Abstract: Il problema di una corrente o cultura di destra ‘radicale’ nel pensiero filosofico-politico contemporaneo è stata oggetto di numerose riflessioni e di plurimi interrogativi. Se ad una prima approssimazione le dottrine riconducibili alla sopra detta corrente sembrerebbero presentare una irenica linea di continuità, laddove vengano esaminate al loro interno e nelle loro pieghe decisive esibiscono delle frizioni più o meno cruciali. Il rapporto tra Julius Evola e Giovanni Gentile è rappresentativo di tali momenti di contrasto che, nel presente articolo, sono affrontati a partire dalle critiche che Evola rivolse esplicitamente al filosofo siciliano, sottolineandone gli elementi di conflitto tra pensiero speculativo e prassi politica, i problemi di natura metafisica nonché la diverse interpretazioni del concetto di ‘Stato’ e del suo ruolo rispetto alla sfera politica, morale ed economica.
Sommario: 1. La doppia visione dell’«uomo» Gentile – 2. Le basi della critica: trascendenza e ‘Tradizione’ – 3. Stato ‘organico’ e Stato ‘etico’
1. La doppia visione dell’«uomo» Gentile
All’interno delle correnti filosofiche novecentesche non è raro incontrare profili di intersecazione tra le prospettive teoriche che un autore delinea e ciò che le concrezioni ideologico-politiche aggiungono, talvolta incidendo in via succedanea, talora influenzandone il tessuto concettuale, sovente esercitandone un’influenza dal punto di vista contenutistico e valutativo. Si è parlato in tal senso di “sovra-determinazione ideologica” (Costa, 1986). Il problema di una cultura di ‘destra’ nel pensiero filosofico-politico contemporaneo è stato oggetto di numerose riflessioni e di plurimi interrogativi (Bobbio, 1983; Veneziani, 2007; Jesi, 2011; Cassata, 2003; Turi, 2013; Germinario, 2014; Romualdi, 2015). La dinamica interna che tali correnti presentano e le riproduzioni ‘esterne’ che esse tendono a suggerire (anche inconsapevolmente) figurano, in modo ricorrente, come non pienamente sovrapponibili. L’idea che il movimento intellettuale della destra italiana ed europea sia caratterizzato da un filo comune, da un orientamento univoco, da una prospettiva unilineare, rappresenta più una questione pre-supposta che fattualmente assodata. Si tende, così, ad utilizzare come strumento di comparazione non tanto precise linee teoriche, argomenti ricorrenti o ben definite costruzioni dottrinali, quanto una comune opzione di natura pre-politica, situata sul piano delle tendenze individuali, delle visioni del mondo, degli afflati e tensioni personali (Veneziani, 2007, p. 17-18). Frequentemente risulta ravvisabile un nucleo tematico coltivato con una certa costanza, rafforzato da un reciproco richiamo a livello di autori e di testi ma ciò tuttavia in modo disorganico e non sempre precisamente orientato. Se alcuni comuni elementi connotativi sussistono (Cfr. Germinario, 2014), è altrettanto vero che fra determinati autori, spesso avvicinati in virtù di alcune convergenze, si sono verificate e si verificano nette contrapposizioni, spesso affluenti su questioni di maggior o minore estensione semantica dei concetti, su preoccupazioni di adeguamento ideologico, o sulla controversa identificazione dei ‘veri’ problemi rilevanti. Sintomatica, ad esempio, di questo conflitto “interno” alla corrente della destra ‘reazionaria’ italiana, è proprio la presa di posizione che Julius Evola (1898-1974) espresse nei confronti di uno dei più importanti filosofi italiani della prima metà del Novecento legato ideologicamente all’esperienza fascista, Giovanni Gentile (1875-1944). Quantunque dal punto di vista