondo. Un uomo in grado di non evadere dalla realtà, in grado di restare fedele alla terra. Nietzsche e Freud sono accomunati nell’attesa di questa redenzione escatologica dell’essere umano: la realizzazione di un “superuomo” in grado di accettare la vita per quella che è, anche nelle sue dimensioni umbratili, violente e distruttive. È un atteggiamento messianico che, fatta propria la prospettiva temporale ebraico-cristiana, vede il suo orizzonte di senso proprio nella rinuncia ad ogni aspettativa religiosa.
Se è vero, infatti, che il progresso scientifico fa sì che «quanto maggiore è il numero degli uomini a cui divengono accessibili i tesori del nostro sapere, tanto più si diffonde il distacco dalla fede religiosa» (ivi, p. 66), è vero che ciò non basta. Bisogna intervenire attivamente attraverso l’analisi perché nasca una generazione di uomini capaci di fare a meno di Dio.
Un “superomismo psicoanalitico”: questo è il fine di Freud (cfr. Antonelli 2011). Una civiltà di uomini psichicamente integrati in grado di sostenere la fine di ogni consolante metafisica ed il tramonto dell’idea del divino. «Ciò – scrive – suona davvero grandioso. Un’umanità che ha rinunciato a tutte le illusioni divenendo capace di sistemarsi sulla terra in modo sopportabile!» (Freud 2018, p. 78). Certo, questa evoluzione non può condurci – dice Freud – alla felicità, perché la felicità è sempre appagamento di bisogni, mentre l’esistenza stessa dell’ordine civile si fonda su una rinuncia pulsionale. Ma il superomismo non è edonismo, tutt’altro. Proprio con questa consapevolezza Zarathustra chiude la sua predicazione: «Voglio io forse la felicità? Io attendo all’opera mia!» (Nietzsche 1976, p. 397).
Bibliografia
Antonelli 2011, G., Il superuomo in psicoanalisi, Alpes, Roma.
Dell’Amico 2020, S., Miti che curano. Il ruolo del simbolismo religioso nella psicologia analitica di Carl Gustav Jung, «Studi Junghiani», 1, pp. 54-75.
Freud 2018, S., L’avvenire di un’illusione/ Il disagio della civiltà, Newton Compton, Roma.
Palmer 2000, M., Freud, Jung e la religione, Centro Scientifico Editore, Torino.
Nietzsche 1976, F., Così parlò Zarathustra, Adelphi, Torino.
1Certo, dice Freud, «in realtà la psicoanalisi è un metodo di ricerca, uno strumento imparziale, come per esempio il calcolo infinitesimale […]. Tutto quello che ho detto qui contro il valore di verità delle religioni è stato detto da altri molto prima che la psicoanalisi esistesse. Se dall’applicazione del metodo psicoanalitico si può trarre un nuovo argomento contro il contenuto di verità della religione, tant pis per la religione, ma con lo stesso diritto i difensori della religione si serviranno della psicoanalisi per avvalorare pienamente il significato affettivo della dottrina religiosa» (Freud 2018, p. 64).
2Egli stesso se ne rende conto, sostenendo come possa «sembrare molto strano, e anzi il colmo dell’incoerenza, che uno psicologo, che ha sempre insistito su come l’intelligenza passi in second’ordine rispetto alla vita pulsionale, si sforzi ora di defraudare gli uomini della preziosa soddisfazione di un loro desiderio e voglia e risarcirli con nutrimento intellettuale» (ivi, p. 62).
1 novembre 2020 alle 19:32
Bellissimo