argomentativo le tesi di Evola non siano granché probanti e lascino pensare ad una qualche influenza di natura quasi ‘personale’ nei confronti del rapporto, non proprio idilliaco, con Gentile, tanto ché, nota Agostino Carrino, «si ha sempre l’impressione di qualcosa di personale nella critica di Evola a Gentile ed in effetti le lettere pubblicate, indirizzate alla fine degli anni Venti al filosofo dell’attualismo, fanno sorgere il sospetto di richieste senza esito da Evola a Gentile per qualche attività dai risvolti economici (i “frutti” richiesti dopo il “fiore” riconosciuto)» (Carrino, p. 5, vedi sitografia) meritano, ad ogni modo, di essere esaminate sia perché potrebbero mettere in luce alcune crepe irrisolte nel pensiero gentiliano sia perché esemplificative di un dibattito interno alla destra ‘radicale’ che spesso, dall’esterno, viene solo in parte percepito o affrontato. Così, anche la questione di Gentile e della sua ‘collocazione’ all’interno del regime fascista appare indubbiamente problematica (Cfr. Tarquini, 2009), benché caratterizzata da una adesione essenzialmente incondizionata per l’intero ventennio, culminata nel famoso ‘Discorso agli Italiani’ del 24 giugno 1943. Del resto, le posizioni teoretiche del pensatore di Castelvetrano oltre a delinearsi in modo compiuto ben prima della conquista del potere da parte del partito fascista, sono caratterizzate da spunti concettuali che non consentono di vedervi una totale riproposizione, di quegli stessi concetti, sul piano dell’ideologia politica. Il nesso tra le costruzioni filosofiche attualistiche e le posizioni politiche riconducibili al fenomeno fascista è stata oggetto di intenso dibattito storiografico, che oscilla tra una esclusione dell’influenza del pensiero filosofico rispetto all’adesione al regime (Sasso, 1998; Severino, 1995) e tra chi, invece, tenta di vedervi trasparire un richiamo più o meno esplicito, aiutato dai presupposti speculativi di fondo del pensiero gentiliano. Lo stesso Evola reputerà la ‘sconnessione’ tra pensiero e ideologia, tra movimento teoretico e posizione politica un dato incontestabile nel pensiero gentiliano costituendone, a suo avviso, uno dei grandi difetti, produttivo di ostacoli insormontabili per una ammissibile inclusione del filosofo siciliano all’interno dell’impianto teorico della Destra ‘radicale’. D’altronde, giova sottolineare che il dissidio il quale, secondo Evola, si presenta in Gentile tra teoresi e prassi politica, si esprime, quasi in modo simmetrico, all’interno del pensiero evoliano nella difficoltà di un passaggio dalla sfera mistico-esoterica e metafisica al profilo della teorizzazione politica, attenendo ad una medesima fase di costruzione concettuale: è stato notato infatti che, essendo in questo in caso la scissione di natura “interna” e cioè collocabile nello stesso sviluppo teorico del pensiero evoliano, qualora «i princìpi che si ispiravano ad una dimensione “superpolitica”» si fossero tradotti in un movimento politico o in un regime «avrebbero irrimediabilmente smarrito la loro determinante connotazione metastorica e spirituale» (Germinario, 2001, p. 76). Le critiche che Evola rivolge a Gentile sono disseminate in varie parti della sua opera. Tuttavia egli nel 1955 avrà modo, in un breve articolo pubblicato sulla rivista “Ordine Nuovo”, di toccare in modo conciso i punti nevralgici e i nervi scoperti della filosofia e della dottrina dello Stato gentiliana, offrendo dunque ai lettori la possibilità di partire da quel testo per vedere, in modo diretto, gli elementi su cui maggiormente si concentrava il suo dissenso.
Evola dopo avere evidenziato la doverosità della distinzione tra «l’uomo e il filosofo» e che «il gesto di adesione al fascismo anche nel punto in cui esso rappresentava la partita perdente fu, nel Gentile, una prova di coerenza morale, […]» afferma che esso fu, in pari tempo, un atto di incoerenza teoretica, perché lo “storicista”, il teorico dell’identità del reale col razionale, dell’“essere” col “dover essere”, avrebbe dovuto schierarsi dalla parte opposta dichiarandola, appunto perché vincente, corrispondente alla “concretezza in atto della storia”, e considerando l’esperienza precedente come un “momento dialettico superato”» (Germinario, 2014, p. 77; Evola, 1955, pp. 25-30, sitografia: parte I) dichiara che l’interpretazione del fascismo fornita da Gentile sia tra le meno favorevoli e maggiormente problematiche dacché egli vide nel movimento dei fasci l’eredità del grande Risorgimento, esaltandone i profeti, in primis Mazzini, dimostrando, pertanto, un’intima riconnessione con i principî del ‘48 in funzione «sovversiva ed eversiva rispetto a tutto ciò che fu proprio delle precedenti civiltà istituzionali del Primo e del Secondo Stato» (Evola, 1955, pp. 25-30, sitografia: parte I). Orbene, mentre Evola vedeva nel fascismo un richiamo alla tradizione della Roma antica e all’idea di ‘Impero’, in opposizione al ‘nazionalismo’ patriottico risorgimentale, Gentile lo interpretò come una sorta di continuazione e di integrazione del Risorgimento e della “tradizione italiana”. Del resto, riguardo all’ interpretazione del movimento fascista dal punto di vista istituzionale da parte di Gentile e dei filosofi ‘gentiliani’, Evola era ritornato più volte, come quando ebbe a sostenere che le costruzioni teoriche di Ugo Spirito (1896-1979) volte a formulare un sistema corporativo di natura “comunisticheggiante” non erano che le logiche conseguenze del pensiero del maestro il quale, a sua volta, aveva tratto illuminazione dal suo allievo allorché arrivò a formulare il concetto – anch’esso munito, a giudizio di Evola, di forti sfumature afferenti all’ala politica della sinistra – di “umanesimo del lavoro” (Germinario, 2014, pp. 77-78).
Successivamente, Evola chiarisce il punto nevralgico della questione, che è quello a cui sopra accennavamo: il distacco radicale tra attualismo e concezione fascista della vita e della società. Le parole di Evola sono chiare e senza indugi: «anche ciò che il Gentile ha difeso nel periodo fascista rifacendosi al nazionalismo o al corporativismo non si deduce affatto in modo univoco dalla sua filosofia, ma è materia tratta da ciò che, in gergo idealistico, si chiama l’ “empiria”» (Evola, 1955, pp. 25-30, sitografia: parte I). Negli scritti di Gentile, secondo Evola, si rintracciano forme più o meno adesive a principî e visioni riconducibili alle teorizzazioni fasciste, ordinate, essenzialmente, verso una lettura anti-comunista ed anti-individualistica, notando, ciò nondimeno, che «la stessa filosofia [avrebbe potuto] sanzionare in egual misura le idee più opposte», dichiarando, così, una differenza minima tra il crocianesimo e gentilianesimo, adducendo l’esempio di un gentiliano, quale Guido De Ruggiero il quale, tuttavia, si dimostrò sempre antifascista. Evola, pertanto, cercava di delineare un topografia degli intellettuali riconducibili all’orbita fascista non in base ad un astratto criterio di formale consenso quanto, piuttosto, in virtù della precisa aderenza, sul piano dello svolgimento teorico-concettuale, ad una dottrina dello Stato che ne rivelasse la vera sorgente speculativa. Insomma, Gentile, per Evola, non era raffigurabile come un vero rappresentante della ‘Tradizione’.
2. Le basi della critica: trascendenza e ‘Tradizione’
Al di là di questa lettura “esistenziale” dell’uomo Gentile, Evola prosegue nella sua critica serrata, mettendo in evidenza una carenza nel lavoro speculativo gentiliano: la mancanza di una dimensione del ‘sacro’ (che, in tal caso, fa tutt’uno con l’ambito della trascendenza) totalmente obliterata dalla visione immanentistica gentiliana. Uno degli errori più gravi di Gentile fu quello di ridurre il mondo alla sfera del concetto, assumendo come principale momento ordinatore il soggetto, con la «conseguente negazione del mondo quale espressione di una “realtà trascendente e superrazionale”, tipica delle società tradizionali» (Germinario, 2014, p. 78). Inserendosi nella medesima linea di sviluppo del pensiero hegeliano, Gentile rifiuta ogni facoltà del pensiero di costruire un ideale altro rispetto al mero ‘divenire’ dei fenomeni che, per quanto assunti all’interno di un principio ideale, rimangono tali, oggetto di un mero processo di continua nullificazione immanentistica. Gentile si colloca, pertanto, in perfetta continuità con il pensatore tedesco, per il quale la religione costituisce il “momento oggettivo” dello “Spirito Assoluto”, stadio da valicare al fine di pervenire ad un maggior grado di consapevolezza etica. Se il mondo diveniva opera e prodotto del soggetto che, in quanto tale, era sempre interno al processo del divenire, niente poteva risultare intuibile sul piano della trascendenza. La rappresentazione di questa mancata pensabilità del “sovrasensibile” presenta, secondo Evola, la sua maggiore esemplificazione nel problema ultimo: la morte, ove ogni al di là viene negato, riducendosi a mera astrazione, a fatto sociale. Il pensiero, che Gentile elabora come un inesausto processo produttivo di realtà, viene interpretato da Evola in termini empiristici come mera datità, senza tuttavia porre in evidenza la potenza della soggettività gentiliana che, invero, non si limita a presupporre alcunché ma, piuttosto, tende a presentarsi come categoria in atto sempre in fieri, volta a catturare ogni forma di trascendenza per ricondurla al proprio momento interiore, attribuendo all’individuo un ruolo saliente per la costruzione del ‘reale’. Evola misconosce questo momento, e configura la dimensione dinamica del rapporto tra soggetto e oggetto in un’ottica empirica. Vi è da rilevare, tuttavia, che il rifiuto della trascendenza non implicava affatto, e Gentile ne era ben consapevole, un mero ritorno all’empirismo positivistico, ma significava ripensare il ruolo del soggetto nella sua eterna creatività, ora che nessun Dio, nessun appiglio ulteriore, nessun deus ex machina, veniva a trarlo in salvo dalla propria precaria ed instabile condizione mondana. Evola, invece, osservando il problema in un’ottica radicalmente trascendente, non distingue tra una prospettiva trascendentale-immanentistica ed una empiristica, giacché sia l’una che l’altra derivano da una certa visione del mondo che prende avvio dalla stagione dell’illuminismo e delle rivoluzioni di fine Settecento. Gentile viene equiparato ai prodotti storici dell’illuminismo, tantoché Evola arriva a dichiarare che tra gli illuministi radicali e lo stesso Gentile non vi è che una differenza di grado e, soprattutto, che il lieve scarto concerne solo una maggiore o minore confessione di onestà intellettuale: Gentile è meno esplicito filosoficamente, ma per Evola è, sostanzialmente, un illuminista: «È da chiedersi se l’illuminismo radicalista, quando nega senz’altro l’aldilà e proclama la religione dell’uomo terrestrizzato, non sia assai più onesto del gentilianesimo» (Evola, 1955, pp. 25-30, sitografia: parte II). Questa lettura trova tuttavia dei grossi scogli teorici, sia per una eccessiva semplificazione del problema speculativo all’interno dell’ontologia gentiliana che non può certo essere ricondotta, in modo lineare, ad una visione ‘veteroilluministica’, sia, su un piano più generale, per una non chiara delucidazione del compito svolto a livello di frattura storica dall’evento della rivoluzione francese. Evola vede in questa fase storica, di cui lo stesso Gentile sarebbe un portavoce indiretto, il crollo di una civiltà ‘tradizionale’ che fino a quel momento si era mostrata ancora vitale, facendo emergere però, in tal modo, notevoli dubbi teorici in ragione della palmare inconciliabilità, in Evola, tra storia, da una parte, e sfera della tradizione come momento meta-storico, dominio dell’essere non rappresentabile secondo il procedere del divenire, dall’altro. Per Evola il Gentile “filosofo della dialettica e del divenire della Storia” e, quindi, fautore dello storicismo, negatore della trascendenza dell’essere, non poteva trovare accoglimento all’interno di una destra ‘radicale’ giacché nell’ammissione di ogni forma di divenire l’esito della vittoria finale non poteva che essere attribuito ai cultori della dialettica che, storicamente, si dimostravano essere i borghesi e i liberali, se non i rappresentanti del comunismo. Egli non considera, tuttavia, la serrata critica che lo stesso Gentile condusse nei confronti dei lasciti illuministici i quali, una volta superati storicamente, dovevano essere integrati da una più concreta visione filosofico-politica che rintracciasse in un immanentismo radicale e nella intrinseca unità del reale la sua chiave di volta. Ciò, peraltro, in piena linea con le tendenze della coeva filosofia europea (Natoli, 1989). Ma la lettura di Gentile, nell’ottica di Evola, aveva il problema di presentarsi non sufficientemente radicale, inglobando ancora, al suo interno, residui tipici della modernità. Per Evola, in Gentile si verificherebbe un passaggio dall’essere al divenire nel movimento storico dello spirito. Anche l’attualismo è attratto dalla mistica del ‘divenire’, dalla sua forza includente che ha dimostrato nella modernità.
La prospettiva metafisica gentiliana, riconducendo lo spirito al ‘pensiero’ e quest’ultimo al cosiddetto ‘autoconcetto’, si risolve in un inesausto processo dialettico, attraverso un costante superamento della negazione: posizione e negazione, in un processo inarrestabile. Tale tensione incontenibile, la lotta senza fine del pensiero contro la negazione, contro ciò che è al di fuori, al fine di assorbirlo nel suo processo creativo, Evola lo legge come il frutto e il riflesso di un’epoca “metanizzata”, asservita alla ideologia del “fare” e del “divenire” nonché soggiogata dalla esasperante tendenza verso il produrre, in una irrazionale “fuga in avanti”. Questa interpretazione del processo dialettico rivela i suoi effetti, per Evola, nella stessa visione progressista ed evoluzionista del pensiero gentiliano la quale, tuttavia, oltre ad avere il difetto di replicare categorie di origine borghese, manca anche di un solido punto di riferimento su cui fissare quel medesimo svolgimento. Per Evola, il processo gentiliano dell’”autoctisi” è un movimento in continuo divenire che non mostra alcun ancoraggio a qualche reale sostanza. La stessa opposizione rispetto al ‘male’ e all’errore si rivela fittizia, giacché quel ‘male’ e quell’errore, in quanto posti dal soggetto come ‘momenti dialettici’ non costituiscono vero male o vero errore, essendo necessari all’autofarsi dello spirito. Secondo Evola questa teorizzazione, che riduce il momento negativo a un fattore destinato ad inglobarsi nell’atto creativo del soggetto, recide ogni rapporto con la vera ‘lotta’ della vita, che ogni uomo si trova quotidianamente a combattere. Il momento negativo, per Evola, deve essere pensato come un radicalmente altro, come un assoluto estraneo affinché possa rivelarsi “utile” per il soggetto. Quella estraneità che Gentile interpretava come ‘natura’, come residuo empiristico, perché concepita al di fuori del processo del pensiero, diviene per Evola elemento positivo perché rivela la pensabilità di un extra-mondo, della persistenza di una realtà che sia altro da ciò che esperiamo in questa vita. Le origini metafisiche della dottrina e la portata non solo speculativa ma anche politica del pensiero di Evola, consente a quest’ultimo di ricollegare questo itinerario speculativo al problema dello ‘Stato’ ed alla questione della ‘Tradizione’ come realtà ulteriore rispetto ad ogni Storia realizzata. La storia di Gentile, secondo Evola, «riprende, nell’essenziale, quella hegeliana, dandovi però tinte radicaliste e illuministe assenti nel filosofo dello Stato prussiano» (Evola, 1955, pp. 25-30, sitografia: parte II). L’attualismo sarebbe caratterizzato da una lettura della civiltà ‘antica’ come “civiltà dell’essere”, dal riconoscimento del cristianesimo come momento di ‘scoperta’ della soggettività, fino alla valorizzazione dell’epoca umanistica e rinascimentale che, per Evola, però, conduce direttamente all’adesione rispetto ai princìpi ottantanovardi e, dipoi, risorgimentali. La rivalutazione del liberalismo, arriva fino all’«umanesimo del lavoro» dell’ultima fase del pensiero gentiliano, da Evola assimilata a posizioni filo-comuniste: «di là dalla fumosa teoria dell’«atto puro» e dal fantasmagorico, illimitato «farsi» dello spirito, in sede di storiografia il limite finale del “progressismo” gentiliano è appena diverso dal quello dell’“umanesimo integrale” bandito dagli intellettuali comunisti, l’orizzonte restando quello grigio e tetro, da fabbrica, non più nemmeno della civiltà del Terzo stato, ma addirittura della civiltà del Quarto stato, con divinificazione del lavoro e della produzione. La dialettica vera, non sofisticata, della storia ultima si tradisce nello stesso Gentile, nella tendenzialità – ben chiara nelle parole citate – dell’ideologia liberale-borghese a trapassare anche in lui quella proletario-sociale» (Evola, 1955, pp. 25-30, sitografia: parte II). La lettura di Evola non potrebbe essere più netta: in Gentile, il superamento dell’individuo astratto della rivoluzione francese non è così radicale come dovrebbe essere, e la distinzione gentiliana è tutta interna a quella medesima visione illuministico-borghese che non lascia spazi vitali di operatività. Tali questioni assumono un ulteriore dimensione prospettica nel distinguo tra ‘io-empirico’ e ‘io-trascendentale’ che, a parere, di Evola, in virtù della stessa ‘volontà concreta’ o ‘storicità dello spirito’, non farebbe che legittimare una visione per la quale l’immanentizzazione e la riconduzione ad un Io-trascendentale di tutto l’esistente, condannerebbe a riconoscere come “voluto da me” anche ciò che meno esigo e a cui volontaristicamente aspiro. Secondo Evola, dietro tale etica si nasconderebbe il rischio di una forma di capitolazione dinanzi ad ogni ‘fatto compiuto’.
[CONTINUA]
PARTE 1/2
Bibliografia
▪ Arcella, S., Lo Stato organico nel pensiero di Evola, in “Studi Evoliani” 2008, Arktos, Carmagnola, 2009.
▪ Bobbio, N., Per una definizione della destra reazionaria, in: “Belfagor”, fasc. VI, 1983.
▪Carrino, A., Julius Evola filosofo della politica? Sulle antinomie di un pensatore non conformista, estratto da http://www.fondazionejuliusevola.it/Documenti/Relazione_Carrino.pdf
▪ Cassata, F., A destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.
▪ Costa, P., Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi nella cultura giuridica italiana tra Ottocento e Novecento, Giuffrè, Milano, 1986.
▪ Di Vona, P., Metafisica e politica in Julius Evola, Ar, Padova, 2000.
▪ Evola, J., Gli uomini e le rovine (1953), Edizioni Mediterranee, Roma, 2001.
▪ Evola, J., Gentile non è il nostro filosofo, in “Ordine Nuovo”, a. I, n. 4-5, luglio-agosto 1955, pp. 25-30, estratto da: https://www.rigenerazionevola.it/gentile-non-e-il-nostro-filosofo-i-parte/;https://www.rigenerazionevola.it/gentile-non-e-il-nostro-filosofo-ii-parte/; https://www.rigenerazionevola.it/gentile-non-e-il-nostro-filosofo-iii-parte/ (I riferimenti bibliografici sono distribuiti con riferimento alle tre parti estratte dal sito, essendo quest’ultima, a livello contenutistico, il precipuo riferimento a disposizione. Il testo rimanda, ad ogni modo, ai contenuti dell’articolo cartaceo pubblicato nel 1955.
▪ Evola, J., Il problema della decadenza, in “Lo Stato”, a. IX, f. V, maggio 1938, pp. 269-277.
▪ Evola, J., Lo Stato organico. Scritti sull’idea di Stato. 1934-1963, a cura di A. Barbera, Controcorrente Edizioni, Napoli, 2004.
▪ Gentile, G., Genesi e struttura della società. Saggio di filosofia pratica (1946), Le Lettere, Firenze, 2003.
▪ Gentile, G., I fondamenti della filosofia del diritto (1916), Le Lettere, Firenze, 2003.
▪ Germinario, F., Razza del Sangue, razza dello Spirito. Julius Evola, l’antisemitismo e il nazionalsocialismo (1930-43), Bollati Boringhieri, Torino, 2001.
▪ Germinario, F., Tradizione Mito Storia. La cultura politica della destra radicale e i suoi teorici, Carocci editore, Roma, 2014.
▪ Jesi, F., Cultura di destra (1979), a cura di A. Cavalletti, Edizioni Nottetempo, Milano, 2011.
▪ Natoli, S., Giovanni Gentile filosofo europeo, Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
▪ Cirell-Czerna, R., Riflessioni sul concetto di società e di Stato nell’ultima fase del pensiero gentiliano, in “Scritti di sociologia e politica in onore di Luigi Sturzo”, vol. I, Bologna, 1953, pp, 339-392.
▪ Romualdi, A., Una cultura per l’Europa, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2015.
▪ Sasso, G., Le due Italie di Giovanni Gentile, Il Mulino, Bologna, 1998.
▪ Severino, E., Giovanni Gentile distruttore degli assoluti, in AA.VV., “G. Gentile, La filosofia, la politica, l’organizzazione della cultura. Atti del Convegno di studi di Roma. 21-22 Maggio 1994”, Marsilio Editore, Venezia, 1995.
▪ Tarquini, A., Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Il Mulino, Bologna, 2009.
▪ Turi, G., La cultura delle destre. Alla ricerca dell’egemonia culturale in Italia, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.
▪ Veneziani, M., Julius Evola tra filosofia e tradizione, Ciarrapico Editore, Napoli, 1979.
▪ Veneziani, M., La cultura della destra, Laterza, Roma-Bari, 2007.
Sitografia
▪ http://www.fondazionejuliusevola.it/Documenti/Relazione_Carrino.pdf (al 24.06.2020)
▪ https://www.rigenerazionevola.it/gentile-non-e-il-nostro-filosofo-i-parte/ (al 24.06.2020)
▪ https://www.rigenerazionevola.it/gentile-non-e-il-nostro-filosofo-ii-parte/ (al 24.06.2020)
▪https://www.rigenerazionevola.it/gentile-non-e-il-nostro-filosofo-iii-parte/ (al 24.06.2020)
Jacopo Volpi (Pisa, 1993). Laureato in Giurisprudenza, in data 11.10.2018, presso l’Università degli Studi di Pisa con tesi in Filosofia del diritto, i suoi interessi gravitano intorno alla filosofia politico-giuridica italiana del Novecento e alle problematiche di Dottrina dello Stato tra Otto e Novecento. Ha terminato il tirocinio ai fini della pratica forense ed è in attesa di sostenere l’esame di Stato per l’esercizio della professione di avvocato